Per una vera democrazia

Data 24/1/2008 8:30:00 | Categoria: politica italiana

Una soluzione al problema politico italiano esiste, ma la sua applicazione richiede un impegno profondo e continuato da parte di ciascun individuo, e una certa capacità di vedere le cose proiettate nel tempo. Nessuno si illude di risolvere il problema entro le prossime 24 ore, ovviamente, ma se non si ha la capacità di vedere le soluzioni proiettate nel tempo, si finisce per diventare addirittura un ostacolo alla soluzione stessa.

Il primo nemico da combattere infatti non sono i politici, ma tutti coloro che pensano che ”tanto non cambia niente”, che “la democrazia è un’illusione”, e che “comunque chi ha il potere troverà sempre il modo di fregarci”.

Sono loro i veri alleati – inconsapevoli, ovviamente - di chi sta al potere, poichè con il loro nichilismo impediscono agli altri (e a se stessi) di vedere come stanno veramente le cose.

La democrazia non è affatto un’illusione nè una fregatura, come non è certo la panacea per tutti i mali: di per sè la democrazia non è nulla se non una scatola vuota, un concetto primordiale, un principio astratto che non assume nè colore nè forma finchè non si prova a metterla in atto. Dire che “governa la volontà del popolo” non significa nulla finchè non si prova a tradurre questa idea in una esperienza reale di vita in comune.

Come tutte le cose complesse, però, la democrazia porta con sè sia i semi del bene che quelli del male, e sta quindi a chi la coltiva determinare l’esito finale della sua applicazione.

Se il cittadino che ha eletto un suo rappresentante gli permette poi di comportarsi in maniera diversa – o addirittura opposta - rispetto al mandato iniziale, è chiaro che la democrazia diventa una “fregatura”. Ma rimane una fregatura del tutto autoinflitta, scelta e voluta dal cittadino stesso che ne è vittima.

E’ qui che sta la genialità maligna del sistema democratico: ti permette in qualunque momento di sbattere in faccia al cittadino la frase “in fondo ci avete votato voi”. Esattamente come ha fatto Prodi, poco tempo fa.

La democrazia cioè offre al cittadino un’arma poderosa, ma è pronta ad approfittarsi del fatto che non sappia usarla a dovere, per ritorcerla immediatamente contro di lui. E siccome non c’è forma di potere più legittima di quella ottenuta con un voto di maggioranza, ...
... nel momento in cui ti senti dire “in fondo mi hai votato tu“ perdi le forze e ti passa ogni volontà di combattere.

Ti rendi conto di esserti legato con le tue mani, la frustrazione degenera in qualunquismo, e questo porta inevitabilmente al nichilismo più nefasto.

“Tanto non cambia nulla comunque”, dici. E chi è al potere ci rimane, con il tuo, ormai rassegnato, consenso.

***

Ma non sta scritto da nessuna parte che debba essere così, e di certo non sta scritto nelle pagine stesse della democrazia.

Se io ti do mille lire da portare a mio cugino, e tu invece quei soldi te li intaschi e li spendi per conto tuo, cosa succede al tuo ritorno? Se proprio non ti spacco la faccia, come minimo ti obbligo in tutti i modi possibili a restituirmeli, e poi stai sicuro che mille lire da portare a qualcuno a te non le darò mai più.

Semplice, no? Ti ho dato la mia fiducia, ne hai abusato, ora come minimo levati di mezzo.

Il probema è che “mille lire” sono una cifra precisa e verificabile, mentre in politica il mandato che il cittadino dà al suo rappresentante è molto più vago e fumoso: “faremo le riforme”, “ridurremo le tasse”, “aumenteremo i posti di lavoro”.

E’ talmente vago che persino Berlusconi, che si era impegnato nero su bianco ad aumentare i posti di lavoro, ma poi non lo ha fatto, è riuscito a giustificarsi dicendo che “la colpa è tutta dell’Euro”. E se non era dell’Euro la colpa era della Scala Mobile, e se non era della Scala Mobile era comunque colpa del governo precedente. (A quello serve in realtà l’alternanza: a non prendersi mai le colpe in maniera diretta, scaricandole sul proprio doppione travestito da opposizione).

Ma a parte il caso di Berlusconi, che riesce a farsi del male anche quando non è necessario, normalmente i “programmi di governo” sono una tale accozzaglia di banalità da un lato, e di ambiguità dall’altro, che diventa persino difficile imputare a un determinato governo di avere fallito nel suo compito.

A questo punto il problema dovebbe essere chiaro: non solo non ci preoccupiamo di quello che fanno i politici con il nostro mandato, ma non gli diamo nemmeno dei compiti precisi da svolgere nel momento in cui glielo assegniamo.

Come possiamo pretendere che la democrazia funzioni, quando noi stessi ne abbiamo tradito l’essenza, assegnando un mandato a vuoto a gente a cui non chiediamo nemmeno conto del suo operato?

Questa non è democrazia, ma una penosa farsa collettiva, densa di ipocrisia da un lato, e satura di ingordigia dall’altro.

L’ipocrisia sta dalla parte nostra, nel momento in cui fingiamo di aver responsabilizzato il nostro rappresentante in Parlamento solo per il fatto di averlo votato.

L’ingordigia sta dalla parte sua, nel momento in cui si rende conto di poter utilizzare quel mandato a proprio piacimento, senza nemmeno dover rendere conto a chi lo ha eletto del proprio operato.

E poichè “governare” significa, in realtà, gestire milioni di miliardi di denaro pubblico, è chiaro che un voto dato in quel modo corrisponde in tutto e per tutto ad una autorizzazione a delinquere.

La domanda è quindi la seguente: tutti coloro che dicono “la democrazia non funziona”, sono certi di aver provato ad usarla nel modo in cui è stata concepita, prima di gettare la spugna e rassegnarsi ad essere presi in giro per il resto della loro esistenza?

La seconda domanda è questa: nel caso non ne fossero certi, sono davvero disposti – loro, come quelli che già ci credono - a prendersi le proprie responsabilità, e a rimboccarsi le maniche per farla funzionare davvero?

Perchè non si tratta soltanto di schiacciare un bottone, e poi tornare a casa ad aspettare che il mondo diventi più bello. Si tratta prima di tutto di informarsi, per conoscere da vicino almeno i problemi più importanti che ci riguardano. Se ci tieni al fatto che tuo figlio respiri un’aria pulita, devi prima capire che cosa la rende sporca, e quali sono i modi migliori per evitarlo. Se non ti va di vedere soldati italiani che vanno a fare guerre nel mondo, devi prima capire che cosa ci rende schiavi di quegli stati che ci obbligano a fare quelle guerre. Se vuoi arrivare una volta tanto a fine mese con qualche soldo che ti avanza, invece di ritrovarti a secco come al solito entro il 28 di quel mese, devi capire almeno come funziona il trucco dell’inflazione.

Solo quando saprai quello che vuoi, potrai pretenderlo. E a quel punto comincia la festa.

Caro candidato, da oggi c’è una piccola novità: il programma di governo non lo fai tu, lo faccio io. Sono io che mando te in Parlamento, giusto? Quindi, se permetti, sono io che ti dico cosa dovresti fare. (Da quando in qua, scusate, si “delega” qualcuno a fare qualcosa per te, ma quel qualcosa lo sceglie lui? “Scusi, avrei un problema da risolvere...” “Non me lo dica non me lo dica, mi lasci indovinare che poi ci penso io!” Ma dove siamo, scusate?)

Io ho queste esigenze precise, e do il mio voto a chi si impegna a portarle a termine. Nessuno si impegna? Niente di male, ci risentiamo la prossima volta. Auguri e buon lavoro.

Qualcuno, fra i nichilisti, ha detto: “tanto, anche se la maggior parte di noi non andasse a votare, voterebbe comunque quel 30% degli italiani che permette alle stesse persone di continuare a governare”.

Questo non è assolutamente vero, ed è qui che sta l’intera chiave del problema: un governo che fosse votato dal 30% degli italiani sarebbe talmente delegittimato che non potrebbe nemmeno aumentare il prezzo dei francobolli senza venire spernacchiato dal Trentino fino alla Sicilia meridionale.

Perché credete che ci sia stata quella violenta alzata di scudi da parte dei politici - compatti come non mai, fra l’altro, chissà perchè? - contro il V-Day di Beppe Grillo? Se potessero permettersi di scendere fino al 30% dei voti validi non ci sarebbe motivo di agitarsi adesso, no?

Invece non solo quella soglia è molto più alta, ma il politico ha comunque bisogno di andare sempre al governo con il massimo dei voti complessivi. Ecco perché, quando votano in tanti, si dice che c’è stata una “buona“ affluenza alle urne: è buona per loro, perché più quel numero è alto più gli permetterà di dirci in faccia con tranquillità “in fondo ci avete votato voi“.

Se invece quella quota diminuisce, diminuisce anche la sua garanzia di impunità, e visto il nervosismo corso fra le fila per un semplice V-day, vuole dire che quel margine è molto più sottile di quanto possiamo credere.

L’Occidente ha creduto, durante tutta la Guerra Fredda, che i russi ci stessero per attaccare in qualunque momento, mentre questi poveracci hanno vissuto per trent’anni nel terrore che gli americani scoprissero che loro avevano molto meno armamenti atomici di quanto si credesse. Se se ne fossero accorti, sarebbero stati obbligati a venire a patti con gli americani, accettando di sottostare alle loro condizioni.

Se la quota di votanti cominciasse a calare in maniera regolare, prima o poi il politico sarebbe obbligato a venire a patti con l’elettorato. È inevitabile, è una questione matematica, e l’unica cosa su cui conta il politico per impedirla è proprio quel diffuso nichilismo che porta molti a dire “ tanto non cambia niente comunque”, e così votano lo stesso.

Ecco perché per prima cosa bisogna sconfiggere quell’atteggiamento nichilista che favorisce sistematicamente la perpetuazione dello status quo.

Quando negli elettori si sarà diffusa a sufficienza la consapevolezza di questo meccanismo da spezzare – e quindi i voti complessivi avranno iniziato a calare sensibilmente - la classe politica sarà costretta a venire a patti con gli elettori, per ottenere quel voto che le è indispensabile per continuare a legittimare il proprio potere.

Una volta ottenuta l’“attenzione” necessaria, però, si chiede prima di tutto di tornare a votare la persona e non il partito. (Ricordiamolo, se è vero che governa il popolo, è il popolo a dire ai propri delegati cosa devono fare, e non viceversa).

Da quel momento il percorso diventa molto meno scosceso: se mi avevi fatto delle promesse generiche, potrai sempre dare la colpa alla Scala Mobile, all’Euro, o all’ultima cometa di passaggio, ma se ad esempio ti ieri impegnato a ripulire Napoli dalla spazzatura, e alla fine del mandato non lo hai fatto, stai tranquillo che la differenza si vede eccome. A quel punto il politico è bruciato, perché diventa come l’amico a cui avevo dato le mille lire da portare a mio cugino: non farti mai più vedere da queste parti.

Secondo vuoi quanti di loro, una volta eletti, “se ne fotterranno comunque delle promesse”, pur sapendo che in quel modo in Parlamento non ci tornano più? (Prendiamo l’esempio di Zapatero, che prima delle elezioni si era impegnato a ritirare immediatamente le truppe spagnole dall’Iraq. Se non lo avesse fatto, pensate che gli spagnoli se ne sarebbero restati a casa a brontolare, o lo avrebbero alzato di peso e lo buttavano nel fiume con tutto il suo governo?)

A loro volta, i partiti non hanno certo i ricambi come le squadre di rugby, che ne escono e ne entrano 25 alla volta, e non possono permettersi di vedersi “bruciare” 30 o 40 cavalli per ogni legislatura. Ma anche se li avessero, quelli sono solo i “peones“, gente convinta che il Darfur sia uno stile di vita, e che Guantanamo si trovi in “Afakistan”. Di quelli te ne trovo anch’io quanti ne vuoi.

Ma i leader sono quelli che sono, li conti sulle dita di una mano, e state tranquilli che non hanno nessuna voglia di vedersi sostituire da nessuno. (Tant’è vero che abbiamo ancora davanti le stesse facce di 30 anni fa).

Quindi, chi ha il bastone dalla parte del manico? E di chi è la colpa, se non sappiamo usarlo nel modo giusto?

Massimo Mazzucco



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