Cronaca di un’epifanìa

Data 25/1/2008 8:10:00 | Categoria: 11 settembre



Ho appena ricevuto la visita di un vecchio amico che non vedevo da molti anni. Era di passaggio nella mia città, per motivi di lavoro, ed è stato un grande piacere incontrarlo.

Si tratta di un persona abbastanza particolare: profondamente innamorato del suo lavoro, al quale ha dedicato la vita intera, è sempre stato poco interessato alle faccende del mondo esterno. Persona pratica, di poche parole, non vota, guarda raramente la TV, e l’ultima volta che è stato al cinema deve aver avuto diciott’anni. Tutt’altro che un sempliciotto, però, è semplicemente un individuo che si fa gli affari suoi: vive intensamente la sua sfera personale, e chiede solo in cambio di non essere disturbato.

Dopo aver esaurito i bei ricordi, e dopo aver stabilito una volta per tutte chi dei due fosse ingrassato di più (lui ha continuato a fare sport, io no), ho provato a nominare l’undici settembre. Con mia sorpresa ho scoperto così che esiste qualcuno che non solo non ha mai sentito parlare del dibattito in corso (fin qui, purtroppo, ben poche sorprese), ma che non conosceva nemmeno la versione ufficiale dei fatti. Ricordava cioè il fatto puro e semplice – le Torri colpite e crollate – ma chi fosse stato, perchè lo avesse fatto, e quali fossero state le conseguenze, non lo aveva mai nemmeno sfiorato.

Se gli avessi raccontato che erano stati i marziani, forse mi avrebbe pure creduto.

Mi sono così ritrovato, curiosamente, a “raccontare” prima di tutto la versione ufficiale. “Pare che siano stati degli arabi – gli ho detto – che hanno dirottato questi aerei, e li hanno guidati contro le Torri Gemelle e contro il Pentagono.” Nuovamente, il mio amico non ha fatto una piega: a lui stava bene così.

“C’è però anche chi sostiene – ho aggiunto - che siano stati gli stessi americani a organizzare l’attentato, perchè gli serviva una scusa per andare in guerra contro gli arabi”. A quel punto ho visto comparire un sorrisetto malizioso, e il mio amico mi ha detto: “Non so perchè, ma sento che tu sia uno di quelli”.

Mezz’ora dopo eravamo seduti davanti a Inganno Globale.

Ho potuto così assistere da vicino al percorso completo di nascita-morte e resurrezione - che molti di noi hanno compiuto nel corso di lunghi mesi, ...
... se non addirittura anni – nell’arco di soli 90 minuti. Anche meno, in realtà, perchè già nell’introduzione, alla prima immagine della cosiddetta “cement fountain” (la fontana di cemento che sprizza nelle 4 direzioni dalle Torri che crollano), ho visto muoversi un sopracciglio. Ma non ho detto nulla, e ho aspettato che fosse lui a farmi delle domande.

Di fronte agli strani percorsi dei dirottatori, che si allontanavano di centinaia di chilometri da bersagli che avevano a portata di mano, ho visto scuotere la testa. Di fronte allo stallo della difesa aerea ho sentito una specie di brontolìo, del tipo “ma dormivano tutti, quel giorno?” Quando siamo arrivati alla dichiarazione di Mineta, il mio amico mi ha chiesto di fermare il film, perchè non ci capiva più niente. “Ah già – ho dovuto spiegare – quel giorno Bush non era a Washington, per cui al comando c’era Dick Cheney, il vice-presidente.” “Si, ma questo aereo che si avvicinava, qual’ era?” “Quello che ha colpito il Pentagono”. Ovviamente, mi ero anche dimenticato di spiegare che il Pentagono sta a Washington.

Avevo cioè di fronte una vera e propria tabula rasa, un cervello perfettamente funzionante, ma totalmente privo di qualunque informazione relativa al problema.

La conferma che il suo cervello fosse in piena funzione l’ho avuta dopo le interviste del pilota dell’Alitalia e di Nela Sagadevan, che spiegavano la difficoltà estrema nel tenere attaccato a terra un grande aereo passeggeri, a causa del cuscino d’aria che si forma sotto la sua pancia, e che aumenta con l’aumentare della velocità: “In effetti – ha detto il mio amico, che era appena arrivato dall’Italia – ho notato che negli ultimi metri l’aereo si è praticamente fermato, eppure continuava a stare in aria. Il pilota ha dovuto letteralmente togliere il gas, per fargli toccare terra, se no non scendeva”.

“E pensa che tu andavi a meno di trecento all’ora - gli ho detto - Quello del Pentagono andava praticamente al massimo, a quasi 900 all’ora.” Il mio amico mi ha guardato di traverso, e a quel punto ho capito che aveva capito.

“In compenso - ho aggiunto – chi guidava l’aereo del Pentagono non aveva mai guidato prima un jet nella sua vita”.

“Va beh - ha detto il mio amico ridendo – allora diteci che ci pigliate per il culo e facciamo prima!”

Da lì in poi è stato solo un crescendo di incredulità e stupore che sembrava non finire mai. La manovra del tutto inutile di Hanjour, che già aveva il Pentagono sotto gli occhi, ma ha voluto fare un giro per perderlo di vista e arrivare rasoterra; la parete ancora in piedi dopo l’impatto, nonostante la massa di cento tonnellate lanciata a 900 Km. all’ora; la mancanza di rottami di grosse dimensioni sul prato antistante; la patetica ricostruzione della Purdue, con l’aereo che “perde i motori” prima dell’impatto, diventa “trasparente” e attraversa come un fantasma la parete di cemento, e poi si infila sotto la volta del piano terra come se fosse un vagoncino del metrò; e infine il foro al terzo anello, mai spiegato ufficialmente da nessuno... insomma, ogni volta che sembrava di aver raggiunto il picco massimo della tollerabilità – in termini di rispetto per la propria intelligenza – arrivava qualcosa che riusciva a superarlo di almeno una spanna.

Già, avevo dimenticato: l’effetto dell’accumulo, ovvero il processo indiziario. Noi che siamo abituati (costretti, in realtà) a discutere un argomento alla volta, ci dibattiamo sempre e soltanto al suo interno, ma per chi viene “da fuori”, e assorbe tutte queste informazioni in una volta sola, l’accumulo delle “implausibilità” – altri preferiscono chiamarle “stronzate” – dopo un pò diventa intollerabile.

Ed eravamo soltanto al Pentagono.

Vi lascio quindi immaginare i commenti “coloriti” di fronte alla buca vuota di Shanksville, o la sonora risata di fronte alla spiegazione dell’FBI che il piccolo aereo visto dai testimoni fosse “un Lear Jet sceso a fare delle fotografie”, prima ancora che l’aereo si schiantasse.

Interessante anche la domanda che l’amico mi ha fatto, quando ha sentito Ernie Stuhl che diceva con chiarezza ”There was no plane”, non c’era nessun aereo: “E che fine ha fatto quel signore, dopo?”

“Infatti - gli ho risposto – guarda caso, è stato obbligato a “correggersi”. E’ capitato anche a molti altri”.

Avevo davanti a me una chiara espressione di sconcerto, ma è stato soltanto con le Torri Gemelle che mi sono reso conto di quanto "inquinata" sia ormai la nostra visione del problema, rispetto a chi lo affronta per la prima volta: mentre noi cerchiamo disperatamente la tremilionesima prova, che possa finalmente inchiodare anche lo scettico più refrattario, una mente sgombra di pregiudizi si ribella già davanti alla serie infinita di casualità che diventano necessarie per sostenere la versione ufficiale.

Silverstein che prende il controllo delle Torri proprio a sei settimane dagli attentati; Silvestein che fa subito una nuova assicurazione, e si ricorda di stipulare che in caso di distruzione del WTC starà a lui decidere come ricostruirlo; il WTC7 che va giù come se tutte le colonne portanti avessero ceduto nello stesso momento; Silverstein che aveva pagato 300 milioni di dollari per il WTC7, e ne prende 700 dall’assicurazione per ricostruirlo; le altre due Torri che si sbriciolano educatamente su sè stesse, invece di andare magari a stritolare un intero quartiere confinante (che poi tocca ricostruire con i soldi dello stato, perchè quello dalla polizza di Silverstein non era coperto), ... Insomma, giuro che non siamo nemmeno riusciti a vedere la fine del film, perchè a un certo punto il mio amico si è alzato e ha detto “Basta, spegni perfavore perchè adesso cominciano a girarmi seriamente i coglioni. Ma cosa pensano, che siamo tutti deficienti?”

E’ stata per me un’esperienza illuminante, che mi ha mostrato quanto tempo di troppo sia stato dedicato, a livello tecnico, ad un problema che conferma ancora una volta di esistere soprattutto a livello psicologico. Per chi non parte dal presupposto che la cosa “è impossibile”, perchè “gli americani non si farebbero mai una cosa del genere da soli”, basta un centesimo degli elementi finora raccolti per mostrare con chiarezza assoluta come la versione ufficiale sia l’unica reale “teoria del complotto” mai esistita all’interno del dibattito.

Inutile dire che il mio amico è partito con una copia di Inganno Globale sotto il braccio, dicendo con malizia: ”Adesso lo vedi, quando arrivo a Milano, che bella sorpresina faccio a un paio di persone che conosco...”

Anche se servisse a poco, sono già molto contento che il mio amico abbia deciso, per una volta, di occuparsi di cose che non lo riguardano direttamente. Ma che evidentemente, a questo punto, riguardano anche lui molto da vicino.

Massimo Mazzucco




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