Supertuesday: le primarie americane alla svolta

Data 6/2/2008 2:30:00 | Categoria: elezioni Usa

Ha destato un certo scalpore l’“endorsement”, cioè l’appoggio ufficiale alla causa, dato da Maria Shriver Kennedy a Barak Obama, in vista della cruciale tornata delle primarie in California, in corso in queste ore. Non tanto perchè la Shriver sia la nipote di John Kennedy (in fondo anche Ted Kennedy, il fratello del presidente ucciso, ha appena fatto la stessa cosa, unitamente alla sorella Caroline ), ma perchè nel contempo è la moglie di Arnold Schwartznegger, il Governatore della California che ha appena dato il suo endorsement al repubblicano John McCain.

Verrebbe da liquidare il tutto come una buffonata da teatrino di provincia, dove “in fondo è tutto già deciso”, ma le cose possono anche essere più complesse di così.

Che alla presidenza debba arrivare una persona gradita ai poteri forti è indubbio, infatti, ma è altrettanto vero che “graditi” non si nasce, lo si diventa lungo il percorso.

Man mano che si procede verso l’alto, cioè, si viene sottoposti a filtri sempre più rigorosi, che impediscano ad un elemento estraneo di bloccare i meccanismi che agiscono a quel determinato livello, e questo porta a dedurre che chi riesce ad uscire dal forellino più alto di tutti - quello della Casa Bianca – debba avere ormai perso ogni caratteristica individuale, per essere diventato un perfetto e anonimo burattino.

Può anche succedere, però, che il sistema di filtratura si inceppi, ...
... e che qualcuno più grosso delle maglie riesca comunque a raggiungere la vetta.

E’ stato il caso, molto probabilmente, di Papa Luciani, che sin dal primo giorno di pontificato ha sconcertato l’intera curia dichiarando che “Dio è maschio è femmina insieme”, con tante altre cose del tutto inaccettabili da parte dell’establishment di allora. Sarà solo una coincidenza, ma Papa Luciani è passato a miglior vita prima che il mondo potesse accorgersi di ciò che andava predicando.

Ma è stato certamente il caso di John Kennedy, e qui ci si riallaccia al discorso iniziale.

Nel 1960 il grande favorito alla presidenza era Richard Nixon, che dopo la vicepresidenza accanto ad Eisenhower sembrava destinato a portare con grande facilità la fiaccola repubblicana nel nuovo decennio.

A quel punto della sua carriera, inoltre, Nixon non aveva nemmeno bisogno di essere “filtrato”, poichè era egli stesso un “prodotto di laboratorio”: scovato e allevato da Prescott Bush (nonno dell’attuale presidente) sin dagli anni ‘40, si preparava ora a incarnare il perfetto burattino, a completa disposizione di chi lo aveva portato fino a lì.

Talmente scontata sembrava la vittoria di Nixon, che le “maglie del sistema” non si preoccuparono di verificare troppo da vicino lo “spessore” di John Kennedy, l’ignoto candidato democratico che appariva nettamente distaccato nei sondaggi nazionali.

Ma chi aveva puntato su Nixon non aveva fatto in conti con la mafia, strettamente legata al padre di John Kennedy fin dai tempi del proibizionismo. Accade così che, con l’aiuto insperato di Sam Giancana e dei suoi ”picciotti”, alla Casa Bianca ci finì proprio Kennedy.

Diventa qui interessante leggere i resoconti dei vari personaggi di potere di quell’epoca, che si trovarono improvvisamente fra i piedi questo presuntuoso irlandese uscito dal nulla, che era addirittura convinto di poterli comandare a piacimento.

Ciò che accadde nei tre anni di presidenza Kennedy meriterebbe ore di analisi, e non è ancora stato sviscerato fino in fondo. Di certo sappiamo che si mise contro l’FBI di Edgar Hoover (voleva riportarla sotto il controllo del Ministero di Giustizia, che aveva affidato al fratello Bob), contro la CIA di Allen Dulles (voleva letteralmente smantellarla, e dopo il disastro della Baia dei Porci arrivò addirittura a licenziare Dulles), contro la Chiesa cattolica (per nulla contenta dell’annunciato ritiro dal Vietnam, che avrebbe significato la perdita dell’avamposto cristiano nella terra dei bonzi), contro il complesso militare-industriale (ancora meno contento, ovviamente, per lo stesso ritiro), contro la mafia che lo aveva aiutato (il fratello Bob non voleva saperne di lasciare in pace Jimmy Hoffa), e contro i banchieri che gestivano la Federal Reserve (aveva inizato a stampare dollari d’argento governativi).

Diciamo che a quel punto gli mancava solo l’associazione dei bidelli dell’Oklahoma, per avere contro gli interi Stati Uniti d’America. Inevitabili quindi i proiettili di Dallas, ai quali il Presidente andò incontro - a mio personale parere – perfettamente cosciente di quanto lo aspettasse.

Di fatto, a Dallas quel giorno c’erano sia George H. Bush (figlio di Prescott, e padre dell’attuale presidente), che lo stesso Richard Nixon.

La storia di Kennedy dimostra quindi come il sistema di filtratura esista, ma sia tutt’altro che infallibile, e debba in certi casi ricorrere a rimedi estremi, per non aver saputo funzionare a dovere negli stadi precedenti.

E’ in questa luce che si possono leggere sia l’ascesa vertiginosa di Barak Obama in questi ultimi giorni, sia gli endorsements di Ted e Caroline Kennedy, che rendono il suggello di Maria Shriver Kennedy un fatto tutt’altro che superficiale.

Massimo Mazzucco


Aggiornamento alla chiusura degli exit-polls: Hillary Clinton ha vinto i due stati più importanti, California e New York, ma a causa del complesso meccanismo dei delegati, e grazie al fatto di aver vinto molti altri stati minori, Obama rimane pienamente in corsa per la nomination democratica.

Fra i repubblicani invece la vittoria finale di McCain appare ormai scontata, anche grazie a Huckabee che ha tolto a Romney – come previsto – una quota sufficiente di voti da non fargli vincere praticamente nulla di significativo.

Costante e imperturbabile, Ron Paul ha continuato raccogliere il suo 5% medio dei voti a livello nazionale.




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