Le Grandi Opere attendono il tuo voto

Data 9/4/2008 8:10:00 | Categoria: politica italiana

La lotta contro il Tav – che in Val Susa prosegue, nel più vergognoso silenzio mediatico - è qualcosa di più di un ostruzionismo locale a una specifica linea ferroviaria, e il fatto che il futuro governo Veltrusconi intenda regalarci ”altri mille Tav”, oltre a quello già in discussione, dovrebbe portare chi si appresta a votare ad una seria riflessione.

Il progetto Tav rappresenta e sintetizza tutti i mali peggiori dell’Italia, dalla corruzione allo spreco, dalla prepotenza di casta alla cecità programmatica, dall’inciucio più meschino al ricatto vero e proprio.

Governare in Italia – oggi più che mai - non significa fare gli interessi del paese, ma accaparrarsi posizioni privilegiate dalle quali gestire le ingenti quantità di denaro pubblico che noi tutti mettiamo a disposizione per un utilizzo comune.

Più alto è lo scalino su cui siede il politico, maggiore sarà la sua influenza sul destino di quel denaro. Più forte è la presenza di suoi manutengoli, all’interno di una qualunque commissione o comitato, maggiore sarà la capacità di quel gruppo di determinare la destinazione di tutti i soldi che sono chiamati a gestire. Le spartizioni preventive di potere (dieci poltrone a me, sette a te, e almeno una a mio cugino), non sono quindi che aliquote, precise e ponderate, dell’influenza che ciascuno potrà avere in futuro sulla spartizione del denaro pubblico.

La “brama di potere” sta diventando sempre più spesso una forma estrema di semplice ingordigia monetaria.

Viste infatti le condizioni pietose in cui versa l’Italia - dal punto di vista dei servizi come di ogni altra cosa - dobbiamo dedurre che ben pochi dei nostri soldi ...
... finiscano davvero dove debbano finire. Gli altri se ne vanno tutti in una cascata infinita di creste e controcreste, mazzette e contromazzette, percentuali e sottopercentuali, buste, bustine e bustarelle di ogni tipo, che con il pubblico interesse hanno ben poco da spartire.

Per la maggioranza di noi, lo “stato” è un’entità che dovrebbe occuparsi dei nostri problemi, e i “governi” sono delle coalizioni di persone che dovrebbero dedicarsi fisicamente alla loro risoluzione. E’ in questa ottica che vota la maggior parte degli italiani, ed è giusto che sia così. Ma per molti dei “candidati”, se non per tutti ormai, lo stato non è altro che un meraviglioso giardino dell’eden, pieno zeppo di soldi che sono di tutti ma che non appartengono a nessuno in particolare.

E’ quindi molto facile manipolarli, prenderli, spostarli, distribuirli – e farli sparire – perchè nessun legittimo proprietario li controlla da vicino.

Se dal vostro conto in banca vengono a mancare 100 euro, per un disguido qualunque, ve ne accorgete subito, e protestate immediatamente. Ma quando dalle casse dello stato vengono a mancare 100 milioni di euro, chi se ne dovrebbe accorgere, e poi protestare? Chi può avere la stessa, minuziosa e implacabile attenzione di un privato, visto che quei soldi non appartengono a chi deve controllarli? E quindi, chi mai protesterà, come facciamo noi con la nostra banca, per quell’ammanco che non è addebitabile a nessuno in particolare?

Di fronte alla mancanza di un proprietario specifico, i nostri sensi di colpa improvvisamente scompaiono. Ed infatti, noi stessi siamo felici e contenti quando riusciamo in qualche modo a “fottere lo stato”. Ma l’unico modo che abbiamo noi di ”fottere lo stato” è quello di evitare di pagare qualcosa di dovuto (l’Iva, le tasse sul reddito, una multa, o altro), mentre chi sta al governo ha la possibilità di accedere direttamente a una montagna di denaro di cui nessuno più si preoccupa in modo particolare. Sono lì, e sono soltanto da spartire.

Quanti, a quel punto, possono avere la rettitudine morale e il senso di responsabilità di indirizzare quei soldi dove è giusto che vadano a finire?

La domanda è retorica, anche perchè se una persona onesta venisse per sbaglio a trovarsi in quelle condizioni, verrebbe immediatamente fatta fuori da tutti gli altri, che con la sua presenza non possono più agire indisturbati.

Attenzione, però: i soldi pubblici non si possono “prendere” e basta, perchè un minimo di contabilità bisogna sempre tenerla. Ecco allora nascere l’esigenza di creare progetti pubblici, di qualunque tipo, portata e dimensione, che permettano di “far uscire” legalmente i soldi dalle casse dello stato. Solo a quel punto di può intervenire sul denaro in transito, dividendo, smazzettando, e manipolando il tutto a proprio piacimento.

Una volta assegnato – ad esempio - un milione di euro per fare un ponte sulle risaie del novarese, bisogna decidere a qual società appaltare i primi sopralluoghi. E l’appalto sarà deciso in base alla quantità di denaro che il “fortunato” prescelto sarà disposto a far riavere, su un conto svizzero, a quelli che lo decidono. E così via per tutti gli altri livelli del progetto, finchè i soldi saranno completamente spariti, e il ponte sulle risaie non verrà mai costruito. (Oppure viene costruito, ma è di cartone e crolla dopo una settimana).

Come funziona la corruzione lo sappiamo tutti. Ma non tutti teniamo presente che ciò avviene regolarmente, quotidianamente, sotto i nostri occhi, e con i nostri soldi. E soprattutto, con il nostro avallo del voto.

Un’Italia disastrata, infatti, non è altro che il risultato di un furto prolungato, perpetrato negli anni ai danni di tutto il denaro che abbiamo versato in passato, e che non è mai stato usato per i fini dovuti, ma è scomparso nelle tasche di grosse corporations come in quelle di privati cittadini. Tornare a votare le stesse persone che ci hanno governato fino ad oggi, quindi, significa tornare ad autorizzare un’ulteriore tornata di furti e di sprechi legalizzati.

Torniamo ora al TAV, e vediamo perchè questa “Grande Opera” è una splendida cartina al tornasole dello stato di corruzione e del degrado morale del nostro paese.

Quella che segue è l’analisi dettagliata (tratta dal libro di Marco Cedolin “Le Grandi Opere”) del percorso “architettonico” che ha fatto il progetto TAV nel corso degli anni.

In Italia si incominciò a parlare di alta velocità ferroviaria verso la fine degli anni 80, ma solo nel 1991 il progetto TAV prese corpo e si concretizzò definitivamente.

Cirino Pomicino era l’allora Ministro del Bilancio, Bernini quello dei trasporti e Lorenzo Necci l’amministratore delegato delle ferrovie.

TAV s.p.a. nacque il 7 agosto 1991 sotto le mentite spoglie di una società di diritto pubblico/privato, finalizzata a costruire 1000 km di linee ferroviarie per i treni ad alta velocità sulla direttrice Torino – Milano – Roma – Napoli.

Fin dall’inizio fu ritenuto indispensabile il coinvolgimento attivo nel progetto TAV di tutti i poteri forti, al fine di assicurare allo stesso il consenso e le coperture che necessitavano. Operando in questo senso vennero stretti accordi con i maggiori istituti bancari, i principali gruppi industriali e finanziari e le grandi imprese operanti nell’ambito delle costruzioni e dell’armamento ferroviario.

Questo sodalizio prese corpo attraverso uno schema incentrato sul contratto di concessione di sola costruzione, consentito dalla legge 80 del 1987, che di fatto aggirava l’obbligo delle gare di appalto sancito dalla normativa europea. Tale schema attraverso la costituzione di società di diritto privato a capitale interamente pubblico, si proponeva inoltre di reperire i finanziamenti per l’opera per mezzo di prestiti bancari accordati a società private ma garantiti dallo stato stesso, senza che i capitali figurassero nel bilancio e rischiassero di comprometterlo portandolo a sforare i parametri imposti dall’Europa.

Nacque così la figura del General Contractor, un soggetto privilegiato, scelto a discrezione del committente (lo Stato) senza gare d’appalto, incaricato della progettazione e della costruzione dell’opera, ma esentato da qualunque impegno concernente la gestione della stessa. La creazione del General Contractor fu la causa principale dell’allungamento a dismisura dei tempi di costruzione e dell’incremento esponenziale dei costi. Tale soggetto essendo totalmente svincolato da qualunque impegno concernente la gestione dell’opera, non avrebbe infatti avuto altro interesse che quello d’incrementare il proprio tornaconto la cui crescita era proporzionale all’incremento di costo dell’opera stessa. Questa architettura perversa fece si che già nel 1993 il costo di 1 km di alta velocità in Italia fosse mediamente di 26 miliardi di lire, contro i 9,5 miliardi di lire a chilometro dell’alta velocità spagnola che veniva costruita attraverso il sistema degli appalti europei.

Inoltre il General Contractor, a differenza del concessionario tradizionale di lavori o servizi pubblici, avrebbe potuto affidare e subappaltare i lavori a sua discrezione anche con trattativa privata, ed essendo esso stesso un privato non sarebbe mai stato perseguibile per corruzione, in quanto eventuali tangenti avrebbero potuto essere giustificate sotto forma di provvigioni.

Fiat, IRI ed ENI furono i primi General Contractor ai quali si aggiunsero a breve Impregilo, i Gruppi Gavio, Ligresti, Montedison e altre imprese associate alla lega delle cooperative fra le quali la capofila CMC.

Tutto questo complesso sistema venne successivamente perfezionato attraverso la legge obiettivo n°443 del 21 dicembre 2001 che permise al progetto TAV di continuare ad esistere nella forma in cui era stato concepito, nonostante i vincoli europei ed eliminò di fatto l’obbligo della Procedura d’Impatto Ambientale (VIA) per quelle opere definite strategiche e di preminente interesse nazionale, nel palese tentativo di renderne più veloce la realizzazione a discapito del diritto alla salute dei cittadini e della tutela ambientale.

Il sistema di finanziamento dell’opera continuò ad evolversi attraverso l’architettura del project financing e la legge Finanziaria del 2003 perfezionò il modello di approvvigionamento dei capitali. Tav s.p.a. entrò nell’orbita di Infrastrutture s.p.a. il cui azionista unico era la Cassa Depositi e Prestiti. Infrastrutture s.p.a. era preposta a finanziare il progetto dell’alta velocità attraverso il reperimento delle risorse sul mercato bancario e su quello del capitale, cioè contraendo prestiti ed emettendo obbligazioni, la cui restituzione sarebbe stata garantita dallo Stato. In virtù di tale sistema l’intero debito ricadeva sulle spalle dello Stato che inizialmente era però obbligato a pagare annualmente solamente i relativi interessi intercalari, senza essere costretto ad iscrivere l’intero debito nel proprio bilancio, salvo poi dovere procedere in un secondo tempo alla restituzione dell’intero capitale con conseguenze devastanti per l’equilibrio dei propri conti.

Recentemente l’Unione Europea ha messo in luce il carattere mistificatorio di questa operazione, smascherando la reale natura pubblica di Infrastrutture s.p.a. e costringendo lo stato italiano ad iscrivere in bilancio 13 miliardi di euro di debito TAV occultato in maniera fraudolenta.

Di fronte alla manifesta impossibilità di continuare a finanziare l’alta velocità ferroviaria attraverso l’architettura perseguita durante questi 15 anni, il governo ha comunque già predisposto all’interno della finanziaria 2007 un nuovo sistema di reperimento delle risorse ancora più sofisticato e “creativo” rispetto a quello precedente. Il denaro necessario per continuare a costruire il TAV non arriverà più da prestiti bancari e obbligazionari, ma sarà quello del TFR dei lavoratori opportunamente introitato all’interno di un Fondo Infrastrutture della Cassa Depositi e prestiti nel cui ambito saranno presenti anche importanti banche internazionali indispensabili per dare una patente di “serietà” all’intera operazione. A gestire l’immensa quantità di risorse cooptate dal TFR dei lavoratori sarà una Società di Gestione del Risparmio il cui Amministratore Delegato dovrebbe essere l’immarcescibile Vito Gamberale ex A.D. di Autostrade del Gruppo Benetton.


Chi va a votare convinto di “dare comunque il suo piccolo contributo”, oppure “perché io ancora spero che cambi qualcosa“, dovrebbe tenere presente che in realtà va ad apporre la sua firma affinché quanto descritto continui almeno per altri cinque anni. Se infatti i nostri voti continueranno ad arrivare, non si vede motivo per cui i nostri politici – che fino ad oggi ci hanno “governato” in questo modo - dovrebbero cambiare percorso.

Perchè non chiediamo conto ai nostri politici, prima di votarli nuovamente, delle decine di miliardi di euro che sono evidentemente scomparsi nel nulla (visto che l’Italia versa nelle stesse condizioni di prima, se non peggiori), esattamente come faremmo con il direttore della nostra banca, di fronte ad un semplice ammanco di 100 euro?

Tecnicamente, non è possibile chiedere conto di questo ai politici, ma possiamo esprimere lo stesso concetto non tornando a votare le stesse persone che ci hanno deluso in passato.

Solo quando costoro vedranno calare vistosamente l’afflusso alle urne - e quindi vedranno diminuire vistosamente la loro “capacità gestionale“ della cosa pubblica - saranno costretti a ripensare dalle radici il loro pubblico ruolo. Ma finché continueranno ad avere il nostro avallo cieco e incondizionato, potranno continuare a distruggere impunemente l’Italia come hanno fatto fino ad oggi (ma vi sembra possibile che un paese come il nostro debba trovarsi “costretto” a vendere l’Alitalia?).

Sta a noi invertire questa dinamica perversa, e non possiamo certo aspettarci che lo facciano loro. Checchè ne dicano, a loro le cose vanno benissimo così.

Massimo Mazzucco


“Le Grandi Opere” è disponibile presso Arianna Editrice

"I sacerdoti del TAV restano senza fedeli" un articolo di Cedolin su un fatto recente, relativo al TAV in Val di Susa, che nessun giornale ha riportato.

Intervista a Marco Cedolin: “Grandi opere: le alternative ci sono!”

Marco Cedolin ci svela la manipolazione informativa e mediatica messa in opera a danno dei cittadini per fare loro non solo accettare, ma desiderare, le grandi opere. Fonte di grandi guadagni, utili, necessarie veloci: ma forse non tutti sanno che siamo tutti noi a pagarle, queste belle e grandi opere, e che i soldi delle nostre tasse finiscono nel portafoglio di coloro che, quando i tempi si allungano e l’opera non finisce mai, non fanno altro che guadagnarci.




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