LA VECCHIA EUROPA E LA NUOVA AMERICA

Data 26/6/2004 23:57:26 | Categoria: storia & cultura













LA VECCHIA EUROPA E LA NUOVA AMERICA



di Truman Burbank



La vecchia Europa ha visto millenni di guerre, stragi, imperi e
dominazioni. Di tutto ciò ha cercato di mantenere memoria storica.









Non è però alla memoria scritta nei libri di storia che mi riferisco,
ma alla memoria popolare, interiorizzata tramite arte e letteratura, sin dai tempi della Lisistrata
di
Aristofane, fino a Brecht, passando per Tolstoj e per mille altri.








La memoria storica che dice che la guerra è ingiusta, che non è voluta
dal popolo, ...




B. Brecht








Quando chi sta in alto

parla di pace

la gente comune sa

che ci sarà la guerra.



Quando chi sta in alto

maledice la guerra

le cartoline precetto

sono già compilate.


(...)




















...che
porta solo sangue e disperazione. “Se questa guerra si deve proprio
fare, fa che non la faccia la gente” diceva De Gregori.



La giovane America è invece ancora schiava dell’istinto
primordiale del potere e del sottomettere gli altri, il che porta ad
ammassare armi e ricchezze nella convinzione che non ci sia niente di
meglio nella vita.



La nostra memoria storica la pensa diversamente.



***



AMERICA: SEMPRE PIÙ LONTANA, MAI COSÌ VICINA



di Massimo Mazzucco



Noi italiani abbiamo avuto da sempre un rapporto di amore-odio con gli
Stati Uniti. Anzi, di entusiasmo-disprezzo, per essere più
precisi. Da una parte, dice la battuta, l’America è il paese
dove una pizza ti arriva addirittura prima di un ambulanza, dall’altra
è il paese dove la pizza ti arriva appunto prima dell’ambulanza.
Dipende da dove la guardi.



Certo non è facile farsi un’opinione bilanciata sugli Stati
Uniti, la cui realtà è estremamente complessa, e la cui
storia è decisamente diversa da quella di tutte le altre
nazioni: questo è infatti l’unico paese al mondo che è
stato creato dall’oggi al domani, esattamente come una società
sportiva, una fabbrica di confetture, o un sito internet: ieri non
c’era, oggi c’è.



Sono arrivati dei pellegrini in nave, hanno piantato i loro bei
“paletti”, (hanno sterminato tutti quelli che ci vivevano in mezzo), e
hanno detto: fino a qui si chiama New England...



..., da qui a lì New Hampshire, da lì a là New Jersey, eccetera eccetera. Tutto new, tutto loro.



Ma l’unica cosa che avevano con sè, per costruire questa New
Nation che tanto sognavano, era la Bibbia nel nome della quale avevano
abbandonato l’odiata Inghilterra. Anzi, due erano i tipi di persone che
emigravano oltremare: chi, appunto, voleva rifondarsi la sua chiesa
come la voleva lui, e chi era obbligato a farlo per non finire nelle
patrie galere.



Ovvero, dogmatici, e criminali. Storicamente, sono questi i veri “padri fondatori” degli Stati Uniti.



Ecco infatti nascere a grappoli comunità di avventisti, di
luterani, di metodisti, di presbiteriani, di battisti, ..... tutte a
darsi da fare per gettare le basi di quello che oggi è un vero e
proprio supermercato del paradiso: la moderna chiesa americana. E
mentre tutti questi dogmatismi si irrigidivano ancor di più
l’uno contro l’altro, la seconda “categoria” di emigranti, zitta zitta,
si dava da fare per razziare e conquistare tutto quello che trovavano,
senza troppo preoccuparsi di una legge che non c’era, e che loro stessi
confezionavano, a proprio uso e consumo, man mano che serviva.



Diventa forse più facile, in questo modo, capire come il
percorso storico americano possa essersi concretizzato oggi in un
presidente come George W. Bush.



A lui infatti non manca nulla rispetto alle “radici” e alle
“tradizioni” di cui ogni paese dovrebbe andare fiero: se si occupa lui
di fare al mondo discorsi iper-dogmatici, del tipo “tutti i buoni da
questa parte, tutti i cattivi dall’altra,” ci pensano i suoi soci, fra
Pentagono e vicepresidenza, a razziare tutto quello che capita
sottomano.



Sarà come sarà, ma Clinton ha consegnato agli americani
una nazione con tre miliardi di dollari di surplus, e siamo oggi, ad
appena tre anni dall’insediamento di Bush, a quasi quattro di deficit
nazionale.



Sono tranquillamente spariti, cioè, sette miliardi di dollari,
mentre la dissoccupazione è quadruplicata, ed il costo della
vita è arrivato ad erodere anche la tranquillità di uno
strato sociale, quello medio, che fino a ieri si riteneva al riparo da
preoccupazioni di questo tipo.



Ma dove sono finiti tutti quei soldi?



Grazie alla fortunata “coincidenza” dell’ undici settembre - che ha
permesso all’amministrazione di scatenare una guerra già pronta
da mesi - l’esercito e le industrie ad esso connesse (sicurezza, armi,
sorveglianza) si sono portati via fette incommensurabili di quel
disavanzo, sotto il naso di un’America tutta intenta a riprendersi
dallo shock delle Torri. E quel poco che restava è finito
praticamente tutto nelle tasche delle compagnie petrolifere, incaricate
dallo stesso Pentagono di “ripagare” i danni di guerra provocati ai
paesi invasi. Ripagarli come? Investendo, “per conto di quei popoli”
ovviamente, in oleodotti e gasdotti a destra e manca, sulle loro terre
desolate ma molto fruttifere. E già che c’erano poi, non gli
è sembrato nemmeno tanto sbagliato restare loro a gestire il
tutto, almeno finchè quelli si civilizzano un pochino. Per
giocare, nel frattempo, gli hanno regalato la parola “democrazia”, ma
non gli hanno nemmeno spiegato da che parte si apre l’involucro.



La cruda realtà americana, oggi, è che una banda di
industriali, ai massimi livelli del potere mondiale, si è
impadronita della Casa Bianca, ed ha distrutto tutte le riserve,
fisiche e morali, che questa nazione aveva accumulato in tanti anni di
sofferenze, di lotte sociali, di fatiche, di contrasti di sforzi e di
conflitti di ogni tipo.



Noi però, da lontano, continuiamo a vedere solo i paradossi
più macroscopici. E ci viene facile, dall’alto della nostra
cultura millenaria, deridere un paese come gli USA, che come massima
espressione della propria può esibire un hot-dog o un forno a
microonde; ma è molto più difficile accordare duecento
milioni di persone, di almeno novanta etnìe diverse, verso un
obbiettivo comune, che non farlo su nazioni, come la nostra, che
veleggiano già da secoli sulla scia della propria storia.



E per quanto li prendiamo in giro, noi purtroppo stiamo seguendo, in
piccolo, la stessa loro strada: anche noi ci siamo fatti ipnotizzare da
un imbonitore da baraccone, anche noi gli abbiamo concesso i pieni
poteri, anche noi gli stiamo permettendo di distruggere quel poco di
civile che a nostra volta eravamo riusciti ad aggregare, nonostante i
decenni di predominio democristiano su tutto ciò che avveniva in
casa nostra.



I nostri governanti di oggi, inoltre, non avendo trovato nessun
disavanzo in cui affondare i denti, stanno svendendo direttamente il
paese alle industrie private dei loro amici, ovvero di loro stessi.
(Berlusconi “non è” più presidente di Mediaset, per fare
un esempio, esattamente come Dick Cheney ”non è” più
presidente della Halliburton, la società petrolifera che si
è accaparrata tutte le commesse dall’Uzbekistan al Mar Rosso). I
nostri svendono all’ingrosso i pubblici servizi, svendono le aziende di
stato, e svendono persino palazzi e terreni, tutti di proprietà
del demanio, che grazie a leggi particolarissime vengono regalati al
costo di una Golìa all’interno del loro club di privilegiati.



Se rimane una consolazione è che, completato il giro di chiglia,
Italia e America si ritroveranno ancora dallo stesso lato del campo. Il
problema, almeno da noi, è se ci sarà ancora la
lucidità per rimettere in piedi i giocatori, molti dei quali
solo allora si accorgeranno delle condizioni miserevoli in cui sono
stati relegati per anni



E a quel punto rischiamo davvero di provare una profonda nostalgia per
quei giorni lontani, in cui si scherzava allegramente sugli americani
con le loro pizze e le loro ambulanze.








La guerra che verra' non è la prima.

Prima ci sono state altre guerre.

Alla fine dell'ultima

c'erano vincitori e vinti.

Fra i vinti la povera gente

faceva la fame.

Fra vincitori faceva la fame

la povera gente ugualmente.





Chi sta in alto dice: pace e guerra

sono di essenza diversa.

La loro pace e la loro guerra

son come vento e tempesta.



La guerra cresce dalla loro pace

come il figlio dalla madre.

Ha in faccia

i suoi lineamenti orridi.



La loro guerra uccide

quel che alla loro pace

è sopravvissuto.





Al momento di marciare molti non sanno

che alla loro testa marcia il nemico.

La voce che li comanda

è la voce del loro nemico.

E chi parla del nemico

è lui stesso il nemico.





Quando dagli altoparlanti l'imbianchino

parla di pace, i terrazzieri guardano

le autostradee vedono cemento

fino a mezzo metro

per carri armati pesanti.



L' Imbianchino parla di pace.

Rialzando le schine doloranti,

le mani grandi appoggiate ai cannoni,

i fonditori lo ascoltano.



I piloti dei bombardieri rallentano i motori

e ascoltano l' Imbianchino parlare di pace.



I tagliaboschi stanno in ascolto

nelle foreste silenziose

i contadini lasciano gli artri

e portano la mano all'orecchio

le donne, che recano da mangiare

nei campi, si fermano.

Sul campo arato c'è un' auto

con altoparlanti. Di lì si sente

l' Imbianchino esigere la pace.



Quando la guerra comincia

Forse i vostri fratelli si trasformeranno

e i loro volti saranno irriconoscibili.

Ma voi dovete rimanere eguali.



Andranno in guerra, non come

ad un massacro, ad un serio lavoro.

Tutto avranno dimenticato .

Ma voi nulla dovete dimenticare.



Vi verseranno grappa nella gola

come a tutti gli altri.

Ma voi dovete rimanere lucidi.



Chi sta in alto dice:

si va verso la gloria.

Chi sta in basso dice:

si va verso la fossa.



B.Brecht




















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