LÀ DOVE OSANO I CALABRONI

Data 29/6/2004 0:00:14 | Categoria: analisi

LÀ DOVE OSANO I CALABRONI



di Anna M.



28.06.04 - Disse una volta Ferruccio De Bortoli: “L'economia italiana
è paragonabile ad un calabrone: non c'è legge fisica che
spieghi come possa volare, ma vola”.



E di miracolo in miracolo, pare addirittura che oggi il nostro ministro
Tremonti – la longa manu economica del Berlusconi-pensiero - abbia
trovato la "ricetta" magica per far volare anche il tozzo calabrone
là dove osano solo le aquile: semplicemente, ridurre le tasse, e
contemporaneamente tagliare le spese pubbliche. Che sarebbe poi, in
soldoni, la politica fiscale di Bush, uno dei pochi dal quale
Berlusconi pare accettare di buon grado indicazioni e consigli.



Ma negli Stati Uniiti la" Bush Tax" si è rivelata, come previsto
da molti repubblicani stessi, un autentico flop: basti pensare che chi
ha un reddito annuo superiore ad 1 milione di dollari, ne risparmia 110
mila di imposte, mentre il 60% degli americani, che forma la base della
piramide reddituale, risparmia la bellezza di 304 dollari in tutto.
Soldi che non fa nemmeno in tempo a contare, ...
... poichè già totalmente ingoiati dagli aumenti delle imposte locali e dei servizi.



Di contro la tanto decantata crescita dei posti di lavoro, da quando
è entrata in vigore questa riforma fiscale (Luglio 2003), non
c’è stata affatto, mentre sono puntualmente avvenuti gli
inevitabili tagli all'istruzione, alla sanità, all'assistenza
delle classi deboli, accompagnati dall’aumento del costo dei trasporti
e dei servizi, nonchè delle spese locali.



E nonostante tutti abbiano davanti agli occhi l’attuale situazione
americana, Berlusconi vorrebbe introdurre questo tipo di riforma
fiscale anche in Italia.



Alla linea-Tremonti fa però da contraltare Fini, che dopo le
europee pretende più ascolto su certe decisioni di fondo, e che
spinge invece per una priorità di welfare, lavoro, mezzogiorno e
attenzione sulla finanza pubblica. Ma la sua strada, quella di una
politica sociale apparentemente rivolta ai ceti medio-bassi e al Sud,
non è praticabile senza alimentare nuove spese, mentre Tremonti
deve già trovare da qualche parte i 12 miliardi di euro che gli
servono per poter ridurre le aliquote IRPEF, e per tagliarne almeno 6 o
7 sui conti.



Condoni e cartolarizzazioni sono finiti; resterebbero da vendere gli
uffici pubblici, ma si dovrebbe poi ricorrere all'affitto di immobili,
cosa che potrebbe risultare non vantaggiosa a lungo termine, anche se
efficace a termine brevissimo. Per contro, si prevede un aumento del
costo del denaro, con la conseguenza che si pagheranno più
interessi sui debiti.



Grazie però alla complicità dell’intero sistema stampa e
TV, a cui contribuisce quel senso di rassegnazione che ormai pervade
buona parte della popolazione, non ci si sta assolutamente rendendo
conto di quale sia il rischio che gli italiani corrono se questa linea
economica verrà implementata.



Nè serve essere laureati in scienze superiori, per comprendere
cose a cui la semplice logica dovrebbe bastare: a cosa servono le
imposte, dopotutto?  A pagare, principalmente, i servizi comuni -
cioè scuola, assistenza, sanità, ecc  – secondo
quell’articolo della Costituzione (53) per cui “tutti sono tenuti a
concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità
contributiva”. Lo stesso articolo aggiunge poi che “il sistema
tributario è informato a criteri di progressività”.
Ovvero, ognuno di noi, in proporzione al reddito, contribuisce con le
proprie imposte al pagamento dei servizi della collettività.



E se da una parte è vero che imposte troppo onerose rallentano
l'economia – nel senso che non agevolano certo gli investimenti del
privato cittadino - è altrettanto vero che la Berlusconi Tax,
proprio come quella di Bush, prevede solo il taglio delle imposte ai
redditi più alti. Laddove – sempre per parlare di aquile – gli
investimenti risulterebbero decuplicati, mentre nel mondo dei calabroni
la differenza sarebbe talmente esigua che noi continueremmo a faticare
per restare sollevati da terra.



Inoltre, la riduzione di gettito dovuta ai tagli porta comunque ad un
ammanco nelle casse dello stato, e questo si riflette necessariamente
in dolorosi tagli ai servizi pubblici, compresi quelli essenziali.



Se poi, per tenere il passo nella mondializzazione dei flussi
economici, diviene necessario "alleggerire" lo stato di incombenze che
ne diminuiscono l’agilità sul mercato, non si fa che
privatizzarne le pachidermiche strutture pubbliche, trasferendo la
gestione del denaro di tutti nelle mani di tante nuove, scintillanti
SPA. Che hanno però il piccolo difetto di essere "programmate" a
funzionare non a tutela del cittadino, ma dell’economia stessa: la loro.



Questo era, bene o male, quello che Berlusconi cercava di “spiegarci”,
al tempo della campagna elettorale, quando sosteneva che lo stato vada
gestito esattamente come un’azienda.



E questa è, nella sua essenza, anche la logica neoliberista
tanto amata dai Bush, dai Berlusconi, dagli Aznar e dai Blair di mezzo
mondo: maggior profitto con il minimo impegno. Una logica nella quale,
ovviamente, non trova più posto nessuna garanzia di sostegno
sociale.



Nella difficoltà infine di mantenere la crescita, si può
arrivare a giocare con disinvoltura persino la carta della forza: ecco
perchè in questa nuova logica tutte le guerre non solo sono
tollerate, ma addirittura benvenute, in quanto costituiscono un
benefico rilancio per l’economia dell’occidente.



Da qui però anche la necessità di instaurare nel popolo
quell’ "economia della paura" – che i vari governi insistono nel
chiamare “terrorismo” – che congela la mente del cittadino e ne limita
nel contempo la mobilità effettiva.



Alla fine il capitalismo, nato come antidoto alla paura della
povertà, ha finito per instaurare la povertà della paura.



Anna M. ("DIVA")








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