I "doveri" nella democrazia

Data 20/4/2009 23:00:00 | Categoria: opinione

In senso stretto, “democrazia” significa “potere del popolo”, ed è riferito alle forme di governo in cui si cerca – almeno nelle intenzioni - di mettere in pratica questo principio altamente idealistico di distribuzione equanime del potere.

In senso lato il termine “democrazia” viene usato per indicare una generica “parità di diritti” fra gli individui – in qualunque situazione - dove non esistano privilegiati nè sfavoriti in partenza.

Si dice, ad esempio, che “internet è democratico” perchè tutti possono parlare, mentre “la TV è oligarchica”, perchè solo alcuni possono farlo. Nel cogliere questo aspetto dei mezzi di comunicazione di massa, Pasolini è sempre stato all’avanguardia (meglio di lui lo avrebbe detto forse soltanto McLuhan, con il suo folgorante “Il mezzo è il messaggio”):



La “democrazia di internet” pone però una nuova serie di problemi, poichè troppe persone confondono “democrazia” con libertà, e “libertà” con assenza di responsabilità.

Una volta stabilito che usiamo il termine “democrazia” in senso lato, per indicare i “pari diritti” di cui ciascun cittadino gode nella rete, …
… dobbiamo ricordare che nessun diritto può esistere senza un dovere che in qualche modo gli sia complementare. Per fare esempi di una banalità assoluta, diciamo che il mio diritto di urlare finisce dove inizia il tuo di non vederti sfondare i timpani, che il mio diritto di inquinare finisce dove inizia il tuo di respirare aria pulita, ecc. ecc.

Dove finisce quindi il “diritto di parlare” di un individuo – ammesso e non concesso che debba finire - in una “democrazia” come Internet?

Partiamo dal “non concesso”:

Teoricamente, non esistono limiti alla libertà di espressione (*). In Internet chiunque ha diritto di dire tutto quello che vuole, nel modo in cui vuole, e per tutto il tempo in cui vuole farlo: basta che apra il suo blog personale, e può passare intere giornate ad urlare dal suo balcone privato, senza tema di essere disturbato da nessuno.

Nessuno infatti è obbligato a venire ad ascoltarlo.

Ma questa non è democrazia, è micro-monarchia moltiplicata all’infinito. Se ciascuno fa quello che vuole nel giardino di casa sua gode al massimo di un diritto territoriale, stabilito dal catasto, e non di un diritto “individuale”, in quanto membro di una collettività.

Finchè c’erano terre libere (si fa per dire) da occupare verso occidente, in America nessuno si è mai preoccupato di fare leggi vere e proprie. Bastava quella che, non a caso, era chiamata “legge del Far West”.

I problemi iniziano quando si vuole coabitare. Quando la “verde vallata” di ciascuno diventa la piazza cittadina di tutti.

Chi sia mai stato in Piazza del Duomo negli anni settanta, alla sera dopo le sei, sa bene cosa significhi “libertà di dire quello che si vuole” in mezzo a tutti gli altri. E’ il rumore assoluto, in senso letterale e in senso metaforico.

Quei pochi che volevano scambiarsi due opinioni alla fine dovevano appartarsi in un vicolo laterale, per riuscire a sentire quello che diceva la controparte, e poi replicare.

Questo pone una serie di problemi non da poco, quando si voglia instaurare in Internet un luogo comune di discussione, aperto a tutti, in cui venga “democraticamente” rispettato il diritto di ciascuno alle proprie opinioni.

E vi posso garantire – detto da chi si sforza di farlo ormai da molti anni – che la cosa è tutt’altro che facile.

“Regolamentare” infatti significa automaticamente “limitare”, e questo va contro il principio stesso di “libertà di espressione”. Se “sei libero di” ma “solo se” - viene da chiedersi - allora che libertà è?

Torniamo all’esempio di Piazza del Duomo, e vediamo “analiticamente” che cosa hanno fatto le persone che si sono appartate a discutere nel vicolo. Poichè per discutere bisogna capire cosa dice l’altro, qualcuno ad un certo punto avrà detto: “Sentite, andiamo dietro l’angolo, che qui non si capisce una mazza”, e gli altri lo hanno seguito.

Ma una volta arrivati dietro l’angolo non hanno avuto bisogno di “stabilire” nessuna ”regola della conversazione”, prima di iniziare finalmente a parlare.

Uno di loro avrà semplicemente detto: “Scusa, cosa stavi dicendo?” L’altro avrà risposto “Stavo dicendo che secondo me bla bla bla…” e lo scambio di idee è finalmente andato in porto, senza che nessuno si stupisse particolarmente per questo. Anzi, alla fine avranno pure detto: “Cazzo, potevamo venire via prima, senza stare a perdere mezz’ora in quel casino”.

Che cosa è cambiato - oltre al livello fisico del “rumore” - fra la confusione di Piazza del Duomo e la discussione nel vicolo? E’ cambiato che quando uno parlava gli altri lo ascoltavano, e potevano poi replicare.

Cosa sarebbe successo se invece, una volta nel vicolo, uno di loro avesse iniziato comunque a gridare sugli altri, interrompendoli sistematicamente? Prima gli avrebbero chiesto di smettere, poi lo avrebbero mandato affanculo.

Avrebbero per questo “limitato la sua libertà di espressione”?

Sì, e no.

Sì, perchè di fatto gli avrebbero impedito di esprimersi a 360°. No, perchè era sottinteso che fossero venuti nel vicolo proprio per discutere, quindi lui con quel comportamento impediva di farlo.

Capita a quel punto, di solito, che invece di riconoscere il proprio errore l’allontanato vada in giro per altri vicoli a piagnucolare, dicendo che “quelli là non lo lasciano parlare”, e che lì “non sono affatto democratici come dicono di essere”.

Ma può davvero costui accusare gli altri di essere stati “antidemocratici”?

No, perchè lui inizialmente HA AVUTO pari opportunità rispetto a tutti. E’ stato lui ad approfittarsene, usando quell’opportunità per uno scopo diverso da quello comunemente stabilito. E’ quindi lui, casomai, ad essere stato “antidemocratico”, poichè estendendo arbitrariamente il proprio “diritto di espressione” oltre le orecchie altrui ha finito per limitare il loro diritto di sentire cosa si diceva.

Come spesso accade, la gallina che starnazza è proprio quella che ha fatto l’uovo.

In conclusione, nel mio tentativo di governare al meglio questo piccolo “vicolo”, io posso stabilire ed affiggere tutte le regole di questo mondo, ma alla fine il criterio a cui devo rifarmi rimane uno solo: la persona è veramente intenzionata ad uno scambio costruttivo di idee (**), o desidera invece inquinarlo, se non magari impedirlo del tutto?

Dopodichè agisco di conseguenza, nella piena convinzione di salvaguardare prima di tutto il diritto di espressione degli altri – e quindi il sito stesso - anche se le mie azioni a volte possono apparire incoerenti, se non contraddittorie del tutto.

Massimo Mazzucco



* Fatto salvo per il rispetto delle leggi vigenti, of course. (Ciao JB, tutto bene dalle tue parti?)

** Sia chiaro, io per costruttivo non intendo affatto il buonismo pacioso del “semo tutti fratelli” “capimose e volemose bbene”. Ci si mandi pure educatamente al diavolo, restando ciascuno delle proprie idee, ma

1 - dopo averle chiarite con assoluta limpidezza, ed aver permesso all’altro di fare altrettanto.
2 - dopo averle esposte con totale correttezza, ed aver preteso lo stesso dall’altro.

Diritti, appunto, ma anche doveri.




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