Umberto Bossi: the Bìgul has landed

Data 30/7/2009 10:40:00 | Categoria: politica italiana

Ormai non si riesce a far passare un mese senza che l’Italia torni a far notizia nel mondo, e sempre per gli stessi motivi: siamo i pagliacci del circo politico mondiale, quelli che riescono a dire tutto e il contrario di tutto nello stesso momento, convinti che nessuno si accorga delle nostre pietose contraddizioni, giustificate in seguito da scuse ancora più pietose.

Ora che il Re della Gaffe - nonchè Primo Ministro del nostro paese – è momentaneamente in ritiro a leccarsi le ferite, tocca al celoduro nazionale balzare alla guida del carrozzone, annunciando una specie di “ritiro unilaterale” delle nostre truppe in Afghanistan: ''Abbiamo un sacco di missioni all'estero dei nostri militari che ci costano troppo – ha detto Bossi - e i morti non piacciono a nessuno. Faccio parte di una coalizione di governo e non posso decidere da solo. Ma dobbiamo incominciare a parlarne, a ragionarci sopra.”

Il terremoto è stato immediato, e qualcuno ha dovuto subito correre all’ambasciata americana, per rassicurare i nostri padri-padroni sulle vere intenzioni del nostro governo. Nel frattempo partiva il classico “damage control” all’italiana, con Berlusconi che cercava di spegnere il classico incendio con una pisciata: “E’ stata solo una battuta”, ha detto con il sorriso di quello che ormai è abituato a dare la stessa spiegazione per qualunque cosa accada. “Ho detto che i musulmani sono arretrati? Era solo una battuta!” “Ho detto che Schultz è un kapò nazista? Era solo una battuta!” “Ho toccato il culo al primo ministro finlandese? Era solo una battuta!” Se non altro, Berlusconi ha evitato di dirci che la frase di Bossi “è stata presa fuori contesto”, che sarebbe stato ancora peggio.

Anche perchè Bossi il contesto non sa nemmeno cosa sia: lui grugnisce una ventina di parole al massimo - tutte insieme, come vengono vengono – poi a metterle in ordine, e casomai a trovare una relazione con quanto accade nel mondo, ci pensa qualcun altro.

La giustificazione di La Russa invece è stata molto più sofisticata e colta, …
… quasi credibile: “In questi ultimi anni Bossi si è molto ammorbidito, parla da padre di famiglia. Ma noi siamo ministri.” Forse avrebbe voluto dire “ma noi siamo soldati”, ma non si è azzardato. Poi però ha aggiunto: “La presenza dei nostri militari in Afghanistan è imprescindibile”. Sembra quasi di sentirlo, che vibra di ardore patriottico dalle colline di El Alamein, batte i tacchi e lancia in aria il saluto romano al passaggio dei tank americani. “Yessir! Siamo pronti a morire nel nome della libertà!”

Passano cinque minuti e lo smentisce platealmente Calderoli, che dichiara che “in fondo Bossi non ha tutti i torti”. Bene o male, è un ministro del governo anche lui, mica si può ignorarlo.

Arriva infatti la controsmentita immediata di Frattini, che afferma enigmatico: “In Afghanistan si lavora anche per la sicurezza dell'Italia e quindi di Calderoli”.

La cosa si fa complessa, e possiamo solo immaginare come possa apparire a questo punto la nostra posizione agli americani, che sono abituati a dividere il mondo al massimo in due: chi è con noi, e chi è contro di noi. Già il concetto di neutralità li manda in confusione, figuriamoci un alleato che dice contemporaneamente sette cose diverse, ti sorride quando lo guardi e ti spernacchia appena ti volti.

Ma ci pensa il nostro Premier, l’uomo che aveva appena dichiarato che “la nostra linea non cambia”, a fare chiarezza una volta per tutte: “Solo dopo le elezioni in Afghanistan potremo pensare attentamente a una exit strategy dal Paese, ma solo concordata con gli altri partner”.

Che sarebbero poi gli stessi che hanno appena finito di incazzarsi per il nostro voltafaccia.

Quindi, riassumendo, la posizione del nostro governo sarebbe questa: la presenza dei nostri militari in Afghanistan è im-pre-scin-di-bi-le, ma solo fino a settembre, perchè la missione costa troppo e i morti non ci piacciono. Una volta finite le elezioni avremo garantito la sicurezza di Calderoli e dell’Italia, e quella che era “sola una battuta” potrà diventare una vera e propria exit–strategy, ma solo se concorderanno con noi quelli che non vogliono che torniamo a casa.

In tutto questo bisognerebbe aggiungere, come ha detto lo stesso Calderoli, che “in Libano e nei Balcani però rimaniamo”. Perchè lì ovviamente ci andiamo senza spendere una lira, e i morti non ci dispiacciono più di tanto.

L’importante è la coerenza.

Massimo Mazzucco



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