Azzurri specchio del paese?

Data 25/6/2010 20:20:00 | Categoria: opinione

di Paolo De Gregorio

Oggi, 25 giugno, “il Fatto Quotidiano” apre con questo titolo, a cui mi sono permesso di aggiungere un punto di domanda, e non mi piacciono né l’editoriale di Oliviero Beha, né i commenti nelle pagine interne.

Intendiamoci sono commenti una spanna sopra le evocazioni drammatiche dei giornali popolari, con categorie tipo vergogna e umiliazione, ma in sostanza io credo che non ci sia nessuna relazione tra il declino economico e morale della nostra nazione e la disfatta pallonara di Lippi.

Infatti, come controprova, 4 anni fa da campioni del mondo avremmo dovuto essere come paese al massimo del fulgore, mentre iniziava il governicchio Prodi con una risicatissima maggioranza, costituita da 12 partitini in conflitto tra loro.

Per confermare questa mia convinzione, ho nei miei ricordi l’enfasi con cui Antonio Barbato, mezzobusto televisivo di sinistra, celebrò la vittoria del Napoli di Maradona come la vittoria della città, ...
... cui sicuramente sarebbe seguito un riscatto politico e morale, un nuovo rinascimento.

Naturalmente non successe nulla e oggi la città è in mano, come sempre, a politici contigui alla camorra, i rifiuti sono sempre per le strade (ma le TV del sultano non li fanno vedere) e le persone perbene che si oppongono devono girare con la scorta.

Se ci liberassimo di questi pregiudizi, potremmo cercare razionalmente di capire che grande evento progressista sarebbe una diversa organizzazione del mondo calcistico, restituendolo ai veri sportivi ed appassionati, non più nella dimensione commerciale di società per azioni (SpA) in mano a capitalisti con ambizioni politiche e di lucro, dove vince sempre chi ha più soldi, ma nella dimensione democratica di SOCIETA’ SPORTIVE, autogestite dagli iscritti azionisti, dove i presidenti li eleggono i tesserati.

Il finanziamento deve contare solo sulla entità della partecipazione popolare, gli stadi devono essere di proprietà dei club, strumenti per allevare i vivai, con palestre, foresterie, posti di ristoro, con un servizio d’ordine organizzato dalla società, che scelga i più saggi e responsabili dei suoi tesserati per sostituire la polizia durante le partite.

Se a questo aggiungessimo che ogni squadra non deve più contare sul mercato della “carne da pallone”, ma sui giocatori che alleva nella sua scuola di calcio, ecco che sarebbe finito il dominio di quelle squadre che hanno dietro i più grandi capitalisti, e verrebbero premiati solo coloro che fanno buone scuole calcio e che hanno il sostegno popolare dei tesserati.

La vera rivoluzione sarebbe questa, vietare il mercato. Nessuno straniero può essere tesserato, nessun italiano può essere comprato da altre squadre e il suo futuro è solo nella squadra che lo ha creato. La Nazionale ne sarebbe enormemente avvantaggiata e anche il tifo per la propria squadra avrebbe un senso di appartenenza, dello stesso spessore di quello dei senesi per il proprio Palio.

Il calcio, riportato alle sue origini, restituito alle società sportive, agli appassionati, ai competenti, ai colori sociali delle squadre, alle scuole calcio, consegnato alla democrazia e tolto ai dittatori, allora sì potrebbe essere un elemento di progresso della intera nazione e dei cittadini, che non si sentono espropriati dal “mercato”, ma trovano bello “partecipare” a questo evento sportivo.

Come il Barcellona in Spagna, che con la sua caratteristica organizzativa di partecipazione democratica fu uno dei pochi lumi accesi durante la dittatura franchista.

Quanto a quella immonda violenza primitiva dei falsi tifosi, sarebbe espulsa per sempre dagli stadi, in quanto nessuno andrebbe a danneggiare uno stadio di cui è azionista, e una buona politica di abbonamenti non dovrebbe riservare nemmeno un biglietto alla vendita. Finalmente si andrebbe a vedere una partita di calcio con famiglia e bambini, senza temere guerriglia, aggressioni, devastazioni.

Oggi il calcio è un potentato delle oligarchie economiche, facciamolo diventare una palestra di sport e democrazia.

Paolo De Gregorio

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[L'articolo è stato pubblicato in attesa di una conferma della fonte - La Redazione].



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