"NOI", E "LORO"

Data 14/11/2004 9:58:31 | Categoria: opinione

"NOI", E "LORO"

di Massimo Mazzucco

Almeno un italiano su due, ad occhio e croce, teme oggi in qualche misura il pericolo islamico. L'altra metà, sempre più o meno, è più propensa a credere che questo pericolo non esista, ma sia solo il risultato di una sapiente e prolungata "campagna diffamatoria", su scala globale, ai danni dell'Islam.

Ma da qualunque parte la si veda, tutti più o meno concordano sul fatto che la spaccatura odierna vada fatta risalire in maniera determinante agli eventi dell'11 Settembre. Risulta infatti evidente come le persone che "temono l'Islam" siano in gran parte le stesse che accettano la versione ufficiale dei fatti di quel giorno, mentre quelle scettiche sul pericolo islamico ...
... sono le stesse che ritengono si sia trattato di una operazione interna - con bin Laden nel ruolo del finto "cattivo" - intesa proprio a scatenarne la paura, con tutto ciò che ne è conseguito.

Sappiamo però anche che, ad appena voler guardare con occhio critico la versione ufficiale, questa fa acqua da tutte le parti. Non vi è persona moralmente onesta che abbia potuto prendere in esame gli elementi probanti degli attacchi a Torri e Pentagono, senza riconoscere che ciò che ci è stato raccontato è semplicemente impossibile.

Ma dove sta allora - si chiede chi già è convinto dell' "auto-attentato" americano - la difficoltà nel riconoscere questa montagna di bugie, che ti obbliga poi ad arrampicarti sui vetri, pur di continuare a giustificarle in qualche modo?

Forse perchè - ci permettiamo di suggerire - accettando l'evidenza dei fatti bisogna anche ridiscutere cose troppo importanti dentro di noi.

E torniamo così al "noi" e "loro" che sembra così tanto dividerci ogni giorno di più. Perchè è ovvio che se l'11 Settembre fa parte di un disegno a lungo termine dei neocons americani, è anche molto probabile che l'immagine dell'Islam che ci viene offerta ultimamente sia stata fortemente inquinata a loro uso e consumo. Iniziando proprio dagli attentati stessi, per quali non avrebbero certo scelto 19 ballerini svedesi a cui poi addossare la colpa.

In realtà una criminalizzazione strisciante del mondo arabo è in atto già da molto tempo, e la si può riscontrare nella stessa cinematografia americana degli ultimi vent'anni: dai guerriglieri nemici dell'ultimo Rambo (proprio afghani, fra l'altro), alla banda di terroristi di "True Lies" di Schwartznegger, e passando per i mille arabi "cattivi" di altrettanti film minori, ricordiamo solo una scena, di Spielberg, che sembra sintetizzare alla perfezione ciò che è successo di recente in Medio Oriente: Indiana Jones si ritrova in una piazzetta di paese, con davanti un arabo urlante, che minaccia sfracelli agitando nell'aria le sue scimitarre. Jones con aria annoiata estrae la pistola, lo fredda con un colpo preciso, scrolla le spalle e procede sul suo cammino. Straordinaria premonizione, se non altro.

Noi inoltre sappiamo, guardando alla storia, che da sempre i governanti di ogni paese che abbiano voluto invaderne un altro, si sono premurati di dipingerne prima la popolazione in maniera negativa e pericolosa, in modo da scatenare le paure collettive necessarie poi a giustificare l'invasione. (Quanto fortunati dovrebbero essere stati, i neocons di Bush, per aver ottenuto lo stesso identico effetto dall'11 Settembre, pur essendo curiosamente diversi dagli altri leader della storia? Quando poi erano loro stessi che da anni andavano augurandosi "una nuova Pearl Harbour" che aprisse finalmente il confronto militare con il Medio Oriente?).

Ed ecco infatti spuntare, nell'immaginario collettivo (leggi, i media unificati dell'Occidente), il "musulmano tagliateste", feroce come un Attila, brutale come una fiera in cattività.

Noi abbiamo più volte mostrato come le varie decapitazioni, nei video che giungevano dall'Iraq, siano state realizzate con il chiaro intento di far apparire l'assassino molto più brutale ed animalesco di quello che fosse (fingendo cioè di decapitare un prigioniero vivo, quando in realtà si trattava di un cadavere). Perchè mai fare ciò? Che interesse avrebbero mai avuto, degli iracheni, ad apparire ancora peggio di quello che già dovrebbero essere, ai nostri occhi? E chi può invece averne tratto un vantaggio, in quel caso?

Tutte queste decapitazioni, inoltre, sono giunte in momenti estremamente sfavorevoli alla causa irachena, mentre sembravano ogni volta il bacio della fortuna per un'amministrazione Bush di difficoltà. Ricordiamo soltanto, al proposito, come il video di Nick Berg sia venuto ad impadronirsi dei nostri incubi proprio nel momento in cui l'amministrazione Bush iniziava a traballare per il montante scandalo delle torture di Abu Grahib.

Vi sembra che gli iracheni, proprio nel momento in cui il mondo stava vedendo che cosa succede davvero a casa loro, si sarebbero preoccupati di distrarre la nostra attenzione tagliando la testa ad un americano?

***

E' vero anche che la Logica, per quanto ferrea, può arrivare solo fino ad un certo punto. Lì iniziano altre emozioni, che con la sola ragione è molto difficile controllare. L'istinto atavico di proteggere il proprio territorio dall' "altro", dal "diverso", dall'"esterno" - chiunque esso sia - fa parte della nostra stuttura genetica, oltre che della nostra cultura storica. I "confini" esistono da millenni, e non sono certo stati inventati per caso. L'unica differenza è che oggi si cerca di farli rispettare attraverso le leggi, mentre una volta si risolveva il tutto a legnate in testa.

Ma è anche vero che la storia del mondo va solo in avanti (per quanto a volte possa apparire il contrario), e che in quella direzione le genti e le razze vadano inevitabilmente e costantemente mischiandosi, ed in maniera irreversibile. Che poi alcuni possano vedere questo come un attentato alle proprie radici culturali è un fatto che va riconosciuto, e di fronte al quale si può al massimo suggerire che, in uno scambio reciproco, ci si possa anche arricchire senza necessariamente perdere. Dipende probabilmente dall'atteggiamento di fondo, che sia di rispetto verso l"altro", piuttosto che non di imposizione del "nostro".

Comunque sia, è un fatto che oggi il terzo mondo spinga disperatamente verso di noi (non sono solo arabi, gli affamati che bussano alla nostra porta), e la cosa appare inevitabile, visto che qui c'è un benessere che da loro non c'è. Lo hanno fatto i nostri nonni verso l'America, ed altri lo faranno nel mondo, finchè l'asse del benessere continuerà a cambiare latitudine.

E mentre per la cultura lo svantaggio si può discutere, dal punto di vista della ricchezza è chiaro che l'occidente abbia solo da perdere, in uno scambio di qualunque tipo. A nessuno è mai piaciuto dividere in due ciò che appena crede sufficiente per se, quando inoltre si ritenga a pieno diritto il proprietario.

Qui purtroppo bisognerebbe aprire un discorso immenso, che chiami in causa dei principi assoluti come il diritto a possedere qualcosa, la fortuna di nascere in un luogo piuttosto che in un altro, e l'eventuale necessità di compensare in qualche modo questo handicap iniziale, offrendo davvero a ciascun essere umano "pari opportunità". Se no si scade nel "compassionate conservatism" di Bush, che alla fine si può tranquillamente tradurre con un semplice "mi spiace che tu sìa povero".

Ma comunque la si pensi, sulla questione egoismo-altruismo, di certo possiamo oggi affermare una cosa: mentre mille voci preoccupate, in occidente, paventano una specie di "islam-colonizzazione" a tutto campo, sono i nostri carri armati ad aver invaso, senza nessuna giustificazione, la terra islamica, sono i nostri soldati ad aver ucciso più di centomila dei loro civili, siamo noi dell'occidente che stiamo imponendo a loro - migliori o peggiori non fa differenza - parametri morali e sociali diversi, siamo noi che stiamo cercando di imporre loro una costituzione che ignori la religione, mentre gli abbiamo addirittura dato una nuova bandiera, disegnata da uno studio grafico di Chicago.

Se qualcosa di simile venisse fatto a noi, c'è per caso qualcuno che lo accetterebbe?

Mentre fra di noi si sente sempre più spesso dire che "ci invaderanno il paese", che "obbligheranno le nostre donne ad indossare il burqa", e che "obbligheranno tutti noi ad andare in moschea", come se di colpo ottocento milioni di europei potessero venire sopraffatti in una notte da uno, due, o anche venti milioni di arabi! (I quali fra l'altro vantano una storia di tolleranza religiosa almeno dieci volte superiore alla nostra).

Noi italiani abbiamo invaso il mondo intero, e l'America in particolare, ma di certo non siamo andati per imporre gli spaghetti al posto delle hamburger, o il calcio al posto del foot-ball americano. Al massimo, a chi piacciono gli spaghetti, abbiamo offerto una valida alternativa alla loro dieta da vaccari.

Dire seriamente che gli arabi rischiano di "colonizzarci", proprio mentre noi lo stiamo facendo a loro, è un paradosso inaccettabile, ed una ingiustizia talmente plateale che può anche sorgere il sospetto che qualcuno lo faccia - magari anche inconsciamente, ma intanto lo fa - per giustificarsi in qualche modo le nostre azioni in casa altrui.

***

A questo punto sarà certo sembrato a qualcuno che stiamo "difendendo gli arabi" a tutti i costi, ignorando nel frattempo l'aspetto fanatico che spesso li contraddistingue. In realtà non lo ignoriamo affatto, anzi lo condanniamo esattamente come condanniamo un certo fanatismo cristiano-evangelico americano, e come condanniamo ogni altro fanatismo nel mondo, di matrice religiosa o meno. Ci mancherebbe.

Qui purtroppo bisognerebbe aprire un altro discorso, ancora più complesso, sulla natura ambivalente di tutte le religioni, e sull'uso improprio che ne è stato regolarmente fatto, nella storia, da parte dei vari governanti, per amalgamare i propri popoli ed eventualmente scagliarli - ieri come oggi, appunto - contro quelli nemici.

Nessuno di noi è stato mai stato attratto in particolar modo dal burqua o dai Cinque Pilastri di Maometto, è se è vero che "difendiamo" gli arabi, lo facciiamo solo nel momento in cui si continui a manipolare il messaggio mediatico ai danni loro o della loro cultura. Lo faremmo con chiunque altro.

Chiediamo soltanto, alla fine, quel rispetto per l' "altro" in quanto tale - di principio e non di comodo - di cui non si sente più la fragranza da ormai troppo tempo.

Massimo Mazzucco




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