Italia e Cina: il trave e la pagliuzza

Data 18/12/2005 8:28:52 | Categoria: news internazionali

di Andrea Franzoni

Sono molte, specie nell'ultimo periodo, le storie di sfruttamento e di maltrattamenti ai danni degli operai cinesi. La Cina, paese che ci fa enormemente paura e che sembra sempre in procinto di schiacciarci, viene infatti dipinta come un regno di campi di lavoro pieni di forzati che vengono spremuti fino alla morte, lavorando decine di ore al giorno senza la minima protezione, e che vengono poi sbattuti tranquillamente per strada una volta inutili.

Questa situazione terribile, per la verità per nulla dissimile a quella nella quale versano milioni di lavoratori in Sud America, in Asia, in est Europa o in Africa, è al centro di una feroce strumentalizzazione mossa da interessi meramente economici, ovviamente, ma che prova a far leva sulla difesa dei diritti dei lavoratori rivendicando dazi, barriere e altre limitazioni sulle merci cinesi (andando contro agli stessi principi di libero mercato professati da decenni). Mentre il cinese viene sempre più stereotipato, e mentre gli industriali nostrani invocano uno sbarramento delle frontiere …

… che ci salvi dall'invasione gialla pretendendo, come ipotetica condizione per aprire i commerci, il rispetto dei diritti dei lavoratori e l'aumento dei loro salari, gli stessi industriali sembrano dimenticarsi della loro ferrea etica non appena, imbarcatisi sul primo aereo, trovano il primo lembo di terra privo di diritti su cui impiantare la loro bella fabbrichetta. E non stiamo parlando solo del Terzo Mondo, dove pure facciamo schifezze da qualche decennio, ma della stessa Cina, e quindi degli stessi lavoratori cinesi, i cui diritti sono improvvisamente al centro dell'agenda politica dell'occidente.

E' recente, infatti, una notizia di quelle che fanno saltare dalla sedia ma che, sfortunatamente, pare aver avuto pochissimo risalto da parte dei media. Proviene proprio dalla Cina, e per la precisione dalla provincia di Shenzou dove, il 3 e 4 novembre, c'è stata una pesante mobilitazione operaia. 2.800 lavoratori sono scesi per strada protestando contro l'abbassamento del salario, le insalubri condizioni di lavoro e, soprattutto, il pestaggio di alcuni di loro che sarebbero stati malmenati proprio dai "supervisori" arrivati per l'occasione dall'Italia. L'azienda al centro delle proteste è l'italianissima DeCoro, che produce divani che esporta in America vantandosi della qualità Made in Italy (a fronte del "prezzo cinese") dal 1997.

La notizia è stata riportata per prima dalla canadese CBC (1), oltre che da diversi quotidiani online asiatici e dall'Associated Press. La vicenda, in particolare, è stata trattata con ampio risalto dal China Labour Bulletin, di stanza ad Hong Kong per sfuggire agli ostacoli dell'oscurantismo cinese, che vi ha dedicato due esaurienti articoli (2).

In Italia, che io sappia (da quello che ho pescato sulla rete), vi ha accennato nel suo blog Beppe Grillo (il titolo "Italiani brava gente" è suo) (3) e l'edizione cartacea di Repubblica, con un ottimo lavoro di Federico Rampini(4).

La vicenda. La DeCoro fabbrica i suoi prodotti in una grande fabbrica in Cina (la più grande fabbrica di divani di tutto il mondo, si vanta il titolare sul sito internet (5) assemblando le materie prime provenienti da tutto il mondo: pelli italiane, intelaiature svedesi, parti meccaniche statunitensi e poliestere coreano. Sono circa 3.000 gli operai che, esclusivamente a mano, fabbricano fino a 55 container pieni di divani per un fatturato di circa 300 milioni di euro (a fronte di un investimento iniziale di soli 2,5) (6).

Le paghe sono discrete per essere in Cina: 240 dollari al mese. Il China Labour Bulletin, certo, denuncia violazioni della legge cinese (7), leggi che probabilmente in pochi rispetteranno e che le stesse autorità faranno applicare senza essere troppo severi. Gli operai della DeCoro (gli operai cinesi per i cui diritti, leghisti e industriali italiani, tanto si battono) sono obbligati a lavorare 7 giorni su 7, sforando decisamente le 44 ore settimanali (e otto ore al giorno) massime per legge, inoltre non hanno pensione, maternità, assicurazione per gli infortuni, assistenza medica e nemmeno alcuna tutela contrattuale. Un lavoratore, ad esempio, ha raccontato di aver lavorato per tre anni spruzzando colla sui pezzi di spugna, con in dotazione soltanto tre mascherine al mese, completamente immerso nelle esalazioni della colla stessa e in misteriose polveri, senza nemmeno un check-up medico finchè non ha iniziato a ammalarsi.

Voi direte: in Cina questa è la prassi, ed è ridicolo fare la morale sullo sfruttamento dei lavoratori. Queste cose, però, dovreste andarle a dire a Confindustria, che ultimamente dice di essere in prima linea per la difesa dei lavoratori cinesi. Come possiamo pretendere maggiori diritti per gli operai quando i nostri stessi industriali fanno lo stesso in tutto il Terzo Mondo e anche nella stessa Cina? Accusare i cinesi di essere degli incivili e dei barbari, nell'ambito dei diritti dei lavoratori, può essere totalmente legittimo, ma a patto di ammettere che anche noi non siamo affatto migliori, anzi. E ripararsi dietro a commenti come "stando con lo zoppo si impara a zoppicare" non è sufficiente per un paese presunto civile, come il nostro, che per di più ha alle spalle una tradizione di lotte e conquiste di cui dovremmo andare fieri e che dovrebbe essere il nostro marchio di fabbrica.

Le agitazioni, comunque, sono iniziate il 28 settembre quando 10 operai, visto il taglio del 20% totalmente inatteso rilevato nella busta paga, hanno deciso di andare a chiedere spiegazioni ai manager della ditta i quali, invece che fornire spiegazioni, gli hanno ritirato i pass per entrare nella fabbrica proibendogli, così, di andare al lavoro. Gli operai, due giorni dopo, si sono quindi presentati fuori dalla fabbrica chiedendo di poter riavere il permesso di ritornare al lavoro o esigendo, in caso, una lettera di licenziamento. Dopo avere organizzato un sit in, secondo gli operai stessi, sono stati aggrediti da quattro o cinque "supervisori" italiani che li hanno insultati e picchiati mandandone tre all'ospedale. (7)

"Io sono stato il primo ad essere picchiato - ha dichiarato Liang Tian al South China Morning Post riportato da AP - Sono stato buttato a terra e preso a violenti pugni nello stomaco. Poi mi hanno schiacciato la faccia a terra mentre io rimanevo disteso: è stato veramente umiliante". "Sono come lupi - ha testimoniato Li Fangwei affermando che gli operai, nella fabbrica DeCoro, vengono picchiati regolarmente - sono razzisti e ci trattano come schiavi". (8)

A seguito di questi fatti l'intera fabbrica è entrata in sciopero e la manifestazioni è stata sedata dalla polizia in assetto antisommossa. Gli slogan scanditi dai manifestanti comprendevano temi come il ripristino della giustizia, la fine delle violenza ai danni dei lavoratori e il ripristino dei loro diritti umani. La fabbrica è stata chiusa per almeno due giorni, in modo da stemperare gli animi: le notizie ufficiali si fermano qui, al 6 novembre, e non c'è dato di sapere quali sono stati poi gli sviluppi.

L'azienda sul sito ufficiale non accenna allo spiacevole inconveniente (9), tuttavia è stato il titolare Luca Ricci a dare la sua versione, tramite il quotidiano online delle ditte che si occupano di arredamento (10). I 10 operai, afferma, sono stati licenziati perchè non sapevano lavorare. Quanto alle paghe, Ricci afferma che in otto anni non sono mai state abbassate. Ricci (che al momento dei fatti era negli USA, ma ha parlato con un testimone diretto) ha poi affermato che sono stati gli operai ad aggredire, nel tentativo di entrare con la forza nello stabilimento, uno dei supervisori italiani. Solo allora gli altri 4 italiani sarebbero intervenuti in difesa del compagno, ferendo gli operai cinesi.

Giovanni Prati, altro dirigende della DeCoro, ha poi affermato ad AsiaNews che l'incidente è stato esagerato e che non era intenzionato "a un taglio del salario ma solo a una redistribuzione della griglia sulla quale vengono calcolati i salari" (11)

E' possibile trovare, in questa vicenda, anche un razzismo asiatico e cinese nei confronti dell'Italia. Molti, infatti, affermano che il governo cinese è spesso più morbido nel reprimere le manifestazioni di scontento contro le multinazionali straniere rispetto che contro le aziende cinesi. Anche nell'attenzione di testate come il China Labour Buletin, forse, si può denotare un pò di campanilismo e di nazionalismo. Anche se ciò fosse vero, comunque, un pò di discriminazione razziale ci farebbe veramente bene.

Sempre il China Labour Buletin, inoltre, riporta le dichiarazioni di Pezzotta, sindacalista della CISL, che ha chiesto chiarimenti e addiritture la possibilità di ispezionare la fabbrica (come per Guantanamo). Adolfo Urso, vice ministro alle attività produttive, ha commentato interpellato da AdnKronos: "Mi stupisco delle notizie che sono apparse sui giornali cinesi, rimbalzate anche in Italia. Ovviamente tocca poi ai manager dell'impresa difendersi e tutelarsi da queste accuse e risponderne nelle sedi competenti, anche in quelle giudiziarie cinesi, ove ci fossero". Alla fine, però, è l'immagine dell'Italia a esserne danneggiata.

In conclusione, una volta detta la frase di rito, tutti sono tornati a fregarsene dei lavoratori cinesi. Lontano dagli occhi (e dal portafogli), lontano dal cuore. E vissero (quasi) tutti felici e contenti.

Vediamo però di ricordarci di questo evento quando Confindustria, con l'acqua alla gola, chiederà dazi e agevolazioni per difendere i diritti dei lavoratori cinesi. Quelli che si lamentano dello sfruttamento degli operai cinesi, in verità, sono come la volpe che dichiara che l'uva, che non riesce a raggiungere perchè troppo alta, non è affatto buona. Che ce lo dicano apertamente, senza ipocrisie e squallidi proclami etici: dobbiamo proteggere l'economia perchè non reggiamo ai ritmi cinesi. Capiremmo, o dovremmo capirlo anche perchè, l'invasione cinese, minaccia più di tutti i lavoratori occidentali.

Andrea Franzoni (Mnz86)

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E-mail della direzione dello stabilimento cinese: info.cn@DeCoro.com
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(1) Workers at Italian furniture factory in China strike over beatings by bosses (CBC, 2/11/05)

(2) Workers at Italian-invested sofa factory in Shenzhen went on strike as three allegedly beaten by Italian supervisors (China Labour Buletin, 4/11/05)
(3) Italiani brava gente (9/11/05)
(4) Cina, operai contro azienda italiana "Picchiati e trattati da schiavi" (Repubblica, 5/11/05)
(5) About Us
(6) La qualità è Made in Italy, i prezzi Made in China (il Giornale, 12/10/2004)
(7) Italian sofa maker in Shenzhen violates China's labour law (China Labour Buletin, 9/11/2005)
(8) Chinese Sofa Factory Workers Go on Strike (AP, 3/11/05)
(9) http://www.decoro.com
(10) DeCoro faces labor dispute in China (Forniture Today, 4/11/05)
(11) Shenzhen: Italian supervisor beats workers protesting salary cut (Asia News, 3/11/05)




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