E' pronta la pillola per dimenticare

Data 15/1/2006 7:15:54 | Categoria: Medicina

Se esistesse una pillola in grado di cancellare i brutti ricordi, voi la prendereste?

La domanda, che sembra scaturire da un qualunque film di fantascienza degli ultimi anni, rischia invece, entro poco tempo, di diventare assolutamente reale per tutti noi.

È in fase avanzata di studio (traduzione: sono quasi pronti per vendercela) una pillola che dovrebbe agire direttamente sulla zona cerebrale in cui vengono archiviati i ricordi più dolorosi, riuscendo a attenuarne progressivamente la potenza, fino al punto da cancellarli del tutto.

Una specie di detersivo ad azione lenta, che riporti pian piano le piastrelle della nostra cucina cerebrale, unte e macchiate un pò dappertutto, allo splendore iniziale.

Di fronte a statistiche che indicano un 10% almeno della popolazione americana ...
... affetta in qualche misura da PTDS - sindrome da disordine post-traumatico - la "tentazione farmaceutica" è sicuramente notevole.

Nel presentare al pubblico il loro nuovo prodotto, naturalmente gli "esperti" americani citano casi nobili come quelli di persone che abbiano subito una violenza sessuale, oppure dei veterani di guerra, che raramente riescono a cancellare dalla loro mente orrori che noi probabilmente non possiamo nemmeno immaginare.

Che poi questa pillola, una volta sul mercato, possa essere venduta anche a chi ha provato dispiacere nel venire lasciato dalla fidanzata, oppure nello scoprire che ha preso la multa per divieto di parcheggio, è chiaramente un altro discorso.

Joseph LeDoux, professore di scienze neuronali alla New York University, ritiene che il meccanismo della memoria funzioni in maniera molto simile a quello dei nostri computer: ogni volta che un ricordo torna alla mente - sostiene il professore - è come se venisse "letto" dal nostro hard-disk, e caricato temporaneamente nella memoria virtuale (il nostro "stato d'animo"), per poi essere di nuovo archiviato, insieme a tutto il resto. Più forte è l'impatto emotivo di questo ricordo, più ogni ciclo di lettura-archiviazione contribuisce a rendere quel ricordo indelebile. Ma se noi interveniamo - e questo è il meccanismo alla base della pillola - nel momento in cui il ricordo è caricato in memoria, e in qualche modo riusciamo a "rovinare" la sua sede sull'hard-disk, ecco che allora la rearchiviazione del ricordo sarà difettosa, e ne renderà la sussistenza molto più precaria.

È più o meno quello che succede quando ci ritroviamo, da un giorno all'altro, di fronte ad un file "corrotto" sul nostro computer: a furia di rileggerlo e riscriverlo, prima o poi qualcosa va storto, e il file diventa inutilizzabile. Nell'essere umano quindi sarà necessario risvegliare almeno una volta in pieno il brutto ricordo, per poter agire sulla sua sede naturale e cercare di danneggiarla.

In tutto questo, ai propositori della pillola non sfiora nemmeno il dubbio che l'essere umano sia una entità complessa, irriducibile alle singole parti, nella quale il dolore, molto probabilmente, ha le stesse funzioni benefiche - o se non altro di equilibrio complessivo - di una qualunque altra "malattia".

Le implicazioni di tipo etico sono tali, in realtà, che è del tutto inutile richiamarle una per una, per suggerire il pericolo che si nasconde dietro a un'operazione del genere.

Il paradosso diventa sin troppo facile da sintetizzare in una singola immagine: sul bancone di un qualunque drugstore, nel prossimo futuro, troverai a tua disposizione, da un lato, il videogame che ti incita alla violenza come regola di vita, spingendoti ad uccidere nel nome della tua stessa sopravvivenza, mentre dall'altro troverai una pillola in grado di farti soffrire di meno, se per caso un giorno qualcuno ti avesse ammazzato il figlio o la sorella, nell'ambito di quella violenza.

Appare sempre più evidente, a questo punto, che chi confeziona il videogame sia lo stesso che ci procura la pillola che gli sta accanto. In attesa, naturalmente, della definitiva, conclusiva e universale "pillola della felicità": dalla nascita alla morte in pochi secondi, senza nemmeno accorgersi di avere vissuto. Ma lavorato, quello sì.

Massimo Mazzucco








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