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Scheda storica della Palestina

BBC NEWS

SCHEDA STORICA DELLA PALESTINA



 LA STORIA ANTICA

La terra che genericamente viene chiamata Palestina, e che corrisponde più o meno agli attuali Israele e Giordania Occidentale, delimitata a Nord dal Libano e a Sud dal triangolo del Sinai, è stata oggetto di conquista da parte di molti popoli nell'arco di tutta la storia conosciuta. Le prime informazioni che abbiamo sono attribuibili alla Bibbia, anche se ben poche delle medesime hanno finora trovato riscontro nelle ricerche archeologiche. (Nè ne sono state peraltro contraddette).

Secondo il resoconto biblico, antiche tribù di israeliti conquistarono parte delle terre di Canaan, lungo la costa mediterranea, verso il 1200 A.C. (Sono  gli anni in cui Mosè avrebbe scritto il Pentateuco).

Verso il 950, sotto Re Salomone, fu costruito il Tempio di Gerusalemme ("Primo Tempio"). Alla sua morte il regno fu diviso in due. A Nord, il Regno di Israele, a Sud il Regno di Giudea. E' in questo secondo che rimasero i progenitori degli ebrei contemporanei.

Nel 586 la Giudea fu conquistata dai Babilonesi, che distrussero il Tempio e cacciarono gli ebrei in una prima diaspora, limitata ai paesi confinanti.

Nel 539 Ciro di Persia conquistò Babilonia, e sotto il suo regno tollerante gli ebrei poterono tornare alle terre da cui erano fuggiti. Nell'arco di 70 anni sia Gerusalemmne che il suo Tempio erano stati ricostruiti.

Nel 330 fu Alessandro Magno a conquistare la Persia, estendendo quindi anche alla Palestina la dominazione ellenica. Questa durò fino alla cosiddetta rivolta dei Maccabei, del 168 (che si festeggia con Hanukah, in Settembre), in cui gli ebrei presero il potere in quello che sarebbe stato l'ultimo loro periodo di controllo ufficiale nella regione.

Nel 63 a.C. la Giudea venne conquistata dalla armate di Pompeo, e divenne provincia dell'Impero Romano.

(Nella foto: "Il sacco di Gerusalemme", dettaglio dell'Arco di Tito).

Nel 70 d.C una violenta rivolta popolare fu affogata nel sangue dall'imperatore Tito, il Secondo Tempio fu distrutto, e gli ebrei in fuga iniziarono quella che è storicamente considerata la "diaspora" vera e propria.

Durante la rivolta fu anche sterminata la piccola comunità degli Esseni, una setta sacerdotale eremitica, di stanza a Qumran, che si era rifugiata nella fortezza di Masada, e che ci ha lasciato i cosiddetti "Rotoli del Mar Morto".

Alla caduta del'Impero Romano (476) la Palestina passò sotto quello Bizantino, e vi rimase fino al 638, anno in cui fu conquistata dagli arabi. Fu il secondo califfo, Omar, a far costruire, sulle rovine del tempio di Gerusalemme, la moschea di Al-Aqsa, creando così una delle premesse per la disputa contemporanea. (Il "Muro del Pianto" è quello che resta oggi del Tempio, sopra il quale c'è appunto la nota "spianata".)

Dai tempi del Califfo quindi, e fatta eccezione per brevi periodi di controllo cristiano durante le Crociate (XII sec.), la Palestina è sempre rimasta sotto il dominio arabo, per passare a far parte dell'Impero Ottomano (Turchia) nel XIX secolo.


LA STORIA MODERNA

Ci ritroviamo a fine secolo XIX con ampie comunità di ebrei disperse in tutto il mondo, con diversi livelli di integrazione sociale, in situazioni più o meno armoniche, dopo aver trascorso secoli di persecuzioni di ogni tipo, praticamente in ogni luogo.

 NASCE IL SIONISMO

A seguito della pubblicazione del libro del giornalista viennese Theodore Hertzl, "Der Judenstaat" (Lo stato ebraico), si tenne a Basilea, nel 1897, il primo Congresso Sionista, con lo scopo di discuterne collettivamente la proposta. Hertzl partiva dal presupposto dell'impossibilità per gli ebrei di venire assimilati dalle varie culture che li ospitavano nel mondo, e voleva la creazione di uno stato apposito, in cui essi potessero convivere senza trovarsi necessariamente ai margini della società.

Questo intento trovava inoltre particolare riscontro nella profezia biblica, che annunciava un futuro ritorno degli israeliti alla "Terra Promessa", o Eretz Israel.

Il Congresso concluse i lavori con il cosiddetto "Programma di Basilea", il cui obbiettivo era "la creazione di uno stato per gli ebrei, in Palestina, garantito dalla pubblica legge".

Subito i primi sionisti (lett. = quelli della terra di Sion) iniziarono ad immigrare in Palestina, soprattutto dalle regiorni nord-orientali dell'Europa, dove la persecuzione si faceva sentire in modo particolare. Nel 1903 erano già 25.000 quelli che si erano sistemati a vivere accanto ai palestinesi, in quello che era allora territorio dell'Impero Ottomano (Turchia). Una seconda ondata ne portò altri 40.000 circa, finchè, nel 1914, scoppiò la I Guerra Mondiale.

Quattro anni di combattimenti decretarono la sconfitta definitiva dell'Impero Ottomano per mano delle forze alleate, che nella zona mediorientale erano state organizzate e sostenute dall'Inghilterra. Fu così che nel 1918 la Palestina si ritrovò sotto il controllo militare inglese, finchè nel 1920 l'allora nascente Lega delle Nazioni (in seguito Nazioni Unite) assegnò ufficialmente all'Inghilterra il mandato per la conduzione dei "Territori della Palestina".

Ecco come risultava (sotto a sx) la mappa della zona dopo il mandato internazionale.



Nel frattempo erano avvenuti tre fatti fondamentali:

Nel 1916, per avere l'appoggio militare degli arabi contro gli Ottomani, il commissario inglese in Egitto, Sir Henry McMahon, aveva promesso loro l'indipendenza, una volta finita la guerra.

Contemporaneamente, grazie agli accordi segreti Skies-Picot (sopra a dx), Francia ed Inghilterra si erano divise il futuro controllo dell'intera regione.

(Lo Skyes-Picot non sarebbe mai stato implementato, ma sulla sua falsariga Francia ed Inghilterra finirono comunque per spartirsi il controllo della zona).

Ed infine vi fu la "Dichiarazione Balfour", che impegnava l'Inghilterra ad un appoggio formale del movimento sionista nel perseguimento dei suoi obbiettivi.

Questa dichiarazione ha da sempre diviso gli storici, poichè da una parte non contiene alcun riferimento specifico ad uno "stato" ebraico, dall'altro pone come condizione inderogabile il rispetto dei diritti civili e religiosi degli abitanti del luogo. E' indirizzata a Lord Rotschild, leader della comunità ebraica a Londra.


The Balfour Declaration

November 2nd, 1917

Dear Lord Rothschild,

I have much pleasure in conveying to you, on behalf of His Majesty's Government, the following declaration of sympathy with Jewish Zionist aspirations which has been submitted to, and approved by, the Cabinet:

His Majesty's Government view with favour the establishment in Palestine of a national home for the Jewish people, and will use their best endeavours to facilitate the achievement of this object, it being clearly understood that nothing shall be done which may prejudice the civil and religious rights of existing non-Jewish communities in Palestine, or the rights and political status enjoyed by Jews in any other country.

I should be grateful if you would bring this declaration to the knowledge of the Zionist Federation.

Yours,

Arthur James Balfour


E' con estremo piacere che le porto, a nome del governo di sua Maestà, la seguente dichiarazione di simpatia per/favore verso/condivisione delle aspirazioni degli ebrei sionisti, che è stata sottoposta ed approvata dal Consiglio dei Ministri.

Il governo di sua Maestà vede con favore la creazione in Palestina di una sede/ritrovo/focolare (home) nazionale per il popolo ebraico, e si adopererà al meglio delle proprie possibilità per facilitare il raggiungimento di questo obbietivo, con la chiara intesa che nulla sarà fatto che possa pregiudicare i diritti civili e religiosi delle comunità non-ebraiche già esistenti in Palestina, nè i diritti o lo status politico di cui godono gli ebrei in qualunque altra nazione nel mondo.

Le sarei grato se volesse portare a conoscenza della Federazione Sionista questa dichiarazione.

Vostro

Arthur James Balfour


RISENTIMENTO ARABO

Fra il 1920 e il 1930, durante il mandato britannico, decine di migliaia di ebrei emigrarono in Palestina. Le autorità censirono, nel 1922, l'11% di popolazione ebraica su un totale di 750.000 abitanti, e ai primi fermenti di guerra, nel '37, vi erano circa 300.000 ebrei che si erano già insediati in Palestina.

Vari episodi di violenza si registrarono già in quegli anni, come ad esempio gli scontri dell'Agosto del '29,  che videro oltre centi morti per parte. Quelli palestinesi quasi tutti per mano della polizia britannica.

Nel 1936 si arrivò addirittura ad uno sciopero generale dei palestinesi, che protestavano per le continue azioni terroristiche [il termine è usato correttamente] da parte di gruppi sionisti armati, come l'Irgun Zvai Leumi, che agivano con il dichiarato scopo di "liberare la Palestina e la Transgiordania" (la Giordania attuale) con la forza.


Iniziano nel 1937 dieci anni cruciali, in cui vengono in luce e si cristallizzano tutti gli elementi che saranno poi alla base dei maggiori problemi odierni.


Nel Luglio del 1937 una commissione britannica, capeggiata dal Segretario di Stato delle Indie, Lord Peel, raccomandò la spartizione delle terre in due stati, uno israeliano (un terzo delle terre circa, comprensivo della Galilea e della pianura costiera) ed un arabo.

I palestinesi respinsero questa idea, e chiesero invece un arresto dell'immigrazione, con l'implementazione di adeguate misure di protezione per le minoranze all'interno di un unico stato comune.

Il rifiuto inglese portò ad un ritorno della violenza, finchè le proteste furono definitivamente schiacciate con la forza dall'esercito britannico.


WHITE PAPER

Con l'avvicinarsi della guerra, aumentò sensibilmente il ritmo di immigrazione degli ebrei, che provenivano soprattutto dall'Europa Centrale, e che iniziò a mettere a rischio l'intero equilibrio del ciclo produzione/sostentamento nella regione.

Nel Maggio del 1939 il governo Britannico pubblicò il Documento Parlamentare 6019, noto come "White Paper", con il quale intendeva porre un limite all'affluenza ormai indiscriminata verso Israele. Nonostante questo, intere navi cariche di immigranti viaggiavano di notte, sottocosta, cercando di superare il blocco navale inglese, per poi accostare alla prima spiaggia libera e scaricare letteralmente fuori bordo centinaia di persone alla volta.

Quelli che venivano arrestati finivano in campi di internamento costruiti appositamente dagli stessi inglesi.


GUERRA MONDIALE

Durante la guerra, i vari gruppi armati sionisti si unificarono e riorganizzarono sotto la guida di Irgun, con l'intento di rivolgere contro gli stessi inglesi la loro lotta di "liberazione del territorio". Alla loro guida nel frattempo era stato eletto un uomo che trent'anni dopo, nelle vesti di Primo Ministro di Israele, avrebbe firmato uno storico trattato di pace con l'Egitto di Anwar el Sadat: Menachem Begin.


"RIVOLTA" SIONISTA E SPACCATURA

Fu sotto la guida di Begin che nel Gennaio 1944 i sionisti dichiararono ufficialmente una "rivolta" contro il governatorato inglese.

Questo portò ad una prima, storica spaccatura all'interno della leadership ebraica, che vide da una parte i membri del Yishuv, l'Agenzia Ebraica che rappresentava ufficialmente gli interessi di quel popolo nel mondo, che sosteneva una via legalistica all'acquisizione del territorio, e dall'altra appunto Irgun, che usando invece tattiche molto simili a quelle dei terroristi odierni, diede inizio ad una serie di attentati contro i centri nevralgici dell'amministrazione britannica.

Nella foto sotto a sinistra vedete quello che rimase della sede dell'Intelligence britannica. Al centro l'ufficio delle imposte.  Ma l'attenato più noto fu certamente quello del King David Hotel di Gerusalemme (foto a destra), che fu portato a termine da sei membri dell'Irgun travestiti da arabi. Nell'attentato morirono quasi cento persone, e le lunghe diatribe riguardo al fatto che gli attentatori avessero avvisato o meno la direzione dell'Hotel, mezz'ora prima dell'esplosione, rimasero per sempre insolute.



LE NAZIONI UNITE

Alla fine della guerra la situazione era ormai giunta al limite, con arabi contro ebrei, inglesi contro arabi, ebrei contro inglesi, ma anche ebrei contro ebrei, con gli stessi leader Yashuv che temettero per un momento una vera e propria guerra civile. L'Inghilterra si vide così costretta a rimettere la delicata questione nelle mani delle Nazioni Unite, che erano da poco nate dalle ceneri della stessa Lega delle Nazioni che le aveva assegnato il mandato venticinque anni prima.

Nel frattempo gli scontri fra palestinesi ed ebrei si facevano sempre più gravi, col confluire in Palestina di nuove ondate di ebrei sopravvissuti alla Shoah, oltre a quelli che avevano risposto all'appello del sionismo da ogni altra parte del mondo.

Un Comitato Speciale delle Nazioni Unite tornò a proporre una spartizione della terra, che prevedeva la creazione contemporanea dello Stato di Israele. Il piano (nella cartina sotto a sin.), che assegnava il 57% delle terre agli ebrei (giallo) ed il 43 agli arabi (grigio), con Gerusalemme (bianco) sotto controllo internazionale, fu accettato dai primi, ma respinto dai secondi. Va notato che i palestinesi non facevano direttamente parte delle Nazioni Unite, e dovevano quindi farsi rappresentare dai delegati dei confinanti paesi arabi (arancione).

IL PIANO UFFICIALE DI SPARTIZIONE

Il 29 Novembre 1947 il piano fu sottoposto al voto dell'Assemblea Generale, che emise la storica risoluzione 181, con 33 paesi a favore, 13 contrari, e 10 astenuti. 

L'Inghilterra annunciò l'intenzione di restituire il mandato il 15 Maggio del 1948. Ma i fermenti provocati dalla decisione ONU esplosero molto prima di quella data, precipitando la regione in uno stato di caos, e mettendo gli inglesi in serie difficoltà: da una parte, neltentativodidomare la rivolta, il numero dei morti fra i loro soldati continuava a salire, dall'altra si facevano sempre più forti le pressioni da parte degli Stati Uniti per permettere l'immigrazione ad un numero ancora maggiore di ebrei. Ora in chiaro contrasto con l'Inghilterra, sembrava essere passato decisamente agli USA il ruolo di sostenitori della causa sionista.

Le prime operazioni sistematiche di "pulizia" - così definite da loro stessi - furono intaprese dai sionisti contro i palestinesi nel Dicembre del 1947.





NASCE LO STATO DI ISRAELE

Il 9 Aprile 1948 le milizie di Irgun e Lehi massacrarono l'intera popolazione del villaggio di Deir Yassin. La notizia si sparse in fretta dappertutto, ed i palestinesi iniziarono a fuggire in massa verso il Libano a Nord, la Cisgiordania ad Est, e l'Egitto a Sud del paese.

Il 14 Maggio 1948 veniva proclamato a Tel Aviv il nuovo stato di Israele, mentre gli ultimi reparti di soldati inglesi lasciavano in fretta e furia il territorio. I palestinesi ricordano quella data come "al-Nakba", che significa "La Catastrofe".

Le forze israeliane, assistite dai gruppi militanti di Irgun e Lehi, si impadronirono immediatamente del territorio a loro assegnato, appropriandosi anche di sostanziose porzioni destinate invece ai Palestinesi. In poche gli israeliani controllavano l'intera Galilea, il Negev, Gerusaslemme Ovest, e buona parte delle pianure costiere.

Il giorno seguente gli eserciti di Giordania, Siria, Egitto, Libano e Iraq attaccarono Israele, ma furono sconfitti con relativa facilità dalla superiorità militare israeliana. Si venne così ad un armistizio, i cui confini (cartina sopra a destra) ricalcavano da vicino quelli del precedente Mandato Britannico. La differenza più vistosa era costituita dalla striscia costale di Gaza, che andava agli egiziani, e la Cisgiordania (West Bank) con Gerusalemme Est, che passava sotto il diretto controllo della Giordania.

In altre parole, da un punto di vista geografico, Israele aveva sostituito in pieno gli inglesi nel controllo dell'intero territorio palestinese, fatto salvo per quelle zone - Gaza, Cisgiordania e Gerusalemme Est - che avrebbe poi invaso in seguito.

GLI ANNI DI ARAFAT

Nel 1959 Yassir Arafat, un palestinese nato in Egitto, fondava in Kuwait un'organizzazione segreta chiamata Al Fatah, a nome della quale, nel 1964, dichiarava la lotta armata contro Israele.

Nello stesso anno i paesi arabi, nel tentativo di tenere sotto controllo il popolo palestinese, creavano il PLO (Palestinian Liberation Organization). Ma i palestinesi, che fino ad allora erano stati spettatori passivi degli scontri fra arabi ed israeliani, ambivano a quel punto ad agire indipendentemente. E nel 1968, quando Al Fatah ed Arafat inflissero gravi perdite all'esercito israeliano nella località di Karameh, in Giordania, i palestinesi ritrovarono il lui il loro leader naturale.

Nel 1969 Arafat veniva acclamato presidente del PLO a furor di popolo.

GUERRA DEI SEI GIORNI

Nel frattempo la mappa del territorio era ancora cambiata. Nel 1967 vi era stata la guerra-lampo, o "Guerra dei sei giorni", in cui le armate di Moshe Dayan avevano facilmente sconfitto quelle egiziane, dopo averne distrutto a terra, in un attacco a sorpresa, buona parte dell'aviazione. I nuovi confini di Israele presentavano ora un territorio quasi raddoppiato, che andava della rive del Mar Rosso (penisola del Sinai), fino alle Alture del Golan (Siria), e comprendeva la Cisgiordania e la città di Gerusalemme.

Un altro mezzo milione di palestinesi era stato nel frattempo sradicato dalle proprie abitazioni, e si era andato a riversare nei già ribollenti campi profughi dei vicini paesi arabi.

Le Nazioni Unite emettevano allora la famosa risoluzione 242 - vero e proprio oggetto del contendere, a partire da quel giorno - che sottolineava "the inadmissibility of the acquisition of territory by war", l'inammissibilità di acquisizione di territori con la guerra, e chiedeva il "withdrawal of Israeli armed forces from territories occupied in the recent conflict", il ritiro delle forze armate israeliane dai territori occupati nel recente conflitto.

Ciò non sarebbe avvenuto.

GUERRA DELLO YOM KIPPUR

Sei anni dopo, nel 1973, Egitto e Siria si lanciarono alla riconquiesta dei territori perduti, in quella che fu definita la "Guerra dello Yom Kippur". Inizialmente gli arabi ebbero la meglio, ma la reazione israeliana, grazie anche ad una notevole iniezione di armamenti da parte degli Stati Uniti, portò le armate di Tel Aviv a conquistare ancora più territorio di quello che già avevano in Siria, oltre alla sponda occidentale del Canale di Suez.

A quel punto intervenne l'ONU che impose, con la altrettanto nota risoluzione 338, la sospensione dei combattimenti e l'obbligo per le parti di cercare un accordo per una pace duratura.

Nel frattempo era scesa in campo l'Arabia Saudita, che aveva messo in ginocchio l'occidente scatenando la crisi del petrolio del 1973, grazie ad un criterio di vendita che discriminava apertamemte - con prezzi più o meno di favore - fra "nemici" ed "amici " di Israele.

E' lecito supporre che questa mossa abbia contribuito non poco alla decisione degli Stati Uniti di appoggiare vigorosamente la risoluzione 338.


IL PATTO CON WASHINGTON

Ormai già da anni il petrolio aveva focalizzato l'attenzione dei grandi sul Medio Oriente, e vi erano stati svariati incidenti - come quello del 1969 in cui Israele abbattè "per sbaglio" quattro caccia russi - che avevano fatto intravvedere la possibilità di uno scontro diretto fra Russia ed America. Si era, dopotutto, in piena guerra fredda.

Gli schieramenti, che si erano andati delineando nel tempo, vedevano a quel punto la Russia apertamente schierata con i paesi arabi, gli Stati Uniti altrettanto con Israele, mentre Francia ed Inghilterra si barcamenavano in una poco credibile posizione di "neutralità". Fu in questo periodo che Israele ottenne dagli Sati Uniti la tacita garanzia di una protezione contro l'obbligo di implementare la 242. Iniziò così il sempre più sistematico uso del diritto di veto che gli Stati Uniti ancora oggi esercitano, nel Consiglio di Sicurezza, contro ogni mozione che vada a chiaro discapito dello stato amico.

Con gli enormi interessi sul petrolio a far da ago della bilancia, nacque anche la tendenza, fra gli stati europei, a prendere posizioni sempre più ambigue, e non certo utili alla stabilizzazione della regione. Chi ci andava di mezzo, ancora un volta, era il popolo palestinese, nuovamente escluso da lotte e interessi decisamente più grandi di loro.

Nel frattempo la lunga battaglia di Arafat con Israele era culminata, nel 1972, con l'uccisione di 11 atleti israeliani alle le Olimpiadi di Monaco. A torto o a ragione, Arafat era riuscito ad imporre all'attenzione del mondo il problema palestinese.

ARAFAT ALL' ONU

Le Nazioni Unite avevano sancito ufficialmente "il diritto di ogni popolo che viva sotto occupazione militare straniera, a cercare di liberare la propria terra con qualunque mezzo a disposizione".

Ma nel 1974 Arafat si presentò alle Nazioni Unite, come rappresentante del suo popolo, a porgere il ramo d'ulivo. Proponeva la fine della lotta armata, in cambio di un serio impegno internazionale a risolvere l'intera questione.

E alla fine del 1974 il Dipartimento di Stato americano ricosceva ufficialmente, per la prima volta, "the legitimate interests of the Palestinian Arabs must be taken into account in the negotiating of an Arab-Israeli peace", che le legittime aspirazioni degli arabi di Palestina debbano essere prese in considerazione nell'ambito delle trattative di pace arabo-israeliane.



IL RITORNO DEI SIONISTI

Ma la prospettiva di una possibile convivenza con i palestinesi non piaceva ai leader sionisti, che predicavano invece un ritorno all'intero territorio "biblico". In quel momento si trovavano in netta minoranza nello schieramento parlamentare, ma non appena il partito Hirut - erede del gruppo d'azione Irgun del '48, e padre dell'attuale Likud - riuscì ad andare al governo, nel 1977, il lento processo di distensione iniziato in quegli anni si arrestò bruscanente.

Il primo ministro Menachem Begin, erede del leader sionista Ben Gurion, inaugurò la politica "dello stato di fatto", tesa  all'installazione del maggior numero possibile di "coloni" nei territori occupati, per rendere sempre più difficile un ritorno alla situazione di allora. Adducendo motivi di sicurezza, fu per la prima volta dichiarata apertamete da parte di Israele l'intenzione di non restituire un solo metro della terra conquistata nel 1967 dal generale Dayan.

L'allora ministro dell'Agricoltura, Ariel Sharon, creò un apposito comitato per la supervisione delle operazioni di colonizzazione, che avrebbe poi presieduto fino al 1981.


ANWAR EL SADAT

A sbloccare la sempre più tesa situazione fra arabi e israeliani fu una mossa a sorpresa del presidente egiziano, Anwar el Sadat, che si presentò un giorno (1977) di fronte al parlamento di Tel Aviv, e fece un discorso di apertura che avrebbe portato in poco tempo all'effettiva pace fra Egitto e Israele.

Forse fu solo una coincidenza, ma nel frattempo alla presidenza americana era salito Jimmy Carter, pacifista dichiarato, che aveva battuto l'uscente Gerald Ford, subentrato a sua volta da due anni al dimissionario Nixon.


CAMP DAVID

E fu proprio Carter, nel 1978, ad ospitare gli storici "Accordi di Camp David", in cui l'Egitto riconosceva - primo fra gli stati arabi nella storia - lo stato di Israele. Questo in cambio si ritirava dai territori occupati nel '73, restituendo il Sinai con il prezioso Canale di Suez. Un anno dopo i due stati avrebbero firmato un trattato di pace ufficiale, che è ancora oggi in vigore.

Questo accordo, condotto separatamente dall'Egitto, irritò profondamente gli altri stati arabi, che iniziariono un periodo di boicottaggio, commerciale e morale, verso l'ex-alleato.

Se fra gli israeliani ci sono i sionisti, che vorrebbero l'intera regione tutta per loro, fra gli arabi ci sono tanti estremisti, che a loro volta vorrebbero "respingere in mare lo stato di Israele con tutti i suoi abitanti." E fu proprio un gruppo di questi, uscito dalle fila dell'esercito di Sadat, ad assassinare il presidente egiziano nel 1981.


LIBANO

Nel 1982, le azioni di guerriglia contro gli israeliani partivano prinjcipalmente dal vicino Libano, che già ospitava migliaia di rifugiati palestinesi, oltre allo stesso PLO di Arafat, con sede a Beirut.

In seguito ad un attentato, fallito, alla vita del primo ministro israeliano a Londra, l'esercito di Tel Aviv invase il Libano, col dichiarato intento di spazzare via la guerriglia palestinese. Lo guidava il neo-promosso generale Ariel Sharon, il quale però non si accontentò di eliminare buona parte delle basi dei guerriglieri al Sud, ma prosegui la sua marcia fino alla capitale, dove impose anche l'espulsione immediata del PLO dal paese.


SABRA E CHATILA

Mentre Arafat si rifugiava con i suoi in Tunisia, i campi profughi restavano alla completa mercè degli israeliani e della Falange Cristiana libanese, loro alleata. Fra l'11 e il 16 Settembre del 1982, i falangisti sterminarono l'intera popolazione dei campi di Sabra e Chatila, dopo che l'esercito israeliano li ebbe circondati per chiudere ogni possibile via di fuga.

Fu una vera e propria mattanza, e lo scandalo che seguì, nello stesso Israele, portò ad un'inchiesta che si concluse con le dimissioni di Sharon dai vertici dell'esercito.


PRIMA INTIFADA

In seguito allo sterminio, era esplosa la cosiddetta "prima intifada", che coinvolse l'intera popolazione palestinese dai territori occupati di Gaza a quelli della Cisgiordania (West Bank), e che sarebbe durata fino al 1993. Da Tunisi, che ci provasse davvero o meno, Arafat riusciva a fare ben poco per controllare il suo popolo in rivolta.

E quando il PLO propose finalmente una tregua, con un ritorno alle trattative basato sull'implementazione della 242 (confini 1967) e della 338 (confini 1973), ricevette uno sdegnoso rifiuto da parte di Israele, che annunciava di "non essere disposto a trattare con organizzazioni terroristiche". Iniziava così quel lento processo di delegittimazione di Arafat dalla guida del suo popolo, che si sarebbe concluso solo nel 2002, con l'umiliazione finale, impostagli da Sharon, della prigionia di Ramallah.


MADRID

Alla fine della prima Guerra del Golfo, nel 1991, gli Stati Uniti di George H. Bush ripresero in mano la questione palestinese, e nonostante la rigida posizione dell'allora leader sionista, Yitzhak Shamir, riuscirono a convincere le parti in causa a convergere in quello che sarebe passato alla storia come il Summit di Madrid.

Pare che il Segretario di Stato, James Baker, in una rara presa di posizione contro Israele, abbia personalmente imposto di trattenere una garanzia bancaria di 10 miliardi di dollari, avviata verso Israele, fino a summitt avvenuto.

A Madrid Arafat, osteggiato da Israele, non potè andare, e il suo popolo fu rappresentato da una delegazione mista di giordani e di leader palestinesi minori. Partecipò anche la Siria, che sperava di ottenere la restituzione delle Alture di Golan, perse ad Israele nel 1967.

Sotto gli occhi del mondo, furono dati 45 minuti a ciascuna della parti per chiarire la propria posizione e presentare le proprie richieste. I giordano-palestinesi puntarono tutto su una soluzione di convivenza pacifica, Shamir si preoccupò soprattutto di perorare la causa di Israele e di riaffermarne il diritto alle terre conquistate, e il Ministro degli Esteri siriano dedicò gran parte del suo tempo a rivangare il passato "terroristico" dello stesso Shamir. Come ovvia conseguenza gli incontri bilaterali, previsti a seguito del summitt, mostrarono presto di avere il fiato corto.


OSLO

La situazione fu sbloccata dal ritorno al governo dei laburisti, guidati da Yitzhak Rabin, nel 1992. Invece di ripartire dagli incontri bilaterali, arenati in uno stallo irreversibile, il nuovo ministro degli esteri, Shimon Peres, prese contatti segreti direttamente con la dirigenza palestinese. Questi incontri, avvenuti nella lontana e neutrale Norvegia, culminarono con i cosiddetti "Accordi di Oslo", nei quali i palestinesi riconoscevano il diritto di Israele ad uno stato proprio, mentre ottenevano dallo stesso l'impegno per un progressivo ritiro dalle terre occupate nel 1967.

Il momento di distensione - senza dubbio il più alto in assoluto dell'intera vicenda - portò alla storica stretta di mano fra Rabin e Arafat, alla Casa Bianca, davanti ad uno smagliante Clinton fresco di mandato. Per l'occasione fu anche promulgata una pomposa Dichiarazione dei Principi, che formalizzava solennemente gli accordi intercorsi.

Arafat, Rabin e Peres avrebbero poi condiviso anche il Premio Nobel per la Pace.

Nonostante le apparenze, gli accordi erano però fragili ed incompleti, poichè avevano dovuto demandare al futuro questioni fondamentali come il ritorno dei profughi palestinesi, o il controllo di Gerusalemme.


PALESTINIAN AUTHORITY

Allo scopo di gestire il processo di pace fu ufficialmente creata la Palestinian Authorithy, e quando Arafat fece il suo ritorno trionfale a Gaza, nel 1994, ne divenne automaticamente il presidente.

Il progressivo ritiro dei coloni, previsto dagli accordi, incontrava però una solida resistenza da parte degli stessi, come di tutta l'ala sionista del paese, mentre in certe zone gli israeliani procedevano addirittura ad impiantare nuove colonie.


RABIN ASSASSINATO

La strategia inaugurata da Begin cominciava a dare i suoi frutti. A peggiorare le cose intervenne nel 1995 l'assassinio di Rabin, da parte di un giovane fanatico sionista. Che abbia agito di propria iniziativa, o fosse invece una pedina manovrata dalla leadership sionista, con quel gesto diede voce a tutti gli ebrei che non perdonavano a Rabin la restituzione della "terra promessa".


NETANIAHU

Seguì, nel 1996, un'ondata di attacchi suicida, da parte dei palestinesi, che facilitarono l'ascesa al governo del "falco" Netaniahu. Il leader "dal pugno di ferro" prendeva il posto di Shimon Perez, che a sua volta aveva sostituito Rabin alla sua morte.

Netaniahu era dichiaratamente contrario agli accordi di Oslo, e come prima cosa fece togliere il veto che impediva nuove installazioni di coloni nei territori occupati. Questo portò un'immediato aumento della tensione, sia a livello locale che internazionale.


WYE RIVER

Nonostante la rigida posizione di Netaniahu, la Casa Bianca riuscì ad imporgli, con gli "Accordi di Wye River", la restituzione di buona parte di Hebron, oltre all'impegno per ulteriori restituzioni a breve termine, in Cisgiordania. Ma quando venne il momento di effettuare queste restituzioni, il governo di destra si spaccò, e favorì il ritorno al potere dei laburisti.


BARAK

Nel 1999 Ekud Barak vinse le elezioni, dopo aver promesso agli israeliani "un accordo definitivo con Arafat entro un anno".

E l'accordo sarebbe anche potuto arrivare, negli ultimi mesi di presidenza Clinton, non fosse stato per quello che molti hanno definito l'errore supremo di Arafat. Egli infatti rifiutò di firmare, nonostante gli fosse stato offerto - o così almeno si dice - molto di più di quello che potesse sperare, e sicuramente molto di più di quanto molti israeliani fossero disposti a concedere. (Che poi fosse nelle reali intenzioni di Israele di implementare questo accordo, infatti, rimane una delle tante domande destinate a rimanere senza risposta).


IL RITORNO DI SHARON

Nel momento di incertezza che seguì il fallimento della trattativa, ricomparve  alla guida del Likud Ariel Sharon. Un mese prima delle elezioni, dovute alla caduta di Barak, l'ex-generale fece la sua storica passeggiata sulla spianata di Al-Aqsa, scatenando l'inevitabile reazione dei palestinesi. Ebbe inizio così la seconda intifada, che di certo contribuì non poco alla sua schiacciante vittoria elettorale.

L'inizio del suo mandato fu segnato da una inarrestabile spirale di violenza, in cui ad ogni attentato palestinese seguiva una rappresaglia israeliana, e viceversa. In questo periodo i carri armati israeliani penetrarono più volte nel territorio palestinese, col dichiarato intento di annientare le basi dei guerriglieri.

Il campo di raccolta di Jenin fu letteralmente raso al suolo, con un numero di vittime che è stato impossibile verificare, a causa del veto posto dagli Stati Uniti alla commissione ONU creata con quel proposito.

Durante una delle incursioni, Sharon fece anche circondare dai suoi carri armati il centro di comando del PLO, nel quale Arafat rimase praticamente prigioniero per tre mesi.

Nessuno stato straniero intervenne in favore del vecchio leader, che inutilmente lanciava appelli alla comunità internazionale perchè ponesse fine al suo imprigionamento. Il suo tempo era finito, e forse solo lui non se n'era ancora accorto.

Pochi mesi dopo, gli attentati dell'11 Settembre 2001 ridisegnavano completamente gli equilibri politici e psicologici del mondo intero, e portavano, fra le altre cose, ad una esasperata pressione di Israele sui territori occupati.


ROADMAP FOR PEACE

Nel 2003 veniva messa a punto da Stati Uniti, Russia, Europa Unita e ONU la cosiddetta "Roadmap for Peace", un piano abbastanza generico e poco convincente, le cui intenzioni stridevano clamorosamente con la quotidiana avanzata del muro di separazione fra i due territori, fortemente voluto da Sharon, che proseguiva anche dopo la richiesta ufficiale di smantellamento da parte dell'ONU.


MORTE DI ARAFAT

Yassir Arafat moriva a Parigi, nel Novembre del 2004, dopo aver dovuto finalmente passare la mano a personaggi più graditi ad Israele e all'amministrazione Bush. Ecco la situazione sul terreno, al momento della sua scomparsa:

Nella cartina di sinistra, in giallo, le zone occupate dai coloni, in verde scuro le varie strade di raccordo costruite e controllate da Israele. In quella a destra, i quadrati neri indicano i vari posti di blocco israeliani, mentre lungo la linea giallo-rossa sorge oggi buona parte del muro di separazione che sta per essere completato.



***

Dopo quasi un secolo di lotte, e centinaia di migliaia di morti per parte, abbiamo oggi, da un lato del muro, il popolo di Israele che vive nella costante paura e nella diffidenza generalizzata. Mentre dall'altro, con ormai intere generazioni nate e cresciute all'interno dei campi profughi, il destino del popolo palestinese rimane tanto incerto quanto lo era all'inizio di questa tormentata - e forse irrisolvibile - tragedia storica.

Se di fallimento si può parlare, è certamente quello della società umana nel senso più ampio della parola.

Scritto da Massimo Mazzucco per Luogocomune.net

(
Fonti: History Channel, BBC, Microsoft Encarta, Orient Encyclopedia, ecc. )



Questo materiale è a disposizionie di chiunque, purchè rimanga intatto e se ne citi la provenienza.





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