di Gian Franco Spotti

Sono giorni che le televisioni e i giornali ci inondano di notizie su quanto avviene in Bielorussia. Proteste da parte dei cittadini (in genere studenti e universitari) che vogliono un cambio di governo e mandare a casa il padre-padrone del paese: Alexander Lukashenko che viene definito dalla propaganda mediatica un dittatore, l’ultimo d’Europa dove esiste, fra l’altro, ancora la pena di morte.

Chi protesta vuole più libertà ma, nello specifico, non si capisce a quale tipo di libertà aspiri. Se aspira al modello occidentale, cioè il nostro, allora è meglio che ci ripensi visto le drammatiche condizioni socio-economiche nelle quali siamo precipitati.

Lukashenko per la Bielorussia è quanto di meglio le potesse capitare. Ha evitato che, una volta caduto il comunismo, il suo paese cadesse nelle grinfie del “mercato” neoliberista e predatorio come successe nella Russia di Eltsin ed come è avvenuto in Ucraina. Non ha accettato di recente prestiti dal Fondo Monetario Internazionale per le vicende del Covid-19. I signori del denaro non amano chi non vuole indebitarsi perché così non possono controllare il paese.

Il debito estero bielorusso è attorno al 45% e tende a calare ogni anno. E’ il terzo produttore ed esportatore al mondo di potassio (o potassa) il che fa entrare preziosa valuta occidentale per le importazioni. Ha una delle migliori fabbriche di automezzi pesanti sia per uso civile che militare.

Vi sono inoltre varie aziende statali di rilievo e di alta tecnologia non seconde ad altre equivalenti in Occidente.

La disoccupazione in Bielorussia è al di sotto dell’1% . Quale altro paese nell’Occidente “libero” può vantare una tale percentuale? Le scuole e le università sono di alto livello. La sanità ha un livello accettabile ed è molto migliorata rispetto all’epoca sovietica. La criminalità è quasi inesistente. Minsk e le altre città minori sono pulitissime (qualcuno dice anche all’eccesso). Si può passeggiare la notte in tutta tranquillità senza il pericolo di essere aggrediti. L’insegnamento della cultura e della musica è all’avanguardia.
Le campagne sono ancora arretrate rispetto alle zone urbane ma il divario si è accorciato negli ultimi dieci anni.

L’immigrazione clandestina dall’Africa e dall’Asia è praticamente sconosciuta. I bielorussi sono un popolo omogeneo e non accettano le nuove tendenze al meticciato e al multietnico imposte dalle centrali finanziarie sorosiane tramite i loro cavalli di troia rappresentati dalle ONG e dai vari governi compiacenti e collaborazionisti. Lukashenko è stato accusato di essere comunista, nazi-maoista, nazional-comunista, tutti epiteti che andavano di moda negli anni 70 e che rappresentavano teorie elitarie mai realizzate. Solo pochi hanno capito che sta perseguendo una politica social-nazionale e cioè quella politica che mette al centro semplicemente gli interessi della nazione e dei suoi cittadini anche usando l’autoritarismo se necessario.

E’ pur comprensibile che dopo 26 anni di governo rappresentato sempre da Lukashenko molta gente voglia cambiare, solo che il cambio è rappresentato da figure che vogliono lanciare la Bielorussia verso il neo-liberismo all’occidentale, verso le privatizzazioni e tutti i danni che ne deriverebbero, tutto in chiave anti-Putin alleato della Bielorussia contro i quali la Nato ha già schierato truppe (inclusi reparti italiani) in Lituania, Lettonia ed Estonia.

Se la Bielorussia volterà pagina ancor prima di aver avuto gli anticorpi necessari per resistere alla globalizzazione liberista, allora assaporerà il gusto del degrado socio-economico che la pervaderà in ogni aspetto della sua vita quotidiana.