Questo articolo descrive la situazione delle popolazioni russofone nei paesi baltici, con discriminazioni che ricordano molto da vicino quelle dei neonazisti ucraini nei confronti dei loro concittadini di lingua russa.

di Maurizia Leoncini Vecchi

Nel clima di mainstream unidirezionale oppressivo, mentre il Corriere della Sera ci ha reso noto (senza scandalizzarsi) che, per la prima volta nella storia della Repubblica italiana, sono indagate dai servizi segreti (su mandato di un governo per ora latitante sul punto) le pochissime voci libere che non aderiscono al Diktat imposto e mentre paure deliranti di attacchi russi ai Paesi Baltici sembrano avere piegato il buon senso di Paesi neutrali quali Finlandia e Svezia (forse la Svezia resiste), pare che la salute mentale, già messa a dura prova dopo la pandemia, abbia raggiunto gli apici del disagio.

Siamo immersi in una propaganda di guerra frastornante volta ad assorbire ogni pensiero per impedire di fermarsi a riflettere ed a considerare con attenzione maggiore queste ossessioni. Nei Paesi Baltici, in Estonia, la NATO (senza la partecipazione dell'Italia) sta per mettere in atto la più imponente esercitazione militare che mai sia stata svolta dalla sua nascita. Questa non è una prova di volontà di pace ed è cosa preoccupante, considerato che, nelle terre baltiche, vivono consistenti minoranze russofone.

A tale proposito vale la pena di soffermarci proprio su di esse e su quella che è stata ed ancora è la loro condizione in territori che sono all'interno dell'UE e dovrebbe riguardare, di conseguenza, la coscienza di tutti noi. Si parla, infatti, di loro come di possibili 'bombe a orologeria' in grado di innescare problemi territoriali. Questo è quanto ci viene detto, mentre poco o addirittura nulla noi sappiamo di loro.

Proviamo a rivedere, perciò, quanto ad esse si riferisce nel recente periodo che va dal 1991 ad oggi (gli ultimi 31 anni). Nel 2004, i Paesi Baltici (Estonia, Lettonia, Lituania) sono stati accolti nell'UE. In tali Paesi dal 1991 (epoca in cui a seguito del dissolvimento dell'URSS acquistarono l'indipendenza) si sono perpetrati veri e propri crimini contro i diritti umani e violenze contro i propri cittadini rei soltanto di avere antenati russi e di parlare ancora la lingua dei propri padri.

I governi da nazional-socialisti sono diventati nazional-democratici ed hanno iniziato a fare riforme che hanno diviso la società in due parti secondo criteri etnici: da una parte i titolari (lettoni, lituani, estoni) e dall'altra i non titolari (russi). Questa gerarchia etnica era sostenuta da leggi, istituzioni statali punitive e partiti politici costruiti lungo linee etniche. In Estonia, il 26 febbraio 1992, fu ripristinata, aggiornandola, la 'Legge sulla cittadinanza' del 1938, riconoscendo il diritto alla cittadinanza estone solo a tutti coloro che già ne fossero stati titolari prima del giugno 1940 (cioè prima dell'annessione alla Russia); in Lettonia, il Parlamento transitorio adottò, il 15 ottobre 1991, la 'Risoluzione sul ripristino dei diritti dei cittadini della Repubblica di Lettonia e sui principi fondamentali in tema di naturalizzazione', con la quale si ribadì la persistente efficacia della 'Legge sulla cittadinanza' del 1919 (fonte: Panzeri, Nomos, 1/22).

Cittadini fino al giorno prima, i russofoni si sono ritrovati, grazie ad una legge, apolidi. Non potevano più votare ed essere eletti negli organi di governo, prestare servizio nell'apparato statale, lavorare in imprese statali, accedere a libere professioni quali quella di avvocato e notaio. I non-cittadini avevano e hanno tutt'ora circa 80 restrizioni nei loro diritti socio-economici.

Sia la Lettonia che l'Estonia sono state ammesse nell'UE senza difficoltà e Bruxelles ha scelto di non notare il fatto dell'istituzione dei non-cittadini. Oltre a creare l'istituto della non-cittadinanza, un altro strumento di discriminazione etnica nei "nuovi" Stati baltici è stato il divieto dell'uso della lingua russa. Nel 1991, in Lettonia il 48% della popolazione era russa, in Estonia il 36% e in Lituania il 16%.

Tutti conoscevano il russo che era (ed è) una lingua passe-par-tout preziosa, e permetteva di comunicare tra loro a tutto quel mix di popolazioni ed etnie che si estende lungo 11 fusi del globo terrestre e cioè per tutto quel territorio che costituisce la Russia di oggi ed ancora prima l'URSS e Paesi annessi e satelliti. Dopo 10 anni dall'entrata nell'UE e nel silenzio dell'UE, nel 2014 è stata abolita la lingua russa e vietata l'istruzione in russo nelle università statali, e poi nelle scuole e negli asili; sono stati chiusi i canali televisivi che trasmettevano in russo e i libri russi sono stati ritirati dalle biblioteche. Dai musei e dalle gallerie d'arte sono state persino rimosse opere d'arte e dipinti che testimoniavano la storia millenaria della vita russa in quelle terre. Ovunque sono state create commissioni per verificare la conoscenza delle lingue dei gruppi etnici titolari. A queste sono stati sottoposti anche inservienti, bidelli, spazzini, guardiani.

I non-cittadini che avevano una scarsa padronanza della lingua di Stato venivano multati e, se erano di nuovo "condannati per ignoranza" linguistica, venivano licenziati. Gli esami a cui erano sottoposti avrebbero messo in difficoltà i laureati della facoltà di filologia, di conseguenza vi sono stati licenziamenti di massa con perdita di stipendi e con perdita di pensione (fonte: intervista di Missotti al professor Aleksandr Gaponenko, lituano, attivista per i diritti delle minoranze russe, da anni perseguitato per questo). Ciò ha posto in gravissima difficoltà i non-cittadini.

Nelle minoranze russofone, mentre l'UE riversava sui Paesi baltici risolse economiche a piene mani, la morte per fame e di stenti non era infrequente. Non una parola dell'UE, inoltre, sul fatto che ogni anno, a Riga, si celebrasse e tuttora si celebri la marcia dei seguaci delle SS, malgrado segnalazioni e rimostranze di Israele, Canada e Regno Unito (fonti: Haarez 16.3.2019; The Guardian, 14.3.2010).

Questa vera e propria persecuzione ha portato alla migrazione verso la Russia di moltissimi di questi non-cittadini privati di ogni diritto. In Estonia l'etnia russofona si è ridotta al 24% ed in Lituania al 6%, mentre in Lettonia la riduzione ha portato da circa la metà ad un terzo della popolazione totale. Ogni doloroso abbandono della propria terra natale, per motivi di discriminazione etnica, ha implicato la perdita dei propri averi e ferite non rimarginabili. Il problema, più volte portato in sede europea, è costantemente scivolato come pioggia sull'acqua, lasciando ai Paesi Baltici di proseguire a proprio piacimento con persecuzioni indegne di ogni Paese civile (fonte: intervista di Missotti al professor Aleksandr Gaponenko, cit.).

Nel 2014, oramai nell'UE da 10 anni, i Paesi Baltici hanno giustificato l'abolizione della lingua russa in nome di un criterio di 'assimilazione' delle minoranze. L'assimilazione nulla ha a che vedere con l'integrazione ed è quanto di più violento possa essere posto in essere contro un'etnia. Abolendo la lingua e la storia di un popolo, gli si toglie il passato. Le proteste della Russia cadono nel nulla. L'UE non vede, non sente, non parla. Nello stesso anno, la Russia interviene, dopo 23 anni di attesa (13 dall'indipendenza dalla non più esistente URSS e 10 dall'entrata nell'UE), e di vere e proprie persecuzioni contro le proprie minoranze (in spregio di ogni accordo che avrebbe dovuto proteggerle. Cfr. accordi firmati con Eltsin dai tre Paesi Baltici) concedendo ai russofoni che lo richiedevano il passaporto russo.

Ciò ha permesso anche una mobilità protetta (gli apolidi non hanno madrepatria) dei giovani ai quali, pur con genitori, nonni e bisnonni nati nei Paesi Baltici, era negata la cittadinanza alla nascita. Come prevedibile, i non-cittadini hanno richiesto il passaporto russo in massa e da non-cittadini estoni, lettoni, lituani sono diventati a tutti gli effetti cittadini russi. Nel 2020, la Lituania, seguita dall'Estonia, su stimolo di un'UE fino ad allora dormiente, ha deciso di dare la cittadinanza alla nascita ai non-cittadini oramai in quarta generazione (erano passati 80 anni dai nati nel 1940) di apolidia forzata, su richiesta di un genitore.

L'Estonia, comunque, proibisce la doppia cittadinanza e questo significa rinunciare a quel passaporto russo che dal 2014 ha dato protezione a questa etnia perseguitata. Intanto, le vessazioni protratte, i diritti violati, la forte disincentivazione ai matrimoni 'misti', l'emarginazione, la morte per fame hanno creato innegabili tensioni. La richiesta di cittadinanza alla nascita, di conseguenza è stata tepida. Coloro che erano da generazioni nati sul suolo baltico e che si sentivano cittadini di quei Paesi, rifiutati e perseguitati dalla loro Madrepatria hanno trovato, infatti, nella Russia quella protezione che è difficile lasciare, ora, per finire, oltretutto, 'assimilati', dal momento che non sono state minimamente alleggerite le norme relative alla lingua e storia russa. Con la guerra d'Ucraina il problema delle minoranze russe è emerso non per condannare i soprusi dei Paesi Baltici, ma per alterare la realtà dei fatti (https://www.statelessness.eu/updates).

La Russia, infatti, secondo il racconto dei media, avrebbe volutamente trasferito masse di propri cittadini su quelle terre prima della dissoluzione dell'URSS per fare sì che potessero chiedere, in un domani, l'autonomia di aree di territorio o addirittura la secessione. La migrazione russa, questa la realtà dei fatti, nelle terre baltiche è di antica data ed è stata motivata dalla ricerca di lavoro che ha portato a spostamenti verso aree che offrivano condizioni di vita migliori. C'è da chiedersi, piuttosto, il perché di tanto efferato razzismo da parte dei Paesi Baltici.

Questo non è giustificabile quale reazione al durissimo trattamento staliniano che colpì l'intera popolazione dell'URSS e Paesi annessi, russi in primis, strettissimi collaboratori di Stalin inclusi (tutti sterminati, compreso Troszky, cui non valse l'essere migrato in Messico), e che ha comportato un numero più alto in milioni di morti di quanti non ne avesse fatti la seconda guerra mondiale. C'è nel contempo da chiedersi il perché di tanta tolleranza dell'UE verso una politica che avrebbe dovuto fare inorridire Bruxelles e Strasburgo e imporre, ai Paesi Baltici, il rispetto delle minoranze e dei diritti umani prima di accoglierli. Forse vi è un nesso con la politica degli US di espansione della NATO, aggravata da strategie di apartheid, al fine di suscitare reazioni russe (cosa bene riuscita a seguito del progetto di entrata dell'Ucraina nella NATO e della pulizia etnica dei russofoni del Donbass).
Con la guerra d'Ucraina è iniziata, ora, la 'caccia ai russi' che vivono in Occidente e i Paesi Baltici sono autorizzati, così, ad esasperare il proprio neonazismo tanto bene esercitato in 82 anni di discriminazione etnica. Si parla di caccia ai beni degli oligarchi, ma, è una caccia all'uomo su larga scala che tocca anche persone comuni oltre che gli atleti, gli artisti, gli scrittori, i letterati, giornalisti, tutta l'etnia russa, insomma, gatti inclusi (palma d'oro all'Italia per degrado culturale).

E' iniziata una propaganda capillare da cui si staccano pochissime voci coraggiose che non si arrendono a questa follia. Sembra che in Europa le radici del nazi-fascismo non siano mai davvero morte e, fatta ammenda nei confronti degli ebrei (ma non sottovalutiamo pericolosi risvegli), da tempo si fosse alla ricerca di un'altra etnia da punire e perseguitare con disposizioni su base razziale. E su tali radici gli US hanno avuto ottimo gioco. I russi sono diventati il male da sradicare in una UE sempre più cieca e sorda che pagherà tutto il prezzo dell'insensata guerra in Ucraina, mentre abbandona alle epurazioni efferate dei neonazisti che governano, quelle coraggiose voci libere del dissenso ucraino (non russo, ma ucraino) che, quotidianamente sono imprigionate, torturate, assassinate. Le epurazioni in Ucraina hanno visto dai 40 agli 80 giornalisti uccisi o scomparsi (fonte: Marco Travaglio, Di Martedì, 7.6.22), 12 partiti di Sinistra diventati illegali, partiti neonazisti al governo.

Cittadini vengono legati ai pali della luce nelle pubbliche vie, parzialmente denudati, una patata in bocca perché non possano urlare e lasciati alla mercé di chi li vuole massacrare di botte. 'La Stampa' (22.3.22) giustifica l'ingiustificabile scrivendo che sono zingari sorpresi a rubare. Non lo sappiamo. E' certo che legare ai pali i russofoni nell'Ucraina 'libera', con il cartello 'Sono filorusso, sputatemi addosso' è una abitudine inveterata da tempo (fonte: gli indifferenti.it, 20.7.2018) e cosa sia successo e succeda di loro non si sa e non fa storia.

Ma si spera faccia Storia la documentazione agghiacciante del massacro di cittadini affamati, colpevoli di avere accettato razioni distribuite dai russi per non morire di fame. Erano russofoni o russofili? Non lo sappiamo. Restano, nella nostra memoria, i loro cadaveri per strada, mentre Ursula von der Leyen abbraccia Zelenskyy e gli assicura l'entrata nell'UE, una UE in cui è sempre più difficile riconoscersi.

Nel Donbass in mano ai russi, intanto, i bambini sono tornati a scuola, non sono più nelle cantine, provano a giocare all'aperto (Fonte: Capuozzo, L'Antidiplomatico, 17.5.22). Certo, fanno lezione in russo, ma nessuno vieta loro di parlare anche ucraino. Neanche ora che gli ucraini, che dal 2014 hanno proibito ai russofoni di parlare il russo, hanno massacrato l'etnia russofona, hanno (Poroshenko) e stanno (Zelenskyy) radendo al suolo il Donbass (non dimentichiamo che le tonnellate di bombe ucraine da noi fornite sono quotidianamente scaricate sul Donbass dall'esercito di Stato) sono il 'nemico'. Una piccola luce nel mezzo di una guerra spietata, a guida US, nella cui oscurità siamo immersi.

Fonte Oggi7

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