di Davide Malacaria

Blinken e Biden stanno costruendo un quadro di politica estera destinato a durare nel tempo”. Questo il titolo di un articolo di David Ignatius pubblicato sul Washington Post, nel quale si spiega che, mentre la mannaia giudiziaria continua a imperversare su Trump – siamo alla quarta incriminazione -, il duo in questione sta fissando le fondamenta della politica estera americana in modo che un futuro presidente, altro da Biden, sia costretto a non deviare dalle direttrici attuali.

I fondamentalisti della guerra

Così il rapporto con la Cina dovrebbe proseguire su binari conflittuali, perseverando nel rischio di un conflitto aperto, e il confronto con la Russia continuerà, dal momento che l’America sta già immaginando il futuro di Kiev a “medio e lungo termine”, per un ausilio che sia più sostenibile, in cui si riesca a “costruire un esercito di livello mondiale” (prospettiva allarmante…).

La Russia, ha detto Blinken, non deve illudersi di poter “sopravvivere all’Ucraina e a noi” (cioè agli Stati Uniti), dove va sottolineato quel “sopravvivere”, che fa della guerra in corso un conflitto esistenziale.

Proprio l’estremismo della narrazione riguardo alla guerra ucraina è il focus di un articolo di Branko Marcetic su Responsible Statecraft. “A causa della retorica iperbolica” di questa guerra, atta a sostenere la necessità di aiutare in tutti i modi Kiev, scrive Marcetic, “l’opinione pubblica è stata indotta a pensare che l’esito della guerra non riguardi solo Kiev e la sua riconquista del territorio perduto, ma abbia una posta in gioco esistenziale, per la sicurezza degli Stati Uniti, per l’intero ordine globale e persino per la stessa democrazia”.

Quindi “sciogliere gli Stati Uniti dalla guerra” richiederà che questi ultimi virino drasticamente da tale linea che vede il “futuro della stessa pace globale e della democrazia legato alla sconfitta russa […]. Questi discorsi massimalisti in questo momento sono il pensiero dominante del panorama politico statunitense”.

Ritorno alla “teoria del domino”

“Non è sbagliato – continua Marcetic – percepire in queste tematiche […] echi della ‘teoria del domino’ dell’era della Guerra Fredda, dottrina screditata che ha portato gli Stati Uniti a essere trascinati nella disastrosa guerra del Vietnam”.

Anche se pochi di quanti sono consegnati a tale massimalismo credono davvero in tale visione apocalittica, scrive Marcetic, è pur vero che la posta esistenziale c’è, ma è altra.

Infatti, avendo proclamato ossessivamente tale assunto, ormai sono in gioco “il prestigio e la credibilità degli Stati Uniti e della NATO. E così come il sostegno all’Ucraina ha rinvigorito e, almeno pubblicamente, unificato l’alleanza, porre fine alla guerra dopo un’offensiva fallita e con il controllo ucraino sul suo territorio tutt’altro che ripristinato, potrebbe avere l’effetto opposto”.

“Peggio ancora, qualsiasi successo russo, reale o presunto, potrebbe essere visto come politicamente inaccettabile o addirittura umiliante per la leadership della NATO, oltre a far emergere divisioni finora represse. La paura per la perdita di prestigio e di credibilità è stato uno dei fattori chiave per il perdurare del coinvolgimento degli Stati Uniti in Vietnam, ma anche in Iraq , Afghanistan e in altre guerre”.

La guerra e le presidenziali Usa

E nonostante il consenso degli americani all’impegno di Washington nella guerra inizi a vacillare, con gli elettori repubblicani e gli indipendenti per lo più schierati per il disimpegno, resta che la maggioranza degli elettori democratici persevera in tale posizione, costringendo Biden a non retrocedere, se vuole vincere le presidenziali.

Ciò, però, annota Marcetic, espone Biden a un altro rischio: se si dovesse registrare una vittoria russa, gli elettori democratici potrebbero punirlo.

Ma ci sono altri rischi ancora più gravi, annota Marcetic: come infatti “ci ricorda il rafforzamento delle truppe polacche al confine con la Bielorussia, una guerra prolungata comporta maggiori possibilità di escalation, che potrebbero costringere gli stati della NATO a decidere se mantenere o meno i loro impegni relativi all’Articolo V”, cioè alla mutua difesa.

Questa la conclusione di Marcetic: “Una cosa è certa: più a lungo l’amministrazione Biden attende per gettare le basi per porre fine alla guerra attraverso la diplomazia, sia pubblicamente che dietro le quinte, più difficile sarà farlo, con costi sempre più alti a carico del popolo ucraino. Speriamo che, se esiste un piano B, la Casa Bianca se lo tenga semplicemente ben stretto al petto”, pronto, cioè, per essere applicato.

Ipotesi per un piano B

Di un possibile piano B ha parlato il capo dell’ufficio del Segretario generale della NATO, Stian Jensen, in un convegno in Norvegia: “La soluzione [della guerra] potrebbe essere che l’Ucraina rinunci a parte del suo territorio in cambio dell’adesione alla NATO”.

A riportarne le parole è il sito Strana che spiega: “I negoziati sullo status postbellico dell’Ucraina sono già in corso, ha detto Jensen, e non è l’unico a porre domande sulla possibile cessione di parte del territorio alla Federazione Russa”.

“Non sto dicendo che dovrebbe essere così – ha precisato Jensen -, ma potrebbe essere una possibile soluzione. Ci sono progressi significativi sulla questione della futura adesione dell’Ucraina alla NATO”.

Per inciso, l’ipotesi della cessione di parte dei territori ucraini alla Russia in cambio dell’adesione alla NATO era stata avanzata a metà luglio anche da Oleksiy Arestovich, ex consigliere di Zelensky, a conferma che se ne sta parlando, seppur sottotraccia.

Ma sul piano B pesa, e molto, quanto scritto da Marcetic.

Fonte L'Antidiplomatico