di Giacomo Cavalli

Ho 41 anni e sono un insegnante precario, abilitato da un decennio, durante il quale ho notato un progressivo peggioramento scolastico, a partire dalla sciagurata legge Gelmini del 2008, che privò l'Istruzione Pubblica di circa 10 miliardi di finanziamento. Classi più numerose, calo delle ore di insegnamento, standardizzazione e burocratizzazione della figura dell'insegnante sono stati elementi che mi hanno spinto ad optare – oltre alla disoccupazione effettiva - per altre soluzioni lavorative, incluse le trasferte all'estero; via seguita nonostante una grande passione personale e parecchi riscontri positivi nelle classi. Quest'anno, però, mi è capitata l'occasione di rientrare a scuola come supplente su un posto di potenziamento (tra un attimo chiarirò cosa significa). Premetto che, essendo stato lontano dall'ambiente per due anni, nulla sapevo dell'ondata di recenti assunzioni e delle disposizioni della buona scuola (volutamente in minuscolo), per cui vi spiegherò tramite i fatti in cosa consista la novità più evidente. [...]

Chi sono i docenti di potenziamento e cosa fanno

Ad anno già iniziato, ogni istituto (mi riferisco alle scuole superiori in cui lavoro) si trova a gestire un numero extra di docenti, da tre a dieci, privi di qualsivoglia incarico. Mentre i docenti “usuali” si sobbarcano lezioni, verifiche, consigli ed attività pomeridiane, i “potenzianti” (che spesso non c'entrano con l'istituto dove sono allocati, come i giuristi nei licei) bivaccano nelle aule docenti. Nella mia attuale scuola, a cinquanta prof dell'organico si aggiungono nove raminghi. Poco meno del 20% della forza lavoro. [...]

Da dove nasce la follia?

Sembrerebbe che l'Italia, bacchettata dall'Unione Europea, abbia provveduto a riparare dei torti assumendo una gran massa di precari, senza però avere le idee chiare su come impiegarli. Il loro scopo dichiarato sarebbe quello di sollevare i docenti “titolari” dalle attività extra (progetti pomeridiani, supplenze brevi) e, secondo loro, contribuire a rendere la scuola all'avanguardia. Ma l'anno è già iniziato e il carico di lavoro è già stato assegnato. Possiamo dare una mano in alcune attività pomeridiane, coprire qualche supplenza, svolgere corsi di recupero ed approfondimento. Ma siamo troppi per essere tutti impegnati continuativamente.

Impatto psicologico

Sembra quasi che questa mossa sia stata pianificata a tavolino, allo scopo di gettare ulteriore discredito sulla categoria. Dall'esterno cosa si vede? Un gruppo di laureati che ciondola in un'aula, aspettando di ricevere qualche incarico, mentre i colleghi si smazzano. Lo trovo avvilente, ma sappiamo che un sacco di gente ci sguazza. Personalmente dispongo di altre risorse, per cui potrò (spero) rendermi utile nei progetti audiovisivi, ad esempio. La dirigenza e la segreteria si affannano già per stare dietro alla burocrazia, che è tanta e inutile, e non è facile per loro escogitare attività per tutti noi. Ergo, tutto dipende dalla buona volontà del singolo.

Cosa farei io?

Prima di tutto imposterei un piano sul lungo periodo, reintegrando i soldi rubati dalla riforma Gelmini, e finanzierei ulteriormente; in seguito, aumenterei il numero di scuole e aule, acquisterei attrezzature, manderei in pensione buona parte dei colleghi oltre i 60 anni e solo allora assumerei (docenti, bidelli, tecnici, segretari); stabilirei inoltre un numero tra 15 e 20 individui per classe (non i 25 che si possono spesso trovare), in modo da garantire qualità d'insegnamento e rapporto umano. Poi ci sarebbe la questione della didattica e delle valutazioni (INVALSI) che meriterebbe un articolo a parte, ma mi fermo qui.

Conclusioni

In sintesi, questo provvedimento mi sembra in linea con lo stile renziano, che mi ricorda quello mussoliniano; tanto fumo e niente arrosto, tanta faciloneria e un bel cinegiornale per illudere e confondere le idee. Molti dicono che è una fase transitoria e che tutto si aggiusterà, e che in fondo qualcosa si è mosso. Io non ci credo; percepisco inquietanti vibrazioni telluriche, acuite dall'esperienza decennale, costellata di delusioni e amarezze, per cui non sono un testimone attendibile. Molti lettori mi diranno: allora dimettiti, perché rubi uno stipendio senza fare nulla, sputando nel piatto dove mangi? Cosa pretendi di comunicare con questo articolo? Non lo so neppure io. Uno stipendio che forse non arriverà (leggo sul web che molti colleghi non hanno ancora visto il becco di un quattrino), un anno di punteggio (da non disprezzare), la speranza di rendersi effettivamente utile, una autentica passione per il lavoro coi ragazzi sono tutte considerazioni che mi ripeto, perché sono abituato a guadagnarmi la vita onestamente. Alla luce di quanto riferito sopra, è proprio questo che mi fa stare male e mi spinge a condividere.

Giacomo Cavalli