di P.K.89

Il crollo del ponte Morandi di Genova, fra i tanti interrogativi che ha sollevato, ha anche sdoganato nel dibattito pubblico - ma soprattutto politico - un impensabile processo inverso riguardo alla nazionalizzazione.

Che forze di maggioranza e governative fossero le promotrici di un’iniziativa di questo genere è un fatto del tutto nuovo e in totale controtendenza rispetto all’indirizzo privatista-liberale che si protrae dalla seconda metà degli anni ’80.

Gli interessi dietro le privatizzazioni sono molto forti e a vario titolo.

Si è argomentato per anni circa l’inefficienza, lo sperpero di risorse pubbliche, la corruzione, la malagestione, il clientelismo, la libera concorrenza, l’esigenza di risanare le casse statali, ed oggi dopo un disastro sicuramente non figlio dell’imponderabile e della calamità naturale, si è messo pubblicamente in discussione il modello che voleva il privato necessariamente più efficiente di un’amministrazione pubblica.

È importante puntualizzare una banalità: esistono degli asset che rappresentano esigenze primarie per ogni individuo e società “civile” che voglia fregiarsi di questo appellativo, e parliamo di energia e le sue reti, acqua, sanità, reti di comunicazione (trasmissione dati in primo luogo, ma anche radio ecc…), salute, infrastrutture per il trasporto, e io vi aggiungerei l'accesso al cibo, e per una società dai modelli produttivi ed economici complessi vi è anche la gestione e l’accesso al credito.

È questa un’importante occasione per tornare a riflettere sull’importanza pubblica di questi asset, del disagio che comporta un loro malfunzionamento e di come il controllo, di questi che sono beni primari, orienti e influenzi in maniera determinante lo sviluppo economico, sociale, culturale di un popolo.

È importante riflettere sul fatto che questi settori tendono anche a svilupparsi secondo modelli monopolistici naturali, e che quindi questo comporta un accentramento del controllo, e viene da chiedersi se il modello privatista-liberale sia il più adatto per gestire queste fondamentali risorse.

Ma vi è anche da osservare, con tutta onestà, che per diverse ragioni il modello di amministrazione burocratico e quello pubblico in genere si è dimostrato, in più di un’occasione, non solo inefficiente, ma anche inefficace, e le contestazioni e le argomentazioni che hanno spinto verso le privatizzazioni non erano prive di fondamento.

Sebbene si possa supporre e contestare il fatto che molti dirigenti di questi grossi asset siano stati spinti ad una mala gestione, quel che è importante rilevare nel dibattito è che effettivamente non sempre l’amministrazione pubblica è sinonimo di garanzia minima di funzionamento.

Pertanto non si può prescindere dal fatto che è necessario comunque trovare modelli amministrativi e di controllo tali da garantire livelli minimi di efficacia ed efficienza, anche in quei settori che sono attualmente a gestione pubblica.

Tornando quindi alla questione delle autostrade, le domande sulle quali confrontarsi oggi sono:
- In che direzione deve andare questo governo rispetto alla gestione delle fondamentali infrastrutture stradali?
- Nazionalizzare o trovare un altro gestore privato più affidabile?
- Quali dovranno essere gli obiettivi di sviluppo futuri per questo asset?
- E quali dovranno essere i vincoli, i modelli di amministrazione da adottare per raggiungere gli obiettivi?