Per i grandi partiti, è andato tutto più o meno come previsto, con la variante di una Lega molto penalizzata all’interno del centro-destra, e dei 5 Stelle in vistosa rimonta nel campo opposto.

Ma la vera sorpresa – almeno per noi che facciamo parte di questa “area di pensiero” - è stato il completo flop dei cosiddetti partiti antitistema. Di tutte queste persone – Paragone, Montanari, Toscano, Cunial, Schilirò, Rizzo, Frajese, Grimaldi, Puzzer, Teodori, Bianchi, Messora, ecc. – nessuno di loro siederà in parlamento nella prossima legislatura. Nessuno.

I motivi di questa debacle sono molteplici, e ci sono certamente delle valide scusanti: la prima, è la fretta con cui sono state organizzate le elezioni (che gli hanno impedito di organizzare una campagna elettorale decente). La seconda è stata l’impossibilità per gli italiani all’estero di votare per uno di questi partiti. Bene o male, quasi sei milioni di elettori non hanno avuto la possibilità di scegliere Italexit, ISP o Vita, semplicemente perchè sulle schede il loro simbolo non compariva. (Già questo, in un paese normale, dovrebbe comportare l’anullamento delle elezioni).

Ma il vero problema, questo lo sappiamo tutti, è stata la frammentazione stessa con cui queste nuove forze si sono presentate al voto.

 

Per un pubblico fortemente scottato dall’esperienza con i 5 Stelle, è stato devastante vedere queste nuove forze che si presentavano non solo separate, ma spesso anche ostili fra di loro, e fortemente avvelenate l’una contro l’altra.

Ora naturalmente partirà una serie violenta di accuse e contro-accuse su chi sia il colpevole di questa frammentazione, ma in realtà noi sappiamo già come è andata. Mentre i candidati di Vita passavano il loro tempo ad insultare gli altri, come se fossero gli unici “puri” degni di essere votati, Toscano ha fatto di tutto per mettere insieme l’area del dissenso, e lo ha dimostrato con i fatti, rinunciando al proprio simbolo (Ancora Italia) e riuscendo ad unire ben 15 liste diverse sotto il simbolo comune di Italia Sovrana e Popolare. Paragone invece ha detto chiaramente che si riteneva l’unico in grado di superare la soglia del 3% da solo, per cui non era disposto a rinunciare nè al proprio simbolo, nè al proprio nome come leader.

Con il risultato che ciascuno di loro ha racimolato meno del 2%, e dal parlamento restano fuori tutti. (Solo i loro voti, sommati, avrebbero portato a superare comodamente il 3%, e non soltanto per un fattore numerico, ma anche per un fattore emotivo: vedendoli uniti, molti più elettori esitanti si sarebbero decisi ad andare a votarli).

Lo ripeto (e temo che dovrò ripeterlo molte volte, nelle prossime settimane): la frammentazione non è soltanto un problema algebrico, nel senso che si suddividono numericamente i voti, ma è anche – e soprattutto – un problema emotivo. Vederli così divisi, per un elettore già scottato dall’esperienza con i 5 Stelle, ti fa passare del tutto la voglia di andarli a votare.

Se a tutto questo aggiungiamo l’assoluta incapacità di queste forze di presentare un panorama politico credibile, una volta entrati in parlamento, la frittata è fatta. Nessuno, assolutamente nessuno di questi nuovi partiti è stato capace di presentare al potenziale elettore una immagine precisa di quello che avrebbero fatto in parlamento, se fossero riusciti ad entrarci. Erano tutti talmente preoccupati di varcare la fatidica soglia, che si sono dimenticati di dirci che vestito avrebbero indossato, una volta ammessi al sacro emiciclo.

Aspettarsi entusiasmo da parte degli elettori, in queste condizioni, è davvero da principianti della comunicazione.

Nei prossimi giorni avremo modo di tornare su questi argomenti più nel dettaglio, ma nel frattempo dobbiamo renderci conto di una cosa: il divide ed impera – sia che venga dall’esterno oppure dall’interno – ha funzionato alla perfezione. Anzi, quello che viene dall’interno, carico di veleni e di gelosie, è ancora più devastante di quello operato dall’alto. Orgoglio e presunzione mal si coniugano con una situazione che richiedeva una unità totale di sforzi e di intenti, e ora i risultati sono sotto gli occhi di tutti.

Unica nota positiva, anche se non consolatoria, è la bastonata che Di Maio ha preso nella propria regione: battuto da un candidato che lui stesso aveva portato ad essere ministro, ora il nostro Giggino nazionale potrà tornarsene a casa, a giocare da solo alla “Democrazia Cristiana”. L’uomo che voleva “volare” sulle ali dei suoi elettori, facendo il furbo con le sue mille giravolte, il volo lo ha fatto davvero. Dritto nel bidone della spazzatura.

Massimo Mazzucco