Sale a quattro il numero dei poliziotti morti suicidi, fra quelli che hanno partecipato alla battaglia del Campidoglio del 6 gennaio scorso a Washington. Qualche giorno dopo gli eventi, si era tolto la vita Howard Liebengood, seguito a poche settimane di distanza da Jeffrey Smith. Poi il 10 luglio si è suicidato Kyle DeFreytag, e il 29 dello stesso mese è toccato a Gunther Hashida, veterano da 18 anni del corpo di polizia di Washington.

Ovviamente, stupisce un numero spropositato di suicidi rispetto ad un episodio che, per quanto possa essere stato traumatico per la nazione, non dovrebbe certo aver causato nei poliziotti una tale “crisi di identità” da portare al suicidio.

Questa è gente che vede morti, massacri e sparatorie dal mattino alla sera, e non si capisce davvero che cosa possa essere successo quel 6 gennaio da avergli così completamente stravolto la visione del mondo.

D’altronde, non sono previsti processi nè testimonianze particolari, tali da poter autorizzare il pensiero che qualcuno “li abbia voluti silenziare”. L’unica questione ancora irrisolta è la polemica fra l’FBI e la polizia di Washington: i federali sostengono di aver avvisato la polizia locale di possibili sommosse il giorno prima, mentre la polizia di Washington nega di aver mai ricevuto tale avviso. Ma questo è il classico scaricabarile che succede sempre in casi del genere, e non sembra concepibile che dei poliziotti di basso livello possano comunque avere informazioni tali da influire su questo verdetto.

Quindi, almeno a prima vista, questi suicidi restano senza una valida spiegazione. Dobbiamo davvero pensare, come ci suggeriscono i network americani, che i poliziotti si siano tolti la vita “per non aver saputo onorare un impegno nel difendere un simbolo sacro come proprio Campidoglio”, oppure c’è sotto qualcosa che ci sfugge?

Massimo Mazzucco