Discussione sull'argomento con Mazzucco, Caria e Radius.
Sono saliti a tre gli “oggetti non identificati” abbattuti dal Norad sui cieli di Canada, Alaska e Michigan. Per ora il Pentagono tace, e non dice nulla sui resti ritrovati. Le possibilità che rimbalzano sui media americani sono di tre tipi.
A) Palloni spia (o velivoli simili) lanciati dai cinesi
B) Palloni spia (o velivoli simili) lanciati da altre nazioni
C) Veicoli extra-terrestri
La terza ipotesi ovviamente viene proposta fra le righe, in un continuo gioco di dire-non dire tipico degli ambienti militari.
Un grosso scandalo sta colpendo gli Stati Uniti.
Il governo degli Stati Uniti ha subito quella che viene definita la ” più grande frode in una generazione ” durante la pandemia di Covid.
Secondo gli ultimi rapporti sul programma di soccorso Covid, sono scomparsi tra i 163 e i 400 miliardi di dollari su un totale di 900 miliardi di dollari di finanziamenti.
Il Dipartimento del lavoro ha ammesso che almeno 163 miliardi di dollari dei fondi di soccorso Covid non sono finiti nelle mani giuste, ha riferito Pete Hegseth.
Al parlamento USA è in corso una sessione degna del teatro dell’assurdo. Per la prima volta dal dopoguerra ad oggi, il partito che ha ottenuto la maggioranza dei seggi (repubblicano) non riesce ad eleggere un suo rappresentante per guidarli durante la legislatura.
Il ruolo da assegnare è quello di “speaker of the House”, che è addirittura più importante del nostro presidente della Camera. Lo speaker infatti è sia presidente della Camera sia leader politico incontestato del partito di maggioranza. Questo doppio ruolo, istituzionale e politico, lo rende un personaggio potentissimo all’interno del sistema americano. Tanto per capirci, la speaker uscente (democratica) è Nancy Pelosi, che ha determinato la politica del suo partito dal 2011 ad oggi (alternandosi come leader della minoranza o della maggioranza).
Ebbene, succede che dopo aver ripreso la maggioranza alla Camera con un vantaggio risicato (solo 222 seggi, con la maggioranza a 218) ora i repubblicani non riescono a decidere chi debba guidarli per i prossimi due anni.
Una volta i presidenti scomodi si ammazzavano con una pallottola in testa. Oggi si cerca di farli fuori - mediaticamente, non più fisicamente - prima che vengano eletti, oppure ri-eletti.
E’ il caso di Donald Trump, che vorrebbe tanto ricandidarsi alla presidenza nel 2024, ma che sta subendo un attacco a tenaglia da parte del deep state per cercare di impedirglielo.
Un braccio della tenaglia è costituito dall’IRS (che sarebbe l’Agenzia delle Entrate federale), la quale sta cercando da diversi anni di costringere Trump ad una revisione delle sue dichiarazioni dei redditi, senza riuscirci. Per tradizione infatti, ogni candidato presidente ha sempre reso pubbliche le proprie dichiarazioni dei redditi degli anni precedenti, mentre Trump si è sempre rifiutato di farlo. Finché era presidente, è riuscito a resistere alla pressione, ma proprio ieri una commissione parlamentare – che è ancora in mano ai democratici – ha votato affinchè le sue dichiarazioni dei redditi vengano rese pubbliche.
Questo video è preso dal canale The China Show, dove due blogger americani – che hanno vissuto in Cina e parlano cinese – spiegano regolarmente quello che accade in Cina. (Purtroppo il video è "age restricted" ed è visibile solo su Youtube).
Secondo i presentatori, c’è qualcosa di profondamente diverso nelle proteste attuali, rispetto a quelle del passato: esasperata dal lockdown infinito, la gente si ribella non solo scendendo in strada, ma contestando anche apertamente il proprio governo e le forze di polizia (cosa – a dir loro – impensabile fino a ieri in Cina). In particolare un episodio (al minuto 10) , nel quale un cittadino che protestava viene prima portato via di forza dalla polizia, ma poi la folla interviene e lo libera. Al minuto 12.30 le scene impensabili in cui la gente intrappolata nell’edificio in fiamme urla disperata, poichè le uscite sono state sigillate a causa del covid. Pare che sia stato questo episodio a scatenare le proteste in diverse città cinesi. Se avete altri video interessanti sulla situazione cinese perfavore postateli nei commenti.
di Monica Dematté (*)
'Non tamponi ma cibo, non lockdown ma libertà, non menzogne ma dignità, non [un'altra] rivoluzione culturale ma riforme, non capi ma votazioni; non schiavi ma [finalmente] cittadini.'
Sono le parole scritte in grande su uno dei due striscioni appesi il 13 ottobre 2022 sul ponte di Sitong nel quartiere nordoccidentale Haidian a Beijing (Pechino). Sullo striscione di destra c'è addirittura un'accusa diretta al 'leader maximo': Sciopero a scuola e sul lavoro, rimuoviamo Xi Jingping, dittatore e traditore del paese! Solleviamoci se non vogliamo essere schiavi! Opponiamoci alla dittatura, all'autoritarismo! Salviamo la Cina con votazioni presidenziali aperte a ogni cittadino!
Il tutto accompagnato da un gran fumo nero emanato da un falò di copertoni e da slogan dello stesso tenore diffusi da altoparlanti. Un'azione compiuta da una persona vestita con un gilet fosforescente da operaio, che si intravede portato via su una delle auto della polizia accorse sul luogo. Il video dell'accaduto si diffonde a macchia d'olio via WeChat per tutta la Cina e all'estero, poi viene cancellato. Peng Zaizhou (pseudonimo della persona in questione, che sembra si chiami Peng Lifa, diventa l'eroe di milioni di persone, che pur ammirandolo e invidiandone il coraggio, sono ormai abituate a limitare l'ambito delle proprie azioni a un clic sugli insidiosi mezzi tecnologici .
Qualche giorno dopo a Shanghai due giovani (una ragazza e un ragazzo, entrambi con lunghe chiome) percorrono qualche centinaio di metri in mezzo alla strada tenendo uno striscione che cita quello pechinese senza ripeterne i contenuti, lasciando che sia il 'non scritto' a veicolarne il significato (non...ma, non...ma... ). Una scelta molto più in linea con il carattere e la cultura cinesi, che si esprimono tradizionalmente in maniera indiretta e allusiva. Dal 3 novembre circola su WeChat la foto di un giovane uomo che va a fare il tampone quotidiano anti-Covid (obbligatorio in molte città della Cina) a Guangzhou, nudo sotto un impermeabile trasparente. Si parla del 'nuovo abito dell'imperatore' laddove l'imperatore è il corrispettivo cinese del nostrano 're'.
I repubblicani non hanno ottenuto la vittoria schiacciante prevista da molti sondaggisti, e improvvisamente Trump si ritrova in casa un problema che non si aspettava: questo problema si chiama Ron De Santis.
Andiamo con ordine. Innanzitutto, si sta ripetendo la stessa situazione incomprensibile del 2020, quando alcuni stati ci misero diversi giorni prima di completare il conteggio dei voti. Questo fa sì che a 24 ore dalla chiusura dei seggi ancora non si possa sapere con certezza chi abbia vinto che cosa. A giudicare dagli exit polls, la camera andrà ai repubblicani, ma con un margine molto minore del previsto, mentre il senato è ancora decisamente in bilico, e potrebbe tranquillamente restare nelle mani dei democratici.
Questo significherebbe comunque un Joe Biden parzialmente “azzoppato” per i prossimi due anni, ma non certo morto e sepolto, come invece lo sarebbe stato con una vittoria schiacciante dei repubblicani. Se infatti il margine alla camera fosse di pochissimi voti, potrebbe anche succedere che il nuovo speaker (ruolo che ora è della Pelosi) sia molto più moderato di quello che i repubblicani più sanguigni vorrebbero, portando ad una agenda parlamentare molto più “morbida” nei confronti di Biden.
Insomma, una specie di “pareggio fuori casa”, da parte di Biden, che gli permetterebbe di non affondare nell’oblio nei prossimi due anni.
C’è nell’aria uno strano senso di deja-vu. Come nel “Giorno della marmotta”, sul fronte dell’immigrazione tornano a ripetersi le stesse identiche dinamiche di quattro anni fa: le navi di Soros che si presentano davanti alle nostre coste cariche di migranti, il nostro governo che cerca di respingerle, e l’infinito braccio di ferro che ricomincia daccapo.
Ormai le dinamiche sono chiare, e sono state riassunte in modo plastico in un confronto che c’è stato qualche sera sul talk-show della Palombelli: una giornalista, contraria agli sbarchi, che diceva che “le persone che salgono su una nave battente la bandiera di una certa nazione sono legalmente sul territorio di quella nazione” (e quindi in quella nazione dovrebbero sbarcare), e Andrea Romano (ex-deputato PD, favorevole agli sbarchi) che fingeva di non sentire, e ripeteva a macchinetta “studiatevi il trattato di Lisbona: dice chiaramente che il primo porto di approdo è quello che deve accogliere i migranti”.
di Maurizia Leoncini Vecchi
Il trattato Italia-Francia, firmato in data 26 novembre 2021 a Roma, tocca punti nevralgici e poco comprensibili all’interno di una Comunità europea che dovrebbe combattere, anziché permettere, la creazione di ‘assi’ particolari tra singole nazioni.
In 12 articoli che vanno dagli Esteri alla Sicurezza e Difesa, alle Politiche migratorie e Cooperazione transfrontaliera, agli Affari e all’Economia, allo Sviluppo, allo Spazio, alla Cultura ed in cui è previsto un incontro annuale di verifica e coordinamento delle reciproche linee d’azione, si gioca molto del nostro futuro. Se guardiamo al passato, i rapporti Italia-Francia, attraverso i secoli, ci danno un quadro devastante, con scenario di crimini di guerra ancora aperti e che nessun governo italiano, si è azzardato a denunciare.
Se si guarda alla Storia, la mano della Francia sull’Italia è stata lunga e pesante. Bisogna andare al 1282 per registrare la rivolta dei siciliani che, con i ‘Vespri siciliani’, riuscirono a liberarsi degli oppressori. Per il resto sono più che altro asservimenti, occupazioni, oltraggi. Nel 1305, Clemente V (il francese Bertrand de Got) sposta il papato da Roma ad Avignone facendone la sede stabile e trasferendovi dalla Città Eterna quanto più può, opere d’arte incluse.
di Toni Capuozzo
Fine della retorica. In italiano, come in ogni lingua, le parole hanno un peso: quella dell’Azovstal non è un’evacuazione. E’ una resa. Certo, non una resa umiliante, non ci sono forche caudine. Non una resa vile, c’è un ordine del Comando supremo, e ci sono 80 giorni di resistenza, alle spalle.
Ma non è una resa con l’onore delle armi: si finisce caricati sui bus verso un ospedale o verso centri di detenzione, con un futuro da scrivere tra scambi di prigionieri e forse processi.
Ma è la fine della retorica, come se l’eroismo fosse un destino rimasto nel ‘900, il secolo cui appartengono gli strenui nazionalismi e i relitti ideologici che in questa guerra affiorano ogni tanto.
E’ la fine della retorica: il Corriere della Sera ancora questa mattina racconta i resistenti dell’Azov come “angeli”, nelle parole dei profughi da Mariupol.
Immagino che molti di voi vorranno discutere della "strage di Bucha", visto che sono uscite moltissime argomentazioni sia pro che contro, per cui vi lascio questo spazio a disposizione.
M.M.