di Giacomo Cavalli (jck74)

Nutrivo molte aspettative sull’ultimo film di Nolan, soprattutto in virtù della stima che nutro nei suoi confronti. I suoi lavori mi avevano abituato a racconti complessi e sfaccettati, che speravo di ravvisare anche in questa sua ultima opera. Così non è stato (secondo il mio modestissimo parere) e vi spiego perché.

Al primo anno del corso di storia contemporanea, rimasi colpito dall’affermazione di un professore: “A Dunkerque Hitler scelse di non infierire sull’esercito inglese, in quanto convinto della necessità di addivenire ad un accordo con l’Inghilterra. Considerava i britannici come dei cugini con i quali si poteva venire a patti, e voleva lasciare aperta la porta ad una riappacificazione con loro”. Tenete a memoria questa considerazione.

Premessa

Prima di procedere alla disamina del film, è d’obbligo precisare alcuni punti:

1) La Germania, uscita umiliata e mutilata dal Primo conflitto mondiale, aveva dovuto subire il pesante diktat della Pace di Versailles, una pace dichiaratamente punitiva che aveva posto le basi dell’ascesa del nazionalsocialismo. Pertanto, la possibilità di presentare l’alleanza franco-britannica come l’esclusivo rappresentante delle “forze del bene” decade d’ufficio.

2) All’affermazione precedente, molti si sentiranno moralmente in dovere di porre la domanda: “Avresti preferito che vincesse Hitler?”. Ovviamente no. Esattamente come non avrei voluto che vincesse Stalin, tanto per citare un dittatore inviso a chiunque. Il quid riguarda le responsabilità di tutti gli attori che si disputarono la scena a quel tempo. Uno storico non ha il compito di glorificare o giustificare, ma semplicemente di analizzare ed esporre. A questo proposito consiglio la lettura di questo pezzo di Franco Bandini, risalente al 1989.

3) La guerra scoppia nel settembre 1939 con l’attacco tedesco alla Polonia, che viene sconfitta in brevissimo tempo. Francia e Inghilterra dichiarano guerra alla Germania, ma non accade alcun fatto bellico rilevante: si tratta della cosiddetta “strana guerra”, durata fino alla primavera successiva. Ad aprile i Tedeschi invadono Danimarca e Norvegia, per poi assalire la Francia, nel maggio 1940. Convinti di trovarsi di fronte ad una ripetizione della strategia della Prima Guerra mondiale, i comandi franco-inglesi si fanno sorprendere dalla Blitzkrieg tedesca. Invaso il Benelux, le truppe tedesche, facendo largo uso di reparti corazzati e motorizzati, ampiamente sostenuti dall’aeronautica, progrediscono in territorio francese inizialmente da nord, ed aggirando a sud la poderosa linea Maginot. La vertiginosa avanzata tedesca chiude in una enorme sacca le truppe alleate a nord, ricacciandole verso il porto di Dunkerque, da cui prende le mosse la narrazione del film.

Il film

Dall’inizio alla fine i Tedeschi non vengono neppure nominati. Sparano e bombardano, neppure massicciamente, e basta. Un testo in sovrimpressione, in apertura, li definisce “il nemico”; vengono mostrati aerei germanici durante i combattimenti nel cielo, ed alcuni soldati (rigorosamente fuori fuoco) che, nel finale, catturano uno dei protagonisti. Una simile omissione può essere spiegata come una precisa scelta registica, che a me pare però riduttiva. Sembra quasi voler conferire una “dimensione metafisica del male” all’avversario, del genere: “questi sono i cattivi, non sono umani, e non si pensi neppure di metterlo in discussione”. Un simile taglio, antistorico e pesantemente stantio, fa parte della tradizione cinematografica; ma da Nolan mi sarei aspettato di più. Ma questo è ovviamente il mio giudizio, e come tale non è rilevante.

La vicenda si svolge sulla spiaggia, sul mare e nei cieli. A dispetto delle cifre che menzionano “400.000 soldati da evacuare”, le immagini mostrano sparute colonne di esseri umani in attesa di essere imbarcati, sicché ci si può legittimamente domandare dove fossero tutti gli altri. Tutto concorre a creare una dimensione parallela, ben lontana dai giochi politici e diplomatici che – è bene ricordarlo- sono alla base dell’immane carneficina del 1939-45. Da Nolan, che in Interstellar aveva dimostrato un’approfondita sensibilità per la relatività, avrei gradito un approccio più problematico, considerando che la storia è disciplina assai più abbordabile della fisica.

L’umanità rappresentata dai semplici soldati mette in evidenza la paura, anche la vigliaccheria, stigmatizzata dai trucchetti (degni dei Sordi e Gassman de “La Grande Guerra”) messi in atto dai protagonisti pur di imbarcarsi; ma non basta a bilanciare il becero patriottismo degli alti gradi (come il buon Branagh, che nel finale, invece di salpare con la nave, afferma “rimango qui per salvare anche i Francesi”; che sia una sottile ed improbabile metafora dello sfacelo dell’Unione Europea?) e della popolazione civile che, in modo dissimulato ed astuto, contrappone i “buoni ed umani” al nemico metafisico.

Il film è ben girato, perché Nolan ci sa fare; la fotografia della cupa spiaggia, battuta da un mare schiumoso, si contrappone al fulgore delle scene aeree; la colonna sonora incombe con toni magniloquenti e drammatici, alle volte anche troppo. I dialoghi sono ridotti all’osso, ed il fatto che il film scorra senza creare tedio è un indubbio merito del regista e della sua capacità di raccontare per immagini. Ciononostante sono uscito profondamente deluso dal cinema. Sognavo un affresco storico in cui trovassero spazio il cinismo dei governanti, i dubbi e le paure dei singoli da ambo le parti, la complessità della narrazione storica: nulla di tutto ciò. Mi sono imbattuto nell’ennesimo polpettone patriottico, confezionato con grande stile, ma nulla più; anzi, ho incocciato nella consueta celebrazione del pensiero unico, bidimensionale, in cui il nemico sia ben distinguibile, si chiami esso fascismo, nazismo, populismo o senso critico. Si potrà obiettare che Nolan non era interessato a mostrare altro che le reazioni umane in una situazione drammatica; ma una simile scelta esclude il film dal novero della filmografia di guerra. Il messaggio che filtra è comunque destinato a formare un’opinione negli spettatori, ed a mio avviso esso è fuorviante. A questo punto, ripensare all’affermazione del mio professore suona come una pedante pretesa di chi proprio non si sa accontentare; anche se il regista si chiama Christopher Nolan.