Perché una moneta internazionale dovrebbe arrivarci, offerta in un bel packaging tecnologico, da un’associazione privata basata in Svizzera? Libra è la prova della fragilità del nostro sistema monetario. O la piattaforma è di tutti o si creano seri problemi su come vigilare questo sistema in futuro.

Libra è la nuova moneta che Facebook promette di rendere operativa entro un anno, in una prima versione controllata da lei stessa assieme ad altre imprese, piattaforme, intermediari finanziari e organizzazioni nonprofit riuniti in un’associazione. E poi, in cinque anni, completamente priva di ogni forma di controllo quanto meno sul piano strettamente tecnico. L’annuncio è stato dato lunedì, ma è di martedì la pubblicazione del white paper che dovrebbe illustrare i tratti fondamentali del progetto.

Che dire dopo una prima riemersione dalla lettura del white paper di Libra? Che questo paper non è affatto white, anzi è molto grey. Al di là dello stile sicuro di sé, le informazioni date sulla struttura, sui fini e sul modus operandi della nuova moneta globale offerta alla community globale lasciano ancora molte, troppe zone grigie.

Se volessimo prestare al progetto una linea univoca, dovremmo dire che Libra è una versione privata, su blockchain, di uno strumento che già esiste: i diritti speciali di prelievo del fondo monetario internazionale.

I DSP, o SDR (special drawing rights) sono un mezzo di riserva e di pagamento internazionale, il cui valore è stabilito in termini di un paniere di monete. Trattandosi di monete ad alta diffusione e complessivamente a bassa inflazione (dollaro, euro, yen, sterlina e yuan), la stabilità dello strumento è garantita, mentre non è ovviamente garantito il suo tasso di cambio nelle singole valute, soprattutto quelle più volatili. Così è anche per Libra, che non sarebbe anzi semplicemente ancorata al paniere di valute ma anche garantita da asset espressi in quelle monete. Cambiandosi con un paniere di valute, Libra non sarebbe una nuova moneta e Facebook non batterebbe moneta, ma si limiterebbe a trasformare monete esistenti in una moneta “sintetica”, potenzialmente più accettabile perché più stabile, e, potenzialmente, più stabile perché più accettata.

È stata la Cina a proporre e ottenere nel 2009 una emissione straordinaria di SDR che ne ha decuplicato la quantità disponibile. L’obiettivo era precisamente di creare liquidità internazionale a fronte delle incertezze che la crisi finanziaria stava gettando anche sulle monete fino a qual momento ritenute sicure. Il governatore della banca centrale cinese che le propose, Zhou Xiaochuan, parlò espressamente della necessità di una nuova Bretton Woods e indicava negli SDR una risposta ai problemi derivanti dalla dipendenza del sistema internazionale dalle incertezze che potrebbero affliggere la moneta nazionale utilizzata fin dal dopoguerra come mezzo di pagamento internazionale: il dollaro. Ma il progetto non è affatto così cristallino, e molti passaggi del white paper non danno indicazioni univoche e chiare. Ciò però non ci deve impedire, anzi ci deve proprio indurre a porre un problema che sta a monte dello scioglimento dei pur legittimi dubbi di cui sopra: perché diavolo una moneta internazionale dovrebbe arrivarci, offerta in un bel packaging tecnologico, da un’associazione privata basata in Svizzera?

Il fatto che soluzioni alquanto raffazzonate, e avventuristiche anzichenò, possano guadagnare il centro dello spazio del dibattito pubblico ci dice fino a che punto il nostro sistema monetario ufficiale sia fragile e indebolito

Ciò che dovremmo innanzitutto avvertire, per farci un’idea della portata pratica e simbolica del progetto Libra, è l’enorme vuoto che il progetto si propone di riempire. Lo avevo già detto, con Luca Fantacci, in un libro sul Bitcoin: il fatto che soluzioni alquanto raffazzonate, e avventuristiche anzichenò, possano guadagnare il centro dello spazio del dibattito pubblico ci dice fino a che punto il nostro sistema monetario ufficiale sia fragile e indebolito, e quanto manchi di adempiere alle funzioni che gli perterrebbero. Ma lasciamo da parte l’effetto d’insieme e proviamo a prendere in considerazione singoli pezzi intellegibili di Libra. Ciò che viene ipotizzato per ora è una blockchain controllata (permissioned) per effettuare pagamenti anonimi istantanei a basso costo. Se solo si prende in considerazione il mercato immenso delle rimesse degli emigranti, ci si rende conto del potenziale di business di una piattaforma di questo tipo. Il fatto che Libra sia sostenuta nel suo “valore intrinseco” (apro qui, e subito chiudo, una parentesi pietosa sulla pochezza teorica, ossia sulla radicale inaffidabilità, del linguaggio utilizzato dal documento), la rende molto più appetibile per questo tipo di trasferimenti: se ho degli euro che voglio trasferire in un paese a moneta fragile, comprerò Libra al tasso di cambio del momento, trasferirò Libra nel paese in questione a basso costo e il soggetto che riceverà i soldi li convertirà in moneta locale al tasso di cambio del momento. Bene.

Ma davvero possiamo trasferire a un’associazione privata il compito di gestire un movimento di moneta così considerevole? E se sì, a quali condizioni? La storia non è avara di esempi di architetture monetarie gestite privatamente ma in vista di un fine pubblico. Alle fiere dei cambi di Lione, nel cinquecento, la corporazione dei mercanti-banchieri italiani gestì i pagamenti internazionali di tutta Europa, per circa mezzo secolo, assicurando una stabilità dei cambi e una scorrevolezza degli scambi che pochi altri sistemi hanno garantito, prima e dopo. Ma, appunto, si trattava di una corporazione riconosciuta da tutti gli stati europei, che le lasciavano il suo spazio di azione, ma la costringevano anche ad agire in vista di un obiettivo di stabilità. Qui possiamo misurare quanto il bianco del paper sia in realtà grigio: da una parte è Facebook stessa a sostenere che il sistema dei pagamenti è un “bene pubblico”, dall’altra la stessa Facebook sta offrendo una piattaforma privata per assicurare l’operatività diffusa dei pagamenti.

Certo, non ci vuole niente ad annunciare, come fa il white paper, che l’intento dei promotori è di rendere la “governance” della piattaforma aperta, partecipata e “decentrata”. Resta da vedere se poi lo si vuole fare davvero, e se è possibile farlo in quadro di rapporti di diritto privato, o se invece il progetto non porti con sé la necessità di un ripensamento della natura istituzionale del sistema monetario internazionale. Perché delle due l’una: o la piattaforma è davvero “di tutti”, e allora 1. Non è dell’associazione Libra, 2. La sua governance esige di passare per forme di vigilanza che a loro volta implicano un problema di legittimità dei soggetti vigilanti. O è sì dell’associazione Libra, e allora si pone un problema dello statuto di un gestore che avrà un potere immenso derivante dai dati che potrà intercettare, stoccare e utilizzare.

Facebook se la cava dicendo qualcosa di apparentemente “liscio”. Partiremo con una governance centralizzata, accentrata cioè in un’associazione, ma fra cinque anni la piattaforma sarà liberata da ogni controllo, per decisione, o se si vuole per harakiri, dell’associazione stessa. Nel primo caso resta il problema di chi vigila il gestore. Nella misura in cui Libra si configura come un istituto di moneta elettronica (IMEL), in Europa si applicano la direttiva sulla moneta elettronica nonché, in quanto istituto di pagamento, la nuova direttiva PSD2. Nel secondo caso, nessuna vigilanza sarà possibile, e allora Libra si candida a diventare un network di pagamenti miranti a eludere i controlli fiscali, e a rendere ancora meno costose di quanto non lo sia già ora le fughe di capitali, l’arbitraggio normativo, le attività illegali e di riciclaggio.

Le evidenti manchevolezze del progetto allo stato attuale non devono però indurci a dismetterlo come il frutto di fantasie “visionarie”. La “connettività” che già ora Facebook gestisce (due miliardi e duecento milioni di utenti attivi) la rende un soggetto che sarebbe folle sottovalutare. Al di là delle falle, si tratta di vedere dove tende questo tipo di progettualità tecnica. Per dirla in una formula: essa tende verso uno spazio di relazioni disintermediate da ogni forma di controllo politico tradizionale.

Ma questo ci dovrebbe sollecitare a elaborare nuove forme politiche, non necessariamente di “controllo” ma di salvaguardia dall’opacità tecnologica a cui progetti come quello di Facebook sembrano votare quel bene altamente simbolico che è la moneta. Ci dovrebbero indurre a chiederci che forma assumono oggi i monopoli naturali, e che forma avrebbe una gestione pubblica, nel senso di trasparente, delle piattaforme che la tecnologia ci mette a disposizione. Forse dovrebbero indurci a tornare davvero a Bretton Woods, ma con le idee un po’ più chiare su cosa debba essere un’autentica moneta internazionale.

Fonte LINKIESTA