di Roberto Li Causi

La rete è complessa e variegata. Coinvolge i social network, le tv, i giornali e ha come obiettivo principale il condizionamento dell’opinione pubblica. Si attiva nei momenti chiave dell’azione governativa, attaccando chiunque dubiti o dissenta dalla narrazione dominante in merito a qualunque argomento scottante, dalla Pandemia alla guerra in Ucraina, e sostenendo coloro che portano avanti le tesi promosse dall’esecutivo. La rete filo-governo è ormai una realtà ben radicata in Italia, si tratta però di una realtà che non allarma minimamente gli apparati di sicurezza malgrado tenti ossessivamente di orientare, o peggio boicottare, il dibattito pubblico, facendo largo uso della calunnia, della diffamazione e della menzogna, e potendo contare su parlamentari e influencer, lobbisti e giornalisti.

L’indagine silenziosa avviata dai liberi cittadini di questo paese sopra il comportamento dei media mainstream negli ultimi due anni è entrata nella fase cruciale. Il materiale raccolto individua i canali usati per la propaganda di Stato, ricostruisce i contatti tra gruppi e singoli personaggi e soprattutto la scelta dei momenti in cui la rete, usando tutti i mezzi di informazione insieme – dalle emittenti televisive e radiofoniche più ricche e importanti come la Rai, Mediaset, La7 e le frequenze radio  riconducibili agli stessi gruppi editoriali — alle pagine dei maggiori quotidiani nazionali come LaRepubblica, il Corriere della Sera e La Stampa – fino alle piattaforme sociali più conosciute come Telegram, Twitter, Facebook, Tik Tok e Instagram, — fa partire la disinformazione.

Greenpass e vaccini

E’ il 22 luglio 2021, quando il Presidente del Consiglio, Mario Draghi, illustra il contenuto del nuovo decreto in merito alle misure anti Covid, inaugurando il refrain propagandistico che per i mesi successivi costituirà un vero e proprio dogma istituzionale per tutti gli apostoli mediatici appartenenti alla rete disinformativa del Governo: «L’appello a non vaccinarsi è un appello a morire, sostanzialmente. Non ti vaccini, ti ammali, muori. Oppure fai morire: non ti vaccini, ti ammali, contagi, qualcuno muore», e ancora: «Il Green pass è una misura con la quale i cittadini possono continuare a svolgere attività con la garanzia di ritrovarsi tra persone che non sono contagiose».

Tali falsità scientifiche (oggi acclarate) si diffondono a macchia d’odio in seno all’opinione pubblica, contando sulla popolarità e sullo zelo di numerosi propagatori di fake news come Enrico Mentana, giornalista, conduttore televisivo e direttore del TG La7, secondo il quale: «Il Green pass impedisce che, a causa della variante Delta, si debba richiudere (le attività lavorative, ndr)» e che «si onora di non aver mai ospitato», nel suo telegiornale, «un esponente dei no vax», che egli paragona a «stregoni», «terrapiattisti” e, naturalmente, a «negazionisti dell’Olocausto». La sua creatura digitale, Open, non è da meno.

Si tratta di un vero e proprio giornale online investito da Facebook (sic!) del fumoso ruolo di fact-checker – una sorta di onorificenza autoreferenziale molto in voga presso il pubblico filoatlantista – ma più volte colto nella diffusione di notizie false o errate. Il suo vicedirettore, David Puente, rappresenta certamente la voce più conosciuta della testata presso la sterminata platea pro-vax e pro-guerra, e ha oltre 59mila followers su Twitter, che adopera quotidianamente per tentare di delegittimare chiunque critichi la «versione ufficiale» in merito a qualunque argomento, a ulteriore prova della natura puramente ideologica e interessata del suo mandato. Tra i bersagli prediletti delle imboscate via social figurano il dott. Frajese, reo di aver denunciato le menzogne della narrazione mainstream circa l’efficacia e la sicurezza dei vaccini anti-Covid19, e la deputata Francesca Donato, per le sue posizioni fortemente critiche sull’obbligo vaccinale e sull’imposizione del Green pass. «Chi non si vaccina è un criminale» è il motto rilanciato su decine di profili filogovernativi globalisti, spesso di sinistra, che si incrociano con fondamentalisti pro-vax e fedelissimi del regime sanitario, per contestare le sparute partecipazioni di scienziati e pensatori «dissidenti» nei talk show televisivi e incitare il linciaggio mediatico della minoranza tramite l’uso di un linguaggio d’odio. «I rider devono sputare nel loro cibo» (David Parenzo), «Mi divertirei a vederli morire come mosche» (Andrea Scanzi), «Vanno perseguiti come si fa con i mafiosi» (Matteo Bassetti), «Vanno sfamati con il piombo» (Giuliano Cazzola), «Devono ridursi a poltiglia verde» (Selvaggia Lucarelli), sono soltanto alcuni dei messaggi rimbalzati sulle televisioni e rilanciati sui social in sintonia con il portavoce dei virologi da salotto, Roberto Burioni, secondo il quale i no vax «Saranno messi agli arresti domiciliari, chiusi in casa come dei sorci».

La rete propagandistica di Stato è così ramificata da coinvolgere la «quasi totalità dei giornalisti di punta che occupano le posizioni di maggior rilievo nel panorama televisivo nazionale»: da Lilli Gruber, la cui funzione sembra quella di «curare le apparenze operando una pantomima di dibattito democratico sistematicamente puntellata da spot pro-governo», a Myrta Merlino, punta di diamante del dibattito trash finalizzato alla «banalizzazione del discorso in chiave puramente emozionale e sensazionalistica», fino a David Parenzo e il suo caratteristico turpiloquio orientato al «discredito personale degli interlocutori» attraverso le tattiche della derisione e del dileggio utili a «decentrare l’attenzione del pubblico dal merito della discussione». Il materiale raccolto negli ultimi due anni da migliaia di cittadini, giornalisti e studiosi indipendenti individua altre caratteristiche fondanti della collaudata rete disinformativa, direttamente mutuate dalle 11 tattiche di propaganda di Joseph Goebbels, in particolare, si legge nel rapporto: il «principio del silenzio», che consiste nel «nascondere le notizie che favoriscono l’avversario», e quello cosiddetto «della verosimiglianza», cioè la presentazione di informazioni apparentemente confermate da fonti solide (lo dice la scienza), ma in realtà esposte in modo parziale». In questo scenario si distingue anche Beppe Severgnini, giornalista e vicedirettore del Corriere della Sera, che in un monologo dai toni marcatamente didattici si rivolge al Governo: «bisogna fare da subito un discorso chiaro. Decida per chi è obbligatorio il vaccino e poi tiri dritto», d’altronde quelli che rifiutano il vaccino anti Covid-19 «possono permettersi certe fantasie perché vivono in una società vaccinata».

Teorie che vengono rilanciate dagli altri appartenenti alla rete di disinformazione filo-governo come Bruno Vespa, giornalista e conduttore televisivo, che di fronte a un dubbioso Gianni Rivera ricorre a quella che secondo il rapporto costituisce «una delle più grandi fake news degli ultimi anni»: «non c’è una sola persona sopra i 60 anni che abbia avuto un problema». Contemporaneamente sulle altre trasmissioni si accavallano opinionisti, influencer e divulgatori «di regime» come Alessandro Cecchi Paone, giornalista e docente universitario, che afferma: «adesso con la vaccinazione di massa (…) e con l’immunità di gregge, tutto va a posto» (agosto 2021). Il dossier, in continuo aggiornamento, annovera centinaia di nomi riconducibili alle più svariate cariche istituzionali, delineando la complessità di una «rete propagandistica in perenne evoluzione». Tra questi anche il nome di Pierpaolo Sileri, sottosegretario alla Salute del governo Draghi, secondo il quale «non vaccinare provoca varianti», e «moriranno solo i non vaccinati», o quello di Massimo Galli, colto a diffondere dati falsi sullo stato delle terapie intensive e smentito dal proprio ospedale (ASST Fatebenefratelli Sacco) attraverso una nota del 17 febbraio 2021. A proposito di smentite, ha del clamoroso quella attraverso la quale il Codacons intima al Presidente del Consiglio, Mario Draghi, di rettificare i dati «errati» emessi durante la conferenza del 22 dicembre 2021, talmente gravi da escludere la svista e prevedere, secondo l’associazione, una «inevitabile denuncia per procurato allarme».

Nazisti buoni e Mein Kant

Quello dei nazisti ucraini del battaglione Azov trasformati in «difensori della libertà» è un filone molto battuto dai sostenitori di Zelensky e spesso rilanciato da Massimo Gramellini. Giornalista, scrittore, editorialista del Corriere della Sera, occupa una posizione di rilievo nella speciale classifica popolare dedicata ai «propagandisti più zelanti del panorama disinformativo italiano di stampo atlantista». A meritargli tale considerazione è stato l’utilizzo «spregiudicato» del Servizio Pubblico della Rai per veicolare una «celebrazione fiabesca e struggente del generale della brigata Azov, Vyacheslav Abroskin». Secondo Gramellini, infatti, «questo generale è un guerriero fanatico (…) e un simpatizzante nazista, ma è disposto a sacrificare la sua vita (…) per mettere in salvo quella dei piccoli sopravvissuti di Mariupol», azione che gli varrebbe la definizione di «giusto» da parte «degli ebrei», al pari di Oskar Schindler. Tesi simili, finalizzate al restyling morale delle truppe filonaziste, vengono divulgate su LaRepubblica degli Elkann, che secondo il rapporto popolare «fanno affari milionari nel florido mercato dei veicoli militari tramite Exor e le svariate società subordinate produttrici di motori e mezzi per uso speciale».

Sulle pagine del celebre quotidiano appare quindi l’intervista al comandante del secondo battaglione Azov, Dmytro Kuharchuck, che rispedisce al mittente le accuse di estremismo: «Costruiamo relazioni che non si basano solo sul curriculum militare ma anche su principi morali universali. Io leggo Kant e diffondo i suoi insegnamenti nell’Azov. Devo dire che i ragazzi apprezzano». Dello stesso avviso il già citato Enrico Mentana, che durante uno dei suoi TG serali, più volte scoperto a trasmettere clip di videogiochi e film hollywoodiani spacciandoli per immagini reali, assicura che «il battaglione Azov non è un battaglione neonazista, ma una parte delle forze armate dell’Ucraina». Il bombardamento di messaggi governativi e filoatlantisti aumenta in corrispondenza dei passaggi politicamente decisivi. In questa scia si fanno notare numerose personalità della galassia propagandista russofobica, come Nathalie Tocci, politologa e direttrice dell’Istituto Affari Internazionali di Roma, secondo la quale «la Russia ha perso la guerra» e «chi non è stato in Russia non può parlare di Russia», o Alessandro Sallusti, giornalista e direttore responsabile di Libero, che abbandona una trasmissione in diretta per dare più risalto alla sua pacata risoluzione: «il Cremlino è un palazzo di merda», o Giuliano Ferrara, che dalle pagine de Il Foglio spiega ai suoi lettori come il famigerato battaglione Azov, prossimo a soccombere per mano dei «nazisti sovietici» meriti ora «tutto il rispetto che meritano i soldati da leggenda», fino al Ministro degli Esteri Luigi Di Maio che in uno slancio di diplomazia parimenti leggendario apostrofa il Presidente Putin, definendolo «peggio di un animale». Si legge nel rapporto: «Per quanto penetrante, l’assalto coordinato dei propagandisti al soldo del governo e di poteri sovranazionali non si limita all’inondazione mediatica di messaggi unilaterali, violenti e gratuiti, ma punta al generale sovvertimento della verità tramite la fabbricazione di vere e proprie fake news o la messa al bando degli avversari tramite liste di proscrizione senza fondamento, configurando a tutti gli effetti un multiverso informativo intrinsecamente avulso dalla  realtà». A questo scopo torna di nuovo utile il giornale online di Mentana, che riesce nell’impresa di pubblicare «4 notizie false in tre giorni» (Panorama, 9 aprile 2022). C’è la foto della ragazza con una svastica incisa sul ventre, torturata e uccisa nei sotterranei di una scuola di Mariupol ma riconducibile, secondo Open, alla brutalità dei soldati russi con il titolo «Le storie di donne e bambini torturati a Irpin»; notizia poi rettificata dimenticandosi fatalmente di specificare che in quei sotterranei si trovava proprio il battaglione Azov. C’è la testimonianza «diretta» di Alina Dubovska, che denuncia gli stupri e le torture che i soldati russi avrebbero usato sui suoi vicini di casa, con tanto di «Z incisa sul petto», ma poi cancellata e ritrattata dalla stessa autrice perché in realtà «me l’ha raccontato mio cugino»; un ridimensionamento sostanziale sul quale Open non ritiene di dover intervenire.

Veniamo quindi alle favole sull’unità 51460, secondo Open responsabile della strage di Bucha, ma immediatamente scagionata da Luigi De Biase che sul Manifesto dimostra non soltanto l’estraneità di quei soldati con Bucha, ma addirittura che «non hanno mai messo piede in Ucraina, nemmeno da civili»; Open, di nuovo, non rettifica. Infine c’è la storia delle foto di forni crematori ambulanti che, secondo la vicepremier ucraina Iryna Vereshchuk, vengono usati dai criminali russi per «bruciare i corpi di donne e bambini», notizia immediatamente rilanciata da Open ma di nuovo sbugiardata dal produttore stesso degli inceneritori, Turmalin, che fa risalire le foto all’agosto del 2013 per un «test di distruzione termica di rifiuti biologici»; Di nuovo nessuna rettifica. Eccoci dunque al gradino più basso raggiunto dai professionisti della disinformazione mainstream, quella lista di putiniani pubblicata dal Corriere della Sera a firma del duo Monica Guerzoni e Fiorenza Sarzanini, e del quale questo articolo, assai più veritiero e dettagliato, vuol fare da contraltare formale e deontologico, non volendo né potendo competere con quello sul piano squisitamente diffamatorio e immorale, il cui primato rimarrà insuperato negli anni a venire. L’infelice joint venture tra giornaliste produce un abbagliante monumento alla pressapochezza stilistica e sostanziale, riducendosi a nient’altro che una mistura di luoghi comuni e dicerie infamanti, fatalmente segnata dall’attribuzione a una fonte errata, il Copasir, comprensibilmente affrettatosi a negare qualunque tipo di responsabilità.

Ne risulta un coacervo di amenità tanto inconsistente da rendere godibile l’atto stesso di una replica da parte di alcuni tra i suoi più agguerriti bersagli, tra i quali il fotoreporter e scrittore Giorgio Bianchi, e il giornalista e geografo Manlio Dinucci. Il confronto tra i due e la giornalista Fiorenza Sarzanini va in onda sui canali di Byoblu, la Tv di informazione libera e indipendente di Claudio Messora, palesando in pochi minuti tutta la vacuità delle tesi accusatorie partorite dal Corriere e sublimemente sintetizzate dalla totale mancanza di risposte, riferimenti e spiegazioni, da parte della sua portavoce, rendendo ancor più evidente in forma visiva e verbale ciò che emergeva chiaramente nella sua forma scritta. Così, in perfetta continuazione con la serie di fake news, refusi, farneticazioni giornalistiche e comiche giravolte operate dal mainstream in questi anni, nell’unico plausibile tentativo di orientare l’opinione pubblica in favore di un governo illegittimo, eversivo, e ostile al popolo, anche in quest’ultimo caso per scoprire la verità non bisogna fare altro che leggere quanto riportato nell’articolo per poi ribaltarne il significato in senso diametralmente opposto: laddove leggiamo che Dinucci avrebbe sostenuto come opinione propria che «l’attacco anglo-americano a Russia e Ucraina era stato pianificato nel 2019» scopriamo, al contrario, che il giornalista cita un piano strategico elaborato nel 2019 dalla Rand Corporation, un’organizzazione globale finanziata dal Pentagono e dall’esercito USA, attribuendole correttamente la paternità della strategia ivi esposta che prevedeva, attraverso l’uso di «sanzioni commerciali» e la diminuzione delle importazioni europee di gas russo, di «costringere l’avversario a estendersi eccessivamente per  sbilanciarlo», proprio quanto sta avvenendo, con buona pace del Corriere.

E dove si afferma che alcuni passaggi del libro di Manlio Dinucci «La guerra – E’ in gioco la nostra vita», sono stati «citati da Putin nel discorso del 9 maggio», appuriamo facilmente, leggendo la traduzione integrale del discorso disponibile a chiunque online, come tutto ciò non sia mai avvenuto. Il meglio, però, è riservato a Giorgio Bianchi, che secondo il trio Servizi-Sarzanini-Guerzoni fa «attivismo politico-propagandistico filorusso», dimenticandosi di specificare un singolo elemento di prova a sostegno di questa come di ogni altra «sentenza virgolettata», arrivando ad attribuirgli la «gestione del canale Telegram Giubbe Rosse» col quale, manco a dirlo, Bianchi non ha nulla a che vedere, accontentandosi di gestire il proprio canale personale «Giorgio Bianchi Photojournalist» per la bellezza di 116mila e più isritti in costante crescita. All’incirca le vendite mensili del fu Corriere della Sera, il quale può disporre di mezzi e liquidità pressoché illimitati. 

Se la propaganda dà luogo a eventi avversi, questi si manifestano nell’inesorabile declino dell’informazione su carta stampata che coinvolge i quotidiani storici di questo paese, attaccati alla macchina dei finanziamenti governativi e privati nello straziante tentativo di ritardare una fine già sentenziata dall’indifferenza dei lettori. E se due indizi fanno una prova: esiste correlazione.

Alla luce di questi e di molti altri fatti la cui memoria resterà impressa nelle coscienze di milioni di persone, emerge implacabile la percezione di cosa è giusto e di cosa è sbagliato. Lo smarrimento di un popolo tradito è il primo viatico per l’emancipazione di quello stesso popolo dalle proprie fragilità costitutive, prima fra tutte la soggezione di autorità prive di qualunque autorevolezza. Autorità nominali e senza virtù, che quando parlano fanno rumore. 

Fonte COMEFOSBURY

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