di Felice Di Giandomenico (Adonis)

Viviamo nell’era del “pensiero unico” e del “politicamente corretto”: un’era in cui si è imposta un’omologazione e un’adesione incondizionata “della massa” a stili di vita e modi di percepire la realtà confezionati ad hoc da un sistema-potere le cui parole d’ordine sono: buonismo, consumo, economia, mercato e benessere a tutti i costi. Ma spesso, i costi di questo presunto benessere tanto ostentato risultano piuttosto alti.

Volendo dare una definizione semplice ma chiara di pensiero unico, è possibile considerarlo come una sorta di conformismo globale, dove la massa si allinea, spesso in maniera acritica, a modi di percepire i fatti della vita condizionati e/o imposti in modo più o meno occulto, dal sistema-potere.

Con il termine politicamente corretto (politically correct), invece, ci si riferisce in particolare al modo con cui si esprimono determinate idee o opinioni facendo bene attenzione a non sforare in presunte volgarità o cadere in atipici atteggiamenti attraverso i quali si rischia di essere tacciati di razzismo, fascismo, stalinismo, rossobrunismo, omofobia, ecc.

Per alcuni, il pensiero unico è una forma “pervasiva e capillare” di un totalitarismo democratico incombente, incalzante, che sta avanzando a gran velocità servendosi soprattutto della tecnica della persuasione coercitiva o lavaggio del cervello che dir si voglia. Spesso, quando si parla dei condizionamenti e delle suggestioni prodotte da tale totalitarismo democratico, ci si riferisce alla metafora della “rana bollita”, efficacemente proposta dal grande linguista e teorico della comunicazione Noam Chomsky nel suo libro “Media e potere”.

Scrive Chomsky: “Immaginate un pentolone pieno d’acqua fredda nel quale nuota tranquillamente una rana. Il fuoco è acceso sotto la pentola, l’acqua si riscalda pian piano. Presto diventa tiepida. La rana la trova piuttosto gradevole e continua a nuotare. La temperatura sale. Adesso l’acqua è calda. Un po’ più di quanto la rana non apprezzi. Si stanca un po’, tuttavia non si spaventa. L’acqua adesso è davvero troppo calda. La rana la trova molto sgradevole, ma si è indebolita, non ha la forza di reagire. Allora sopporta e non fa nulla. Intanto la temperatura sale ancora, fino al momento in cui la rana finisce – semplicemente – morta bollita. Se la stessa rana fosse stata immersa direttamente nell’acqua a 50° avrebbe dato un forte colpo di zampa, sarebbe balzata subito fuori dal pentolone” (Chomsky N., Media e potere, Bepress-Atomi, Torino, 2014).

Questo è quanto accade per quanto concerne il pensiero unico, dove il lavaggio del cervello avviene in modo graduale, diuturno, facendo in modo che le persone non si accorgano di tale condizionamento e vengano private della possibilità di comprendere quel che sta avvenendo resettando ciò che viene comunemente definito pensiero critico, con conseguente impossibilità di opporsi e dissentire in modo idoneo a quanto il pensiero unico produce e/o impone.

Ciò che rende possibile queste forme occulte di condizionamento sociale è il cosiddetto linguaggio politicamente corretto il quale utilizza forzature lessicali e neologismi creati ad arte per “condizionare e pilotare” l’opinione pubblica orientandola verso nuove e discutibili forme di pensiero o stili di vita standardizzati, dove l’omologazione gioca un ruolo determinante.

E’ vero quanto asseriscono alcuni studiosi del pensiero unico e del politicamente corretto, ossia che le persone pensano a seconda delle parole che adottano. E qui entrano in gioco i mass media, spesso suggeritori occulti che invitano – il più delle volte implicitamente – ad adottare termini cosiddetti “specchietto” al fine di attirare l’attenzione su aspetti alquanto esasperati della realtà facendoli passare per normali, determinando un’accettazione passiva dei medesimi.

Da qui, l’illusione di vivere in una condizione di libertà incondizionata, di detenere e gestire al meglio il proprio pensiero, senza rendersi minimamente conto di essere sovente casse di risonanza di modelli preconfezionati e standardizzati e, quel che è peggio, il più delle volte non ci si rende conto che si smette di pensare divenendo entità programmate e telecomandate in particolar modo dai media e dalla Rete.

Pensiero unico e neolingua

Ciò che rende particolarmente insidioso il pensiero unico a livello sociale è il suo essere composto da corollari, giudizi e neologismi che servono innanzi tutto mantenere l'ordine reale così come è, contrastando ogni forma di dissenso, creando quella che Étienne de La Boétie, già nel 1576, definiva una schiavitù volontaria dove, paradossalmente, i prigionieri tendono ad amare le proprie catene (de La Boétie E., Discorso della schiavitù volontaria, Universale Economica Feltrinelli, 2014).

I dogmi che caratterizzano questa forma di conformismo globale, supportarti anche da un vero e proprio lessico in stile newspeak di orwelliana memoria, determinano il rigetto, in forma apriorica, di tutte quelle forme di opposizione culturale rispetto all'ordine dominante, di modo che verrà stigmatizzato e ostracizzato come populista chiunque assumerà il punto di vista del popolo sottomesso e sottoposto alla dominazione dei dominanti, verrà diffamato e perseguitato come complottista chiunque si discosterà dalla narrazione dominante, ossia dal quadro cognitivo egemonico a beneficio della classe dominante, ancora verrà denigrato come fascista, comunista o reazionario chiunque proporrà la sacrosanta esigenza di porre limiti politici al mercato deregolamentato e fattosi mondo; verrà diffamato come omofobo chiunque si opporrà al nuovo stile di vita postmoderno libertario, globalista centrato sulla distruzione del vecchio modello etico familiare borghese e proletario e così via.

Il pensiero unico nella sua forma generale rappresenta una sorta di indottrinamento postmoderno e globalista che giustifica il rapporto di forza dominante, ossia la riduzione del mondo intero ad unico free market system per lo scorrimento liquido finanziario dei capitali finanziari, delle merci e dei desideri delle moltitudini libertarie ridotte ad atomi dispersivi ed vaganti negli spazi del suddetto mercato libero liquido-finanziario.

All’interno del pensiero unico (ma anche del politicamente corretto), negli ultimi anni si è assistito alla nascita di neologismi, di termini nuovi spesso mutuati dalla lingua inglese che stanno diventando di uso comune sebbene sono ancora pochi coloro che ne assimilano il significato nella sua intima essenza. Spending Review, Fiscal Compact, Jobs Act, Austerity, Hot Spot, sono solo alcuni dei termini in neo-politichese che vengono propinati alla massa e rimane difficile da capire il motivo per cui si faccia così tanta fatica a parlare tricolore.

La neolingua non ammette la libera discussione e non procede per confutazione bensì procede per proscrizione; non accetta il dialogo ma demonizza, nega l'accesso al dialogo giacché, spesso, si viene etichettati come fascisti, omofobi, populisti, retrogradi, ecc.

Ma vi sono altre parole, altri termini italianissimi, che stanno assumendo un ruolo decisivo a livello sociale ma che, comunque, rientrano in quella sorta di neolingua che rafforza sia il pensiero unico dominante, sia l’eloquio politicamente corretto. Ed è proprio attraverso l’uso che si fa di queste parole, che nascono confusioni, conflitti politici, divisioni settarie tra buoni e cattivi, tra democratici e fascio-stalinisti, tra razzisti e cosmopoliti integrazionisti e così via. Come osserva Roberto Pecchioli: “La nostra è un’epoca di falsa democrazia, astratte libertà e concrete dittature. Una di queste, la più sorprendente, è la supremazia dell’odiernità, una vera e propria dittatura del tempo presente.

Il pensiero unico materialista conosce e idolatra esclusivamente ciò che appartiene all’oggi, ed è quindi moderno” (vedi https://www.maurizioblondet.it/la-dittatura-del-presente/). Così come nell’asfissiante società totalitarista mirabilmente descritta da George Orwell nel suo distopico romanzo “1984", in cui i prolet si lasciano supinamente plasmare e condizionare da un potere onnipresente, pervasivo, oggi si assiste ad una manipolazione delle coscienze ancora più sottile, dove lo sguardo del “grande fratello” non si staglia più sui muri o sui monitor così come narrato in 1984, ma è la stessa massa a fare le veci della psicopolizia di orwelliana memoria la quale sancisce ciò che si può dire e ciò che invece è meglio non dire. Questa è una pressione sociale fortissima che si esercita per conto dei poteri transnazionali, ma viene esercitata dalla popolazione normale, che è la cosa peggiore e che forse c’è stata in certi periodi nell’Unione Sovietica però non aveva questa adesione ai comandamenti dei poteri forti e ingiustissimi (mai così ingiusti come oggi) non è mai stata così corale.

Vedi anche: Étienne de La Boétie: Discorso sulla servitù volontaria