di Federico Giovannini

Per la comprensione di un fenomeno, la cosa più difficile, per l’osservatore, è mettere da parte le nozioni fino a quel momento date per scontate. Se non si ha questa accortezza non si acquisiranno mai nuove visioni del mondo, più complete e aderenti alla realtà di quelle precedenti.
Se non si procede in questo modo si farà caso solo a quello che si è convinti di dover vedere.

Oggi, ci troviamo indiscutibilmente di fronte all’ostacolo più grande che l’umanità si sia mai trovata davanti: il nostro sviluppo ha assunto aspetti così estremi che sta diventando un impedimento per la vita stessa delle generazioni presenti e future. Parallelamente allo sviluppo sono aumentati gli scarti e i rifiuti, in breve l’inquinamento ambientale è diventato un aspetto emergenziale.

Socialmente parlando, mai come negli ultimi anni le disuguaglianze sono arrivate a livelli così paradossali tanto da creare disagio anche ai più “fortunati”. Persone da una parte del mondo soffrono la fame e dall’altra l’eccesso di alimentazione provoca patologie di ogni tipo.
I conflitti tra i popoli, lungi dall’essere risolti pacificamente, si esacerbano e diventano via via più cruenti e l’unica cosa che si riesce a fare è cambiargli nome e invece di usare il termine “guerre” sono chiamati: ”missioni di pace”.

Occorre, il prima possibile, cambiare rotta ed invertire i processi che stanno rendendo il mondo sempre meno a misura d’uomo e sempre più un incubo generato da noi stessi.

In un mondo i cui elementi essenziali come aria e acqua non hanno confini, tale cambio di rotta non può essere che collettivo e non può che passare attraverso la riconsiderazione delle leggi che regolano e consentono la vita sul pianeta fino ad arrivare a considerare una nuova visione della natura dell’essere umano.

Solo dopo questa presa di coscienza si può concepire un mondo più sano nel quale il futuro non sia più visto come minaccioso ed oscuro ma come un concreto e desiderabile luogo verso il quale incamminarci con passione tutti assieme.

Viviamo nel paradigma dell’ “omo homini lupus”, la storia d’altronde ce lo insegna in maniera impietosa, l’uomo è in perenne conflitto con i suoi simili. Da quando l’umanità ha memoria di sé, con la scrittura, si narrano guerre, battaglie e conflitti tra i popoli sempre più numerosi, cruenti ed apocalittici.

Nonostante tutto ciò, il grado di interdipendenza e organizzazione collettivo è cresciuto parallelamente. A discapito delle apparenze, non sarebbe stato possibile arrivare alla cifra di quasi 8 miliardi di abitanti sul pianeta senza un’organizzazione di un grado via via crescente. C’è chi potrebbe obiettare che in realtà questo aumento demografico sia frutto dell’industrializzazione e della tecnologia, ma esse tuttavia originano dalla collaborazione nata, nonostante tutto, per concretizzare le creazioni e l’inventiva dell’uomo. Di tutto questo ci rendiamo appena conto, e sovente, ascriviamo il merito al modello economico e di sviluppo che abbiamo scelto.

Fin ad oggi l’uomo ha considerato sé stesso fondamentalmente un essere unico, isolato dagli altri animali, dotato di una coscienza di sé e di un intelletto superiori agli altri esseri viventi.

Darwin ci ha raccontato che la vita si è evoluta partendo da forme molto semplici mutando e adattandosi progressivamente fino ad arrivare all’uomo. Il suo contributo filosofico e sociale ha segnato profondamente il pensiero umano, e di conseguenza, il comportamento dell’intera umanità. Purtroppo non è stato tanto il concetto di evoluzionismo (ovvero il concetto che la vita è un unico filo conduttore dall’ameba all’uomo) a condizionare il pensiero umano, quanto il come ci si evolverebbe. Darwin ci raccontò che la competizione sarebbe il motore dell’evoluzione della specie e la parte più egoistica e prevaricatrice dell’umanità propagandò quest’ultimo concetto.

Questo pensiero si è radicato profondamente nell’inconscio dell’uomo e applicando quel modello Darwiniano abbiamo sviluppato un comportamento socio-economico deleterio che sta portando l’umanità verso continui conflitti sempre più cruenti e problemi ambientali sempre più insormontabili. Abbiamo accettato che sia naturale, e quindi implicitamente giusto, che il più forte schiacci il più debole per far progredire la specie. Questa è la convinzione, deleteria, che l’uomo si è fatto della vita e di sé stesso. Per andare avanti, per migliorare ed evolvere non solo sarebbe “naturale” prevalere sugli altri, ma sarebbe addirittura auspicabile in quanto solo in questo modo la natura procederebbe e migliorerebbe la specie rendendola più forte.

In campo economico il trionfo di questa ideologia ha portato al concetto estremo che se una persona attraverso la competizione, possiede più di qualcun altro allora è giusto poiché ha rispettato le leggi della natura e dunque in qualche modo favorito l’evoluzione della specie.
In questo contesto filosofico-sociale Louis Pasteur è diventato il padre dell’infettivologia moderna. La visione di Pasteur è quella del batterio considerato un nemico da uccidere, un avversario da sconfiggere, insomma la solita versione guerrafondaia della natura: ostile, selvaggia e in ultima analisi matrigna.
Mai altre convinzioni sono state più deleterie per l’uomo, il quale, come qualunque altro essere vivente, deve obbedire alle leggi della natura, che sono ben altre.

Viviamo su un pianeta abitato dai microorganismi da miliardi di anni, molto prima che l’uomo si affacciasse sul pianeta. Questi microorganismi pervadono ogni nicchia ecologica: la terra, il mare e gli esseri viventi. Sono i microorganismi a rendere fertile la terra e a permettere alle piante di crescere, piante senza le quali non potremmo né nutrirci né respirare. Come è noto, le piante creando ossigeno consentono agli animali di respirare. Meno noto è considerare che non esiste solo il “polmone verde” della terra, ma anche quello “blu”. La massa di microorganismi degli oceani produce direttamente la metà dell’ossigeno dell’atmosfera terrestre.

Sarà scontato ricordarlo, ma stiamo distruggendo entrambi i polmoni del pianeta. Siamo arrivati a danneggiare non solo la qualità dell’aria ma anche il quantitativo di ossigeno nell’ aria che respiriamo, in nome di quel modello che ci siamo autoimposti, ovvero quello di accettare come giusto, naturale e quindi auspicabile la prevalenza del più forte sul più debole.

I microorganismi non si limitano a colonizzare la terra e i mari ma lo fanno in maniera incredibilmente simbiotica abitando anche all’interno di tutti gli esseri viventi con i quali stringono una mutua e solida alleanza.

Oggi l’uomo si sta rendendo conto delle innumerevoli funzioni dei batteri che ospita definendoli nel loro insieme “microbiota” e definendo “microbioma” l’insieme dei geni del microbiota. Nell’uomo la massa complessiva di tali microscopici esseri viventi è superiore alla massa del cervello o del fegato. Il microbioma surclassa i geni umani nella proporzione di 1:100 modulando e arricchendo il nostro Dna di potenzialità. I nostri microorganismi sono più numerosi di tutte le cellule umane e le loro funzioni sono, senza ombra di nessun dubbio, insostituibili. Dalla pelle all’intestino, dai polmoni al sangue fino al cervello: ogni comparto anatomico dell’uomo è colonizzato dal microbiota. Sono i microorganismi dell’ambiente che depurano le acque dai nostri scarti e sono sempre loro che si occupano del processo della decomposizione dopo la morte degli esseri viventi.

In breve, tutta la vita sul pianeta, non sarebbe possibile senza i microorganismi.

In questo scenario diventa puerile ed anacronistico rimanere ancorati alla visione offerta da Darwin e Pasteur. Esistono indubbiamente batteri potenzialmente patogeni, ma la stragrande maggioranza sono benevoli e probiotici, ovvero a favore della vita. Nell’ottica di Darwin, nella quale tutte le specie si dovrebbero antagonizzare e combattere in una guerra senza fine, il mondo sarebbe stato già colonizzato dal vincitore della presunta inevitabile guerra che si sarebbe dovuta scatenare tra i microorganismi. Il re assoluto ed incontrastato si sarebbe poi estinto da solo per sovrappopolazione e inquinamento dei propri rifiuti. Tutto ciò in realtà non è mai successo perché le cose non stanno così, ma focalizzandoci al mondo macroscopico sembra quasi che l’uomo aneli a realizzare questo scenario con tutte le sue forze.

Per nostra fortuna i microorganismi ignorano le sciocche convinzioni dell’uomo e per tanto vivono, prosperano e lavorano in un’ottica completamente diversa. I microorganismi collaborano e cooperano: rendono possibile la crescita delle piante, l’ossigenazione dell’atmosfera, l’esistenza e la salute di tutti gli animali, uomo compreso. Gli esseri umani (come tutti gli altri animali) morirebbero all’istante senza il contributo sinergico e cooperativo dei loro ospiti. La digestione dei cibi è in parte resa possibile dal microbiota, un’infinità di micronutrienti essenziali è prodotta dal microbiota e quest’ultimo addestra e fa parte del sistema immunitario il cui compito è quello di tenere a bada i pochi e sparuti patogeni che si incontrano in un mondo permeato da microorganismi. Il nostro organismo in cambio offre al microbiota protezione, cibo e calore.

Per far capire una volta per tutte l’immensità che la visione dell’invisibile porta con sé basta spiegare che la cellula stessa, il mattone di ogni nostro tessuto, contiene degli organelli, chiamati mitocondri, che si sono sviluppati in simbiosi con la cellula. I Mitocondri, vere e proprie centrali energetiche della cellula, hanno un proprio Dna indipendente dal nucleo della cellula e quindi, con ogni probabilità, sono essi stessi degli esseri viventi microscopici che vivono da sempre in simbiosi dentro la cellula stessa. In questo contesto è utile ricordare che tutte le cellule di un organismo lavorano in sinergia e cooperazione tra di loro: anche la biologia ci racconta una storia molto diversa dalla visione di Darwin.

In breve l’essere umano (e tutti gli animali) è un super-organismo ovvero un simbionte fatto di diversi esseri che cooperano, collaborano uno dentro l’altro, uno affianco all’altro per un unico fine comune: la vita.

A causa della deleteria visione Pasteuriana del nemico da abbattere, i microorganismi stanno sviluppano resistenze agli antibiotici per sopravvivere. Uccidiamo a tutti i costi il patogeno ma non ci rendiamo conto che stiamo sterminando con esso (qualora ci si riesca) i nostri più importanti amici che sono tutt’uno con noi e con il nostro sistema immunitario. Oggi, l’OMS sta prendendo atto del fatto che ceppi batterici sempre più resistenti agli antibiotici stanno causando epidemie senza una cura. Le prospettive nel breve periodo sono ancora meno rosee e si prevedono scenari apocalittici nei quali gli antibiotici non avranno più alcun effetto: la natura ci sta chiaramente facendo un altolà che abbiamo il dovere di recepire, in nome della nostra stessa sopravvivenza.

I microorganismi quindi ci insegnano che la vita è prevalentemente fondata sulla cooperazione e la salute, sull’ armonia delle parti; non vi fate più distrarre dai racconti guerrafondai Darwiniani: la competizione esiste ma è solo una parte infinitesima all’interno di un disegno molto più grande di comportamenti cooperativi. Il patogeno di Pasteur esiste ma è solo una goccia in un mare di microorganismi benevoli e favorevoli alla vita.

Il modo di vivere dei microorganismi lancia, implicitamente, un altro messaggio: il riduzionismo è un concetto completamente errato. Studiare il singolo batterio avulso dal suo contesto è semplicemente impossibile perché a seconda dell’ambiente circostante si potrà comportare in maniera probiotica, neutra o addirittura patogena. La di più diretta ed enorme conseguenza di questo è che il fondamento della nostra visione scientifica del mondo che è il meccanicismo, è errato dato che si fonda a sua volta sul riduzionismo. Ciò significa che dobbiamo rapidamente riconsiderare il nostro modo di guardare alla natura in quanto il nostro modello inadeguato di approccio alla realtà delle cose, ha generato, senza ombra di dubbio, enormi fraintendimenti ed errori in tutti i campi scientifici.

E’ imperativo adottare, il prima possibile, all’interno delle comunità umane, l’idea che la cooperazione e la collaborazione sono il paradigma della vita, il vero faro da seguire, la vera legge naturale. Altrettanto impellente è identificare la competizione e l’antagonismo non come il motore dell’evoluzione e dello sviluppo, bensì, finalmente, per quello che realmente sono: comportamenti miopi ed inesorabilmente autodistruttivi.

In certi ambienti si è diffusa l’idea demenziale che la popolazione sia eccessivamente numerosa per le risorse del pianeta. Prima di vaneggiare soluzioni distopiche da personaggio dei cattivi dei fumetti, armonizziamo il nostro comportamento con le leggi della natura. Mutiamo il nostro atteggiamento da predatorio ed antagonista ad un comportamento collaborativo ed armonioso perché solo così facendo si potrà dare una prospettiva futura alla razza umana.

Prendiamo presto coscienza delle vere leggi della natura perché solo questa consapevolezza porterà salute e prosperità tanto al singolo quanto alla collettività.