Esiste una discussione aperta, fra storici e giuristi internazionali, sulla legalità dell’esistenza dello stato di Israele. Alcuni sostengono che la fondazione di Israele sia pienamente legittimata dal diritto internazionale, altri ritengono di no.

I passaggi fondamentali della costituzione giuridica di Israele sono quattro: la Dichiarazione Balfour (1917), il Trattato di Sanremo (1920), la risoluzione 181 delle Nazioni Unite (1947) e la Dichiarazione di Indipendenza di Israele (1948).

LA DICHIARAZIONE BALFOUR

Nel novembre 1917, Lord Arthur Balfour, ministro degli esteri inglese, scrive una lettera a nome del proprio governo, indirizzata a Sir Lionel Rothschild, con la preghiera di trasmetterla alla Federazione Sionista. La lettera recitava testualmente: “Il governo di sua Maestà vede con favore la creazione in Palestina di una casa nazionale per il popolo ebraico, e si adopererà al meglio delle sue possibilità per facilitare il raggiungimento di questo obbietivo, con la chiara intesa che nulla sarà fatto che possa pregiudicare i diritti civili e religiosi delle comunità non-ebraiche già esistenti in Palestina, nè i diritti o lo status politico di cui godono gli ebrei in qualunque altra nazione.

 

Due cose saltano all’occhio: la prima è l’uso del termine “casa nazionale” [national home], inteso nel senso di “focolare”, e non di stato vero e proprio. Era stato lo stesso Chaim Weizmann, leader della Federazione Sionista, a suggerire l’uso “cautelativo” di questo termine, per non allarmare troppo gli arabi sulle possibili intenzioni della creazione di uno stato vero e proprio. La seconda cosa da notare è la frase “con la chiara intesa che nulla sarà fatto che possa pregiudicare i diritti civili e religiosi delle comunità non-ebraiche già esistenti in Palestina”. Il riferimento è principalmente agli arabi che vi abitavano, ma anche alle piccole minoranze di cristiani, di copti e di altre religioni.

La Dichiarazione Balfour – e su questo tutti concordano – non aveva alcun valore legale. Era una semplice dichiarazione di simpatia, fatta oltretutto promettendo una terra che in quel momento non era nemmeno degli inglesi (nel 1917 la Palestina era ancora sotto l’Impero Ottomano).

Nel 1918, a guerra finita (l’Impero Ottomano aveva perso), le potenze vincitrici si riunirono nella Conferenza di Parigi, per determinare il nuovo ordine mondiale. Partecipò anche una delegazione sionista, guidata da Chaim Weizmann. Nella Conferenza di Parigi, che si concluse con il Trattato di Versailles (1919), si decise che la Gran Bretagna avrebbe ricevuto il mandato sulla Palestina. Tale mandato sarebbe stato ratificato l’anno seguente nel Trattato di Sanremo.

TRATTATO DI SANREMO

All’articolo 2 del Mandato si diceva: “Il mandatario britannico si farà responsabile per mettere il paese [la Palestina] sotto condizioni politiche, amministrative ed economiche tali da garantire la nascita di un focolare nazionale ebraico.”

Nuovamente, si utilizzava il termine “national home”, inteso come casa/focolare, e non come stato vero e proprio.

A sua volta, il Trattato di Sanremo sarebbe stato incorporato nella carta fondativa della nascente Lega delle Nazioni, diventando così a tutti gli effetti legge internazionale.

Fra il 1922 e la seconda guerra mondiale ci furono diverse ondate di immigrazione di ebrei in Palestina, con tutta una serie di problematiche che non verranno descritte in questa sede.

Nel 1947, in seguito ai problemi sempre crescenti che aveva nel controllare la Palestina, la Gran Bretagna annunciò che avrebbe rimesso il mandato nelle mani delle Nazioni Unite (che nel frattempo avevano preso il posto della Lega delle Nazioni).

RISOLUZIONE 181

Nel novembre 1947 l’assemblea generale delle Nazioni Unite emetteva la Risoluzione 181, che proponeva la spartizione della Palestina in due stati, uno per gli ebrei e uno per gli arabi.

Gli ebrei accettarono la spartizione, gli arabi no.

DICHIARAZIONE DI INDIPENDENZA

Il 15 maggio 1948 la Federazione Sionista dichiarava la nascita ufficiale dello stato di Israele. Chaim Witzmann diventava presidente, Ben Gurion primo ministro. Il presidente Truman riconosceva lo stato di Israele nell’arco di 24 ore.

Da qui in poi inizia la storia moderna della Palestina. I paesi arabi attaccarono Israele, furono sconfitti, Israele si prese una parte di territorio superiore a quello assegnatogli dalle Nazioni Unite, eccetera eccetera… fino ai giorni nostri.

Veniamo ora alla vexata quaestio: l’esistenza dello stato di Israele è legittima, oppure no?

Chi sostiene i diritti di Israele, ma ignora gli aspetti legali della faccenda, afferma che la Risoluzione 181 delle Nazioni Unite, sia sufficiente a rendere legale l’esistenza di Israele. (“Gli ebrei la accettarono – dicono i sostenitori di Israele - gli arabi no, quindi per noi è valida”).

In realtà la risoluzione 181 – come tutte le risoluzioni dell’Assembrea Generale – non ha alcun potere vincolante. Sono semplici indicazioni di percorso, “suggerimenti collettivi”, niente di più. (Lo stesso Israele si permette di ignorare sistematicamente le risoluzioni dell’ONU che gli impongono di restituire i territori occupati, proprio per questo motivo).

I giuristi internazionali invece sanno benissimo che la 181 non ha alcun valore legale. Lo ammettono gli stessi sostenitori di Israele come Jacques Gauthier, autore di un libro di 3000 pagine sulle base legali dell’esistenza di Israele, oppure Howard Grief, noto storico e avvocato internazionale.

Per tutto costoro, la base legale dell’esistenza di Israele sta nel Trattato di Sanremo del 1920, che ratificava il Mandato britannico per la Palestina. Nel preambolo del Mandato – sostengono questi giuristi –viene chiaramente affermato “il diritto del popolo ebraico a ricostituire una casa nazionale” nella terra da cui furono cacciati duemila anni fa, mentre all’articolo 2 il mandatario britannico riceve il compito di facilitare questa ricostituzione.

E’ sulla base di questo – e soltanto di questo – che i giuristi internazionali riconoscono e sostengono il diritto legale di Israele ad esistere.

Non sta però scritto da nessuna parte che per “national home” si intendesse uno stato vero e proprio. Ovviamente è quello che intendevano i sionisti – dicono i sostenitori di Israele - ma questo nei documenti ufficiali non sta scritto.

Quindi, chi ha ragione?

Massimo Mazzucco