Sembrava di essere tornati a 60 anni fa, quando Alan Shepard venne sparato in cielo dentro un tappo di champagne chiamato “Mercury”.

La stessa eccitazione del telecronista, lo stesso tono epico, la stessa aspettativa fremente, lo stesso applauso liberatorio al momento dell’atterraggio, tutto è stato rivissuto come uno strano deja-vu da coloro che assistettero, nel 1961, al lancio del primo americano nello spazio.

Perché appunto di questo si è trattato ieri. Un semplice volo sub-orbitale, durato una decina di minuti, nel quale una capsula viene sparata fuori dall’atmosfera per poi rientrarvi subito, appesa a dei paracadute. Esattamente come sessant’anni fa. L’unica differenza è che questa volta il razzo di lancio viene recuperato, e che nella capsula, invece di un astronauta addestrato, c’erano quattro civili sbruffoni in cerca di gloria mondana.

Ma la sostanza rimane identica. Non è stato fatto nessun reale progresso in avanti.

A meno che appunto, il lancio di ieri segni quella che è destinata a diventare, finalmente, la vera conquista dello spazio.

A questo punto aspettiamoci lo stesso entusiasmo, la stessa trepidazione e la stessa voglia di far finta che “sia la prima volta” quando magari nei prossimi anni, finalmente, qualcuno proverà davvero ad arrivare sulla luna.

Massimo Mazzucco