di Carlo Brevi [img align=right]library/braque-o.jpg[/img]La più grande incongruenza dell'arte contemporanea è il suo definitivo allontanamento da quella che si potrebbe definire l' "estetica comune". Le grandi opere d'arte dei secoli passati avevano la caratteristica di essere apprezzate nello stesso modo dai nobili e dai contadini, uniti, almeno in questo, nel riconoscere quello che si poteva definire "bello". Vi è un interessante chiave di lettura del processo che ha portato a questa frattura, ed è l'analisi degli studiosi di quella particolare visione detta "Tradizionale". Come ben espresso da Titus Burckhardt nel suo splendido libro "L'Arte Sacra in Oriente e in Occidente", il percorso che nel nostro continente ha vissuto l'espressione artistica è del tutto analogo alla legge dell'allontanamento dalla vetta, ovvero dal celestiale. Occorre premettere che nella creazione artistica, come è noto, partecipano tre soggetti: ... ... l'artista, ovviamente, la materia che sta per essere modificata, che si tratti di marmo, una tela e dei colori, o qualsiasi altra cosa, ed infine quel particolare sentimento, energia, che è l'ispirazione, l'idea, l'atto creativo in sè, a cui ognuno può attribuire il nome che ritiene più opportuno. Fino al medioevo, questa "energia" era costretta ad incanalarsi - termine appropriato - entro determinati limiti. L'arte era vincolata, era quasi esclusivamente Arte Sacra, che doveva rispondere a delle regole ferree. Sarà il Rinascimento a liberare l'arte da questi vincoli: in precedenza ogni forma di arte, quello che all'epoca veniva definita arte (perchè "l'arte è quello che gli uomini chiamano arte in un determinato periodo") era necessariamente Arte Sacra. Si pensi ad esempio alle icone ortodosse, in cui l'arte figurativa bizantina raggiunse il suo apice. Le icone sono necessariamente bidimensionali, loro compito è evocare il trascendente, e devono rispondere a determinati canoni molto rigidi. L'artista che dipinge l'icona "sacrifica" la sua creatività all'interno di questi parametri. E proprio questa creatività, questa "energia", incanalata dentro l'icona, le conferisce quella aura che colpisce non solo il fedele, ma chiunque la osservi con attenzione. Quando l'arte nel Rinascimento italiano si liberò dai vincoli religiosi e trasferì la sua attenzione dal celestiale al terreno, la creatività degli artisti poté liberarsi, e il risultato fu un periodo artisticamente irripetibile, una esplosione di ispirazione e vigore artistico che il mondo intero non aveva fino a quel momento mai conosciuto, e mai più conobbe. Fu come se una enorme energia accumulata nei secoli potesse finalmente esplodere e manifestarsi. Fu come l'eruzione di un vulcano che da tempo riposava paziente, e come i grandi vulcani la sua forza andò via via scemando. Secolo dopo secolo questa energia, liberata improvvisamente, andava estinguendosi; dopo il Rinascimento venne il Manierismo, poi il Barocco, in cui il vortice dell'energia raggiunse il suo culmine, poi il Rococò, in cui già la creatività passata cominciava a dare i primi segni di stanchezza, rifugiandosi nell'eccesso e nella citazione esasperata. Col Neoclassicismo vi fu un tentativo di recuperare gli antichi splendori, ma quel che rimaneva dei fasti passati erano solo le forme; l'anima già mancava. Infine, i pittori, dopo aver omaggiato la natura iniziarono ad investigare i propri sentimenti, la propria intimità. La rappresentazione della natura era ora filtrata attraverso le proprie sensazioni. Siamo ormai nell'ottocento, e le arti figurative stanno per completare il loro lungo viaggio dal celestiale al profondo. Nel novecento le forme iniziano a scomparire. Non compare più il divino reso astratto dalle due dimensioni, non più la natura e l'uomo nella sua orgogliosa corporalità, non più la natura filtrata dai sentimenti: ora è il momento della conclusione del viaggio, tocca ai sentimenti stessi essere rappresentati. L'artista non guarda più in alto, non si guarda più intorno, ma esplora direttamente la sua anima, si guarda dentro, e cerca di raffigurare ciò che vede. Siamo ormai nel novecento avanzato, le arti figurative hanno dunque raggiunto il termine del loro percorso. Ma i tempi sono difficili, gli artisti, più dei loro consimili, sono in grado di percepire lo spirito di questi tempi, ed è uno spirito oscuro. L'artista si guarda dentro e vede demoni, demoni informi. La forma, il corpo, erano il tempio dello spirito. Ora, in questi tempi, le forme sono definitivamente sezionate, devastate, scomposte. Così le tele si colmano di linee, linee nervose, contorte, scure. Demoni. Carlo Brevi (Santaruina)