[img align=right]library/2momc-o.jpg[/img][b]DI MAMMA CE NE SONO DUE[/b] Fino a che punto è giusto liberalizzare? Mentre noi ci avviciniamo al referendum sulla infelice legge per la fecondazione assistita, nel mondo le varie legislazioni traballano più o meno tutte sotto una spinta che sembra voler rimettere in discussione i criteri fondamentali che riguardano il mondo della coppia e della procreazione. Al momento attuale, i divari fra le stesse nazioni europee (Europa "unita"?) sono macroscopici: mentre una donna italiana è obbligata, ad esempio, a far maturare un embrione anche se è portatore di difetti, in Svezia, a partire da Luglio, una coppia di donne godrà degli stessi identici diritti di una coppia eterosessuale, per tutto quello che riguarda la fecondazione assistita. Ciò significa che due donne potranno avere un figlio tramite inseminazione artificiale, dopodichè ambedue, indipendentemente da chi sia quella che lo ha partorito, verranno chiamate "mamma". Per quanto in Svezia il matrimonio fra omosessuali non sia previsto, ... ... è dal 1994 che alle coppie gay sono stati riconosciuti gli stessi diritti delle coppie eterosessuali, adozione compresa. Questa è la soluzione preferita dalle coppie di uomini, che ovviamente si troverebbero il leggera difficoltà nel farsi inseminare artificialmente, mentre appunto il caso delle donne offre addirittura una "ridondanza" di ruoli come quello descritto sopra. Altri paesi europei dove la "doppia mamma" è permessa sono Danimarca, Olanda, Finlandia, Inghilterra, Russia, Irlanda e Spagna. Spiccano fra questi gli ultimi due, che sono paesi di forte tradizione cattolica. A questo punto viene però da porsi una domanda: non sarà che per troppo voler rispettare i diritti delle coppie - e quindi dell'individuo in quanto tale - si finisce per limitare quelli dei nascituri? Se si accetta una premessa che sembrerebbe scontata - e cioè che l'equilibrio psicologico di qualunque adolescente sia il risultato della complessa interazione con ambedue le figure-guida, quella maschile e quella femminile - quale diritto abbiamo di imporre ad un nascituro un habitat di formazione dove manchi una di queste figure già in partenza? Esistono centinaia di testimonianze ormai, che ci dicono come i figli adottivi di coppie omosessuali, sia maschi che femmine, siano "perfettamente normali", anzi in molti casi addirittura particolarmente "equilibrati". Certo, va da sè che la scelta non facile di un percorso come quello dell'adozione, complicata dal fatto di appartenere allo stesso sesso, indica già in partenza una coppia di persone particolarmente attente e responsabili, ma fino a che punto possiamo garantire che il nuovo individuo non verrà a soffrire, in futuro, per non aver potuto relazionarsi anche con l'altro sesso, durante gli anni cruciali della sua formazione? Se è vero che il nucleo familiare rappresenta per il bambino un "universo in miniatura", nel quale trova tutti i parametri di riferimento nel corso della sua crescita, che immagine ci si può formare di un sesso che da quell'universo è escluso già in partenza? Massimo Mazzucco