Recycler Classifieds - Ad Detail FAHRENHEIT 9/11: LA PASSIONE DI CRISTO IN VERSIONE LAICA

Uscito il film di Moore in tutta America

25.06.04 - Adesso anche la sinistra americana ha il suo equivalente della Passione di Cristo, il recente film di Mel Gibson che ha rappresentato per la destra fondamentalista una vera e propria bandiera ideologica sotto la quale riconoscersi un pò tutti.

Il grande “pregio” del film di Gibson, visto naturalmente dal lato evangelista della barricata, era stato di mostrare al mondo come la crocefissione sia stata in realtà un vero e proprio deicidio ad opera dei figli d’Israele. E le varie lobby ebraiche avevano regolarmente protestato, per quello che secondo loro era un chiaro falso storico, anche se bisogna dire che la recente alleanza fra Bush e Sharon ha certo smorzato i toni solitamente accesi con cui l’ADL si scaglia contro chiunque ritenga reo di “antisemitismo” (Anti-Defamation League, la potente organizzazione ebraica, con sede nelle stesse Nazioni Unite, che denuncia pubblicamente i casi di antisemitismo). Il film di Gibson è così diventato, nel giro di qualche settimana, un vero e proprio “manifesto” evangelista, che la destra cristiana ha fatto circolare un pò dappertutto, con lo scopo dichiarato di propagandare “i valori del vero cristianesimo” (leggi, rielezione di George Bush - in hoc signo vinces). La critica era stata fortemente divisa, ovviamente, fra destra e sinistra, anche se a quest’ultima era toccato riconoscere “cavallerescamente” le doti di spettacolarità ed ottima fattura del film campione di incassi (quando un film fa soldi, è semplicememte da folli, in America, dargli contro a tutto tondo).

Ed ora tocca al filmetto di Michale Moore, fresco della palma d’Oro di Cannes, assurgere a icona... ...  agglomerante per tutti i liberal della nazione, che hanno a loro volta trovato l’oggetto in cui riconoscersi nel comune dissenso verso il Bushismo. Certo, in termini di distribuzione – e quindi di portata del messaggio – Farhenheit 9/11 è una formica, se paragonato al colosso di Hollywood, ma questo non va considerato necessariamente uno svantaggio. Anzi, la “Sindrome di Davide e Golia” è probabilmente il meccanismo stesso che ha determinato alla fine il successo imprevisto del film-documentario. E anche qui la critica, esattamente come con “Passion”, si è spaccata in due, con la differenza che tocca oggi ai conservative recitare il ruolo di cavallereschi avversari di questo “ottimo piccolo film”.

E’ divertente leggere fra le righe delle varie recensioni, anche a testimonianza di un linguaggio mediatico che da noi non è mai stato troppo in auge, e che da tempo è ormai scomparso del tutto dalle pagine dei nostri quotidiani: quello dei mezzitoni, delle sfumature, del non detto.

Claudia Puig, di USAToday (4a tiratura nazionale assoluta, dopo Wall Street Journal, Washington Post e NYTimes):

"The documentary's scathing attack on the war in Iraq and George W Bush's presidency is informative, provocative, frightening, compelling, funny, manipulative and, most of all, entertaining" .

“Il vetriolico attacco del documentario alla guerra in Iraq e alla presidenza Bush ti informa, ti provoca, ti spaventa, ti coinvolge, ti diverte, ti manipola, e, più di ogni altra cosa, ti intrattiene.”

A prima vista, sembrerebbe una promozione a pieni voti. Ma se poi soppesi bene le parole, una per una, vedi che scathing (“che crea cicatrici”, che lascia il segno) può anche suggerire che sia un film fin troppo arrabbiato, e quindi non necessariamente così obbiettivo. Che “ti informa”, è sì doveroso ammetterlo, ma perchè non dire invece “che svela profonde verità”? Informare è un pò pochino, visto le rivelazioni da impeachment che Moore ti tira fuori ogni tre per quattro. Che “ti provoca” (certi pensieri, perchè quasi mai gli americani vanno al cinema per pensare) può essere sia una ammissione di duro confronto con la verità che ti attende, sia una denuncia di fragilità di fondo, come se alla fine si trattasse solo di una boutade irriverente. “Frightening” può essere sia un preavviso allo shock per certe immagini “vere”, sia un’insinuazione di far leva su emozioni primordiali, ricattando così l’audience in maniera non corretta. “Compelling”, ti può coinvolgere sia in senso morale contro Bush, che a favore dei mille soldati che si vedono soffrire nel film. “Funny” è una nota di leggerezza che può essere letta come “in fondo non è poi un film così serio”, oppure come “per fortuna ogni tanto si tira anche il fiato”. “Manipulative” poi è un termine che offre solo una lettura negativa, e “che ti intrattiene” vuol dire tutto e niente: ci mancherebbe anche che vai a vedere un film del genere e ti addormenti a metà del primo tempo.

Visto, come si fa a far contenti tutti senza perdere il posto a USA Today?

Chiudiamo con lo stesso giochino fatto sulla recensione di A.O.Scott del NYTimes, il quotidiano che dell’arte del verbo obliquo è da sempre stato il messia indiscusso.

“Mr. Moore can be obnoxious, tendentious and maddeningly self-contradictory. He can drive even his most ardent admirers crazy. He is a credit to the republic. Mr Moore's populist instincts have never been sharper. It is worth seeing, debating and thinking about, regardless of your political allegiances.”

“Moore riesce ad essere indisponente,  tendenzioso, e sa contraddirsi fino a farti impazzire. Può tirar scemi anche i suoi più fervidi ammiratori. E’ un classico prodotto (fiore all'occhiello, quasi) della [nostra] repubblica. Il suo istinto populista non è mai stato così acuto. Il film vale la pena di essere visto, discusso e ponderato, al di là dello schieramento politico a cui uno appartenga.”

E vai con la presa di posizione! Questo sì che è giornalismo.

Massimo Mazzucco