LA FINE DI UNA DINASTIA

Con il mandato appena scaduto di Jeb Bush a Governatore della Florida, si preannuncia una fine improvvisa e prematura per una dinastia che sta ai vertici del potere, in America, fin dagli anni di Hitler e Mussolini.

Jeb infatti paga lo scotto della fallimentare presidenza del fratello meno astuto - i cui indici di gradimento sono da tempo sotto la soglia minima della decenza - ed ha annunciato che non si candiderà alla presidenza nel 2008, e che non intende proseguire in alcun modo la vita politica.

"No tengo futuro", ha detto ai giornalisti, parlando significativamente nella lingua-codice degli esuli cubani che vivono in Florida. Nessuno ha osato chiedergli il motivo - evidente per tutti - di questa improvvisa rinuncia ad una candidatura che solo un anno fa sembrava quasi obbligatoria.

Lo stesso padre, detto Bush 41 (il 41° presidente, mentre il figlio è "Bush 43"), è scoppiato in lacrime durante il discorso di addio del figlio al parlamento della Florida. Le lacrime sono arrivate, curiosamente, proprio nel momento in cui Bush stava ricordando l'iniziale sconfitta di Jeb per la carica di governatore (poi ottenuta in un secondo momento), mentre l'attuale presidente si assicurava al primo tentativo il ruolo equivalente in Texas, e si posizionava così prima di Jeb per il grande lancio verso la Casa Bianca (per diventare presidente è necessario essere stato prima governatore di uno stato, o almeno senatore di un certo rilievo).

Nulla di male - avrà pensato all'epoca il vecchio Bush - prima ci metto Giorgino, alla Casa Bianca, ... ... e Jeb ce lo mando dopo. Ma il primo nel frattempo ha rotto le uova di un paniere grosso come il mondo intero, e il nome di famiglia oggi vale in politica quanto la stigmata di un lebbroso.


Al centro Prescott Bush, patriarca di famiglia. In alto a sinistra suo figlio George H.W. Bush (41),
alla sua destra George W. Bush, attuale presidente, e davanti al padre, in basso, il fratello Jeb.

Ma il brutto regalo che la dinastia Bush ha fatto alla storia non si limita certo ai danni - comunque imperdonabili - portati al mondo dall'incoscienza dell'attuale presidente. Già il nonno infatti, Prescott Bush, appartenne a quel ristretto gruppo di politici legati al nascente "complesso militare-industriale" americano che contribuirono in maniera decisiva all'avvento al potere di Adolf Hitler, con la complicità interessata del Vaticano, nella persona del futuro Papa Pacelli. Sia gli industriali che la Chiesa avevano infatti individuato un nemico comune in Stalin, il cui "comunismo" portava con sè sia l'ateismo che la fine del libero mercato, e l'appoggio alla coppia Hitler-Mussolini fu la necessaria risposta con cui i poteri forti occidentali intesero contrastare una sua eventale espansione verso l'Europa.

Salvo poi vedersi "la bestia" nazi-fascista sfuggire di mano, e ritrovarsi alla fine della Guerra, da una parte, con Norimberga, e dall'altra con l'Italia magicamente schierata dalla parte dei vincitori. Se un solo papa ha mai fatto un miracolo nella storia dell'umanità, è stato certamente l'acrobatico voltafaccia dell'Italia dell'8 settembre.

Ma in un famiglia del genere ogni generazione deve avere il suo peccato mortale, e anche Bush 41 non se ne va dalla scena politica senza aver commesso il suo. Durante l'eulogia dedicata a Gerald Ford, morto la scorsa settimana, Bush padre ha ricordato la sua partecipazione alla Commissione Warren, con una frase tanto retorica quanto piena di falsità: "After a deluded gunman assassinated President Kennedy, our nation turned to Gerald Ford and a select handful of others to make sense of that madness. And the conspiracy theorists can say what they will, but the Warren Commission report will always have the final definitive say on this tragic matter. Why? Because Jerry Ford put his name on it and Jerry Ford’s word was always good."

"Quando un assassino visionario assassinò il Presidente Kennedy, la nazione si rivolse a Geral Ford e ad un gruppo ristretto di pochi altri per cercare di dare un senso a questa follia. E i teorici della cospirazione possono dire quello che vogliono, ma il Rapporto della Commissione Warren avrà sempre l'ultima parola su questa tragica vicenda. Perchè l'avrà? Perchè porta la firma di Jerry Ford, e la parola di Jerry Ford ha sempre avuto un valore."

Bush dimentica che fu lo stesso Gerald Ford, qualche anno fa, ad ammettere di aver intenzionalmente alterato il Rapporto Warren, "spostando" di una decina di centimetri verso l'alto la collocazione di un foro d'entrata nella schiena di Kennedy, fino a farlo coincidere in qualche modo con la ferita del collo (quella del proiettile magico). Quel proiettile di troppo avrebbe infatti escluso a priori la possibilità - già difficile da sostenere in ogni caso -di un unico sparatore.



Ecco la pagina del rapporto originale, con la correzione a mano di Gerald Ford, che trasforma "a bullet had entered his back at a point slightly above the shoulder" in "a bullet had entered THE back OF HIS NECK, ...", ovvero da "una pallottola era penetrata nella schiena, in un punto appena sopra la scapola" a "una pallottola era penetrata NELLA PARTE POSTERIORE DEL COLLO, ... "

D'altronde, cosa può saperne l'anziano ex-presidente dell'omicidio Kennedy, visto che quel giorno lui si trovava…. Già, dove si trovava George H.W. Bush, allora privato cittadino, e presidente della Zapata Oil Company, il 22 novembre 1963?

A sentire lui era in Texas, ma dove con precisione non riesce a ricordarlo.

Forse potrebbe aiutarlo dare un'occhiata a questo memo dell'FBI, declassificato di recente (segue traduzione):



DATA: 22 NOVEMBRE 1963
DA:  AGENTE GRAHAM W. KITCHEL
CONTENUTO: PERSONA SCONOSCIUTA.
ASSASSINIO DEL PRESIDENTE KENNEDY.

Alle ore 1:45 pm il Signor George H.W. Bush, presidente della società petrolifera Zapata Drilling Company, di Houston, Texas, residente a Briar 5255, di Houston, ha fornito per telefono allo sottoscritto le seguenti informazioni, in intercomunale da Tyler, nel Texas.
 
Bush ha detto che voleva dare in via confidenziale delle informazioni su una voce che ha sentito girare nelle settimane scorse, da persone e in data imprecisate. Ha detto che un certo James Parrott andava parlando di uccidere il Presidente quando verrà a Houston.
 
Bush ha detto che Parrott è forse uno studente dell'università di Houston, ed è un attivista politico in questa zona. Ha detto che pensava che signor la Signora Fanley, telefono SU 2-5239, o Arlene Smith, telefono JA 9-9194, della direzione del partito repubbicano della contea di Harris avrebbero potuto fornire maggiori informazioni sull'identità di Parrott.
 
Bush ha dichiarato di essere in partenza per Dallas, Texas, dove avrebbe alloggiato allo Sheraton-Dallas, per tornare a casa sua il 23 Novembre 1963 [il giorno seguente, N.d.T.]. Il suo numero telefonico di ufficio è CA 2-0395.

Segue sigla

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E pensare che a Dallas quel giorno c'era pure Richard Nixon, ovvero l'uomo sconfitto da Kennedy alle elezioni di tre anni prima, nonchè burattino dichiarato di Prescott Bush sul palcosenico politico nazionale.

A volte la vita ci riserva delle coincidenze davvero stupefacenti.

Massimo Mazzucco

Vedi anche: Da Dallas alle Torri Gemelle. La dinastia Bush e la svastica di famiglia