di Giorgio Mattiuzzo

Quando i venti di guerra iniziarono a spirare sull'Iraq, le voci che si levarono contro la guerra ammonivano che quel conflitto, oltre a provocare la morte di migliaia di innocenti, oltre a distruggere l'Iraq senza motivo, sarebbe servito solo ad arricchire le imprese incaricate della ricostruzione. All'epoca queste voci non vennero minimamente prese in considerazione e i giornalisti, americani e italiani, spesero righe su righe per spiegare se non i vantaggi, per lo meno l'inevitabilità della guerra.

Nel corso degli anni si è scoperto che i legami tra Al Qaeda e il Presidente iracheno erano una montatura degli apparati americani per giustificare la guerra. Le armi di distruzione di massa irachene pure ma, nonostante tutto questo, i giornalisti – che allora spiegavano col ditino alzato come va il mondo e come fosse necessario fare una guerra – non hanno consegnato la tessera, in cerca di un altro lavoro, e non hanno nemmeno chiesto scusa ai loro lettori scrivendo in prima pagina "ci siamo sbagliati".

Al contrario, hanno iniziato a spiegare come la presenza americana (e italiana, fino a poco tempo fa) fosse necessaria per la ricostruzione dell'Iraq. Con angelico candore adesso spiegano come sia inevitabile mantenere l'esercito americano ... ... a ricostruire quello che l'esercito americano ha raso al suolo.

Putroppo per loro, i fatti ancora una volta si trovano a dar ragione a chi non voleva la guerra, e proprio per i motivi esposti da chi la guerra non la voleva. La Commissione di inchiesta del Congresso americano che indaga sulla gestione dei fondi per la ricostruzione in Iraq ha pubblicato il suo rapporto, che dimostra inequivocabilmente come gli ingenti finanziamenti americani si siano rivelati inutili.

Un piccolo passo indietro. La cosiddetta ricostruzione ricalca un modello economico ben noto, che risale agli anni '30, quando il Presidente Roosvelt, per far uscire gli Stati Uniti dalla Grande Depressione, varò il New Deal, un piano economico che aveva come concetto di base il fatto che lo Stato (seguendo le teorie economiche di John M. Keynes) attraverso la costruzione di infrastrutture pubbliche, deve avere come fine il rilancio dell'economia e la piena occupazione. Il corollario meno noto – e che di solito a scuola non insegnano – di questa impostazione dell'economia americana è la corsa agli armamenti: il concetto di intervento statale nell'economia nazionale è stato esteso anche al settore militare e ha dato in questo modo vita al cosiddetto apparato militar-industriale il quale, per funzionare, ha naturalmente bisogno di almeno una guerra ogni tanto.

E' lo stesso principio che mosse il governo Berlusconi al varo delle Grandi Opere: grandi commesse pubbliche che fanno da motore primo per il riavvio di una economia stagnante.

Chiamando le cose con il proprio nome, New Deal, Reconstruction, Grandi Opere sono degli appalti. Cioè lo Stato o altri organi statali investono grandi quantità di denaro reperito con la fiscalità ordinaria e straordinaria in opere come strade o ponti o altro, con i quali pagano delle aziende private, che assumerebbero le maestranze disoccupate e che finanzierebbero l'indotto, che a sua volta assumerebbe nuove persone e così via, in un circolo virtuoso di cui dovrebbe beneficiare l'intera società.

Tuttavia, se usiamo la parola appropriata, cioè appalti pubblici, almeno noi italiani sappiamo bene quale realtà vi si nasconda all'interno. Il processo dell'appalto è molto semplice: il politico per una serie di ragioni fa costruire una infrastuttura (per esempio, la Tav o il Mose, ma anche quei nuovi lampioni che fanno bella mostra di sé nella piazza del vostro paesino) ed indice un appalto; la società o l'azienda amica del politico vince l'appalto, con la promessa di versare congruo contributo spese al politico; il costo finale dell'opera pubblica aumentata a dismisura e la qualità della stessa è pietosa. In tutto questo turbinio di denari, il politico si è arricchito, l'azienda si è arricchita, i cittadini hanno visto andare in fumo i loro soldi, le loro pensioni e la loro assistenza sanitaria e le aziende che lavorano nell'economia reale chiudono perché naturalmente non possono reggere questo genere di concorrenza. Cittadini impoveriti, altri disoccupati e pochi parassiti che vivono alle spalle di tutti.

A sentire queste cose in Italia ci si è fatti il callo. La novità è che lo stesso sta avvenendo con la cosiddetta ricostruzione dell'Iraq. Una Commissione del Congresso americano ha pubblicato il suo rapporto a riguardo, e descrive una situazione a tinte fosche.

Il rapporto fa riferimento ad otto diversi programmi, presi come campione rappresentativo di tutti quelli che erano stati definiti dall'Amministrazione "un successo", per un valore complessivo di 30 miliardi di dollari.

Ebbene, di questi otto progetti, soltanto due sono risultati funzionare. Gli altri, invece, semplicemente sono stati una enorme spesa inutile. Per chi ama i numeri e per avere un riferimento oggettivo: per l'aeroporto di Baghdad sono stati spesi 11,8 milioni di dollari per comprare dei nuovi generatori elettrici; la maggior parte di questi generatori, per un valore di 8,6 milioni di dollari, non funziona.

In un ospedale pediatrico di Irbil, gli scarichi erano usati per gettare il materiale medico usato, mentre l'apposito inceneritore non veniva nemmeno acceso. I commissari spiegano i motivi di tale enormità: "chi aveva ricevuto la formazione per usare l'inceneritore non era più impiegato all'ospedale". Logico.

Come si diceva, gli unici due progetti che sembrano (per ora, perché la stessa Commissione sembra quasi fare gli scongiuri) funzionare sono due nuove stazioni di polizia.

Nel volgere di pochi anni la guerra in Iraq si è dimostrata per quello che è stata e che continua ad essere: un'enorme bugia da difendere ad ogni costo, necessaria per mantenere in vita artificialmente l'economia di guerra americana e con la quale poche aziende (la Halliburton di Dick Cheney in testa) hanno fatto enormi profitti. E persino il Congresso americano, che aveva votato all'unanimità in favore della guerra, si trova nella situazione di doverlo ammettere, pur con diplomatiche e vellutate parole di circostanza.

L'unica cosa che la Commissione non ci dice è il vero costo di questa guerra. Centinaia di migliaia di iracheni morti senza motivo e una Nazione precipitata in meno di un mese indietro di cento anni, senza luce, acqua e ospedali per sostenere le esigenze primarie di quel popolo.

Giorgio Mattiuzzo
Fonti:

US report blames Iraqis for failing reconstruction, The Guardian Unlimited, 30 aprile 2007
Major problems found in Iraqi rebuilding effort, International Herald Tribune, 29 aprile 2007