[img align=right]library/abiz-o.jpg[/img]Per tutti coloro che si domandavano - sottoscritto compreso - quale sarebbe stato il cambio effettivo di rotta della politica estera americana, dopo la cacciata dell'Imperatore Rumsfeld, stanno cominciando ad arrivare le prime risposte, e sono tutt'altro che promettenti. Il tanto temuto "gridlock" - la completa paralisi dell'esecutivo, dovuta al sistema di veto incrociato fra Presidenza e Parlamento - sembra essere scattato sin dal primo duello importante. A differenza dalla nostra Costituzione, nella quale il potere legislativo è interamente demandato al Parlamento, e si lascia al Presidente della Repubblica una riserva di veto altamente simbolica (fece clamore, infatti, quando Ciampi rifiutò di firmare la legge sulla TV satellitare che Berlusconi si era fatto regalare per Natale), la Costituzione americana assegna un peso equivalente a Parlamento e Presidenza nell'approvazione di qualunque legge, dalla proibizione di calpestare l'erba nei parchi federali, fino alle dichiarazioni di guerra contro qualunque "asse del male" ci si possa inventare di volta in volta. Era stato quindi grazie alla doppia maggioranza repubblicana, sia alla Camera (House of Representatives) che al Senato, che la squadra di Bush aveva agito fino a ieri … … con una tale disinvoltura da dimenticarsi spesso di informare lo stesso Parlamento delle proprie decisioni. D'altronde, quando sei direttamente "in a mission from God" - ma non sei uno dei Blues Brothers - la cosa è anche comprensibile. Anche Hitler dopo un pò si era stufato di questa noiosa formalità burocratica, e il parlamento aveva fatto che chiuderlo definitivamente. Ma ora che i democratici ne hanno ripreso il controllo (hanno la maggioranza sia alla Camera che al Senato), possono almeno tornare a pretendere che il Presidente rispetti la sana abitudine di chiedere a loro - cioè, almeno teoricamente, alla nazione che essi rappresentano - il permesso di far spostare sotto un portico anche una sola jeep che era rimasta parcheggiata al sole. E oggi il messaggio dei democratici, chiaro e forte, è "ora basta, dall'Iraq si torna a casa". "We cannot save the Iraqis from themselves - ha detto il senatore democratico Carl Levin - The only way for Iraqi leaders to squarely face that reality is for President Bush to tell them that the United States will begin a phased redeployment of our forces within four to six months". "Non possiamo salvare gli iracheni da loro stessi, e l'unico modo per mettere i leader iracheni pienamente di fronte a questa realtà è che il Presidente Bush dichiari che gli Stati Uniti inizieranno un graduale riposizionamento del nostro esercito entro 4/6 mesi". Ecco quindi insorgere i generali (non a caso alla Difesa, a fare lo "sporco lavoro", è stato mandato Bob Gates, un civile ex-CIA) per i quali la parola "ritirata" è talmente impronunciabile che dovrebbe essere immediatamente cancellata da ogni singola copia del Merriam/Webster in circolazione. Il generale Abizad ha dichiarato oggi che i militari debbono disporre di "grande flessibilità" nell'operare questo tipo di scelte, e che "specific timetables limit that flexibility", i programmi precisi limitano quella flessibilità. Faceva prima a dire "vogliamo continuare a comandare noi", e non si scandalizzava nessuno. Il mostro decapitato della Dottrina Wolfowitz rimane quindi vivo, e sembra per ora prevalere sull'ala moderata (scusate l'ossimoro) dei generali che già tempo chiedevano apertamente la testa di Rumsfeld. A meno che il buon Gates (scusate la bestemmia), riesca ad imporre la sua linea di "riposizionamento" direttamente all'interno del Pentagono, è chiaro che toccherà a Bush - come infatti ha invocato Levin - rinunciare al suo diritto di veto, e appoggiare apertamente la soluzione di rientro che i democratici stanno chiedendo. Alla fine, i topi grossi sono tutti saltati dalla nave che affonda, e ad annegare con lei ci hanno lasciato il più fesso di tutti, quello che era tutto contento di indossare la divisa di capitano. Al di là di tutto questo, resta il fatto che non ci saremmo mai venuti a trovare in una situazione del genere, se i democratici non avessero permesso sin dall'inizio alla bugia dell'undici settembre di galoppare libera per il mondo, quando si presentarono compatti sul selciato del Campidoglio, il 12 mattina, a cantare "God Bless America" con la faccia commossa e la mano sul cuore. C'era anche Hilary, non dimentichiamolo. Massimo Mazzucco