[img align=right]library/menchu-o.jpg[/img][b]POLITICALLY CORRECT: L'INGANNO SUPREMO[/b] La globalizzazione non perdona: anche in Centroamerica è arrivato il politically correct, ovvero quel sistema - già solidamente collaudato negli Stati Uniti, e in rapida diffusione anche da noi - di lavaggio automatico della coscienza collettiva, tramite piccole sfumature da applicare quotidianamente al linguaggio parlato. Negli Stati Uniti, quando parli di un negro, basta non dire "black", ma chiamarlo rispettosamente "African-American", ed avrai cancellato in un solo istante secoli di razzismo, di vergogna e di umiliazioni. Ma anche da noi, ormai, basterà non chiamare cieco il non-vedente, o sordo il non-udente, ed avrai annullato in un attimo quel profondo senso di colpa che provi ogni volta che ti trovi davanti ad un essere sfortunato… pardon, ad un portatore di handicap come loro. Oggi tocca al Guatemala: se prima credevi di poter dare impunemente dell'"indiano" a un indiano, ... ... sappi che da oggi la festa è finita. E chi l'ha fatta finire è addirittura un Premio Nobel - Nobel per la Pace, naturalmente - tale Rigoberta Menchu (nella foto). La Menchu è di discendenza Maya, ovvero "indiana" secondo quel vocabolario dei conquistadores che si è poi trasformato in linguaggio comune, e confermato dai mille film western in arrivo da Hollywood. Ma detto da un "bianco", da quelle parti "indio" è un grave insulto. Se poi ad usare l'epiteto è addirittura il nipote del generale-dittatore Jose Efrain Rios Montt, che così ha apostrofato la Menchu in un pubblico confonto, apriti cielo, e che giustizia sia fatta. In Guatemala sopravvivono 22 diversi gruppi etnici di discendenza locale, che costituiscono il 60% circa della popolazione, ma sono rappresentati in parlamento da soli 13 deputati su 160. La discriminazione contro l'indio è antica quanto la colonizzazione, e fa parte della stessa struttura sociale, al punto che capita spesso di vedere donne in abiti tradizionali che vengono cacciate dai luoghi "di prestigio", riservati agli ispanici. Fu proprio per il suo attivismo contro la discriminazione che la Menchu vinse il Nobel, nel 2002, e grazie alle leggi che furono poi promulgate, il nipote del generalissimo che l'ha offesa rischia oggi addirittura da uno a sei anni di prigione. "Voglio che sia stabilito un precedente", ha dichiarato orgogliosa la Menchu nel portare il ragazzo in tribunale. E lo sarà certamente. La sentenza farà clamore, avrà un alto valore simbolico, e tutti si sentiranno meglio per cinque minuti. Dopodichè escogiteranno subito un nuovo modo per dire "indio" sotto i baffi, in modo da non farsene accorgere. Chi si illude che basti "fare una legge" per portare vero rispetto fra gli esseri umani non considera che sono proprio queste leggi a scavare ancora più profondo il fossato che separa le minoranze dai cosiddetti "cittadini normali". Nel frattempo infatti avrà un iter molto meno rapido, e farà molto meno clamore - se mai avrà davvero inizio - il processo per genocidio intentato dalle associazioni civili contro l'ex generale Fernando Romeo Lucas Garcia, ritenuto responabile dello sterminio di circa 200.000 Maya una ventina di anni fa, proprio sotto la presidenza del nonno dell'accusato. Potenza quindi del politically correct: si possono tranquillamente sterminare, ma attenti a non chiamarli "indiani". Massimo Mazzucco