[lib]26mch500.jpg[/img] [b]STA TORNANDO LA DEMOCRAZIA?[/b] di Fabio de Nardis 26.4.04 - L’America progressista finalmente si ribella al conservatorismo di Bush e delle gerarchie cattoliche, che con l’ultimo editto vaticano mostrano chiaramente di voler condizionare le presidenziali di Novembre. Ieri, a Washington, centinaia di migliaia di persone hanno marciato sulla National Mall per dire “No” al rigurgito contro-riformista del governo repubblicano, e per rivendicare il diritto sacrosanto della donna a decidere sul futuro della propria gravidanza. Loro la chiamano “reproductive freedom” (libertà di riproduzione), e il “partito” a favore dell’aborto è il “pro-choice”(per la scelta), mentre gli antiabortisti sono i “pro-life”. Ha detta di molti si è trattato della più grande manifestazione femminista nella storia dei movimenti in America, superiore nella portata anche alla grande mobilitazione del 1992. Le stesse forze dell’ordine, che negli USA non giocano al ribasso come in Italia, dichiarano che il numero dei partecipanti è stato tra i 500.000 e gli 800.000. Hanno sfilato ordinatamente, tutti uniti e compatti per rivendicare il diritto fondamentale all’autodeterminazione. E dopo anni di apatia, si sono rivisti i giovani ... ...tornare in piazza. Secondo il Los Angeles Times, almeno un terzo dei manifestanti erano studenti, venuti in delegazione con i propri banner e i propri slogan da tutti gli stati della federazione. Spiccano i volti di attrici note di Hollywood, accanto alle icone storiche del movimento femminista americano. Marciano orgogliose e si mischiano con la gente, che una volta tanto sembra non accorgersi della loro presenza. È il bello della piazza. Non esistono gerarchie né classi sociali, ma ogni donna e uomo rinuncia all’isolamento della vita quotidiana per farsi società in movimento, e incidere sui processi decisionali. Checché ne dicano gli intellettuali e i politici conservatori, in questi casi emerge il senso della democrazia. Quando la gente si organizza e si mobilita assumendosi la responsabilità della decisione politica. “Conosci il tuo potere e usalo”, afferma orgogliosa la capofila democratica alla camera, Nancy Pelosi. Ed è vero. Quando un individuo decide di unirsi ad altri nella lotta, anche quando gli obiettivi della mobilitazione non lo coinvolgono direttamente, si fa cittadino e rinuncia alla propria condizione di sudditanza, arginando le derive elitistiche delle democrazie contemporanee. Anche se formalmente la manifestazione era non politica (ammesso che ciò sia mai possible), il sentimento anti-Bush era diffuso e palpabile. Forse qualcosa sta cambiando, forse la passività di questi utlimi anni si sta trasformando in indignazione verso i diritti violati. Le donne che si ribellano contro la pressione reazionaria di chi le vuole subalterne, gli operai che si sollevano ovunque per ribellarsi contro un sistema che fa della diseguaglianza un valore. Libertà e giustizia sociale iniziano forse a riconnettersi nella lotta. Forse il corteo di ieri e le mobilitazioni degli ultimi mesi non avranno un peso determinante, ma senza dubbio rappresentano una spina nel fianco – un’altra - per una classe politica storicamente abituata ad agire indisturbata, senza una reale opposizione, senza partecipazione. Oggi gli americani fissano i paletti della vita democratica e tracciano sul terreno virtuale dell’arena politica i confini del processo decisionale. Le donne rivendicano il diritto di essere tali, i gay e le lesbiche rivendicano il diritto ad amarsi, gli operai rivendicano il diritto a vivere una vita dignitosa; tutti assieme ricomniciano a “creare problemi”. Spetta alla classe politica ora accogliere o meno le loro istanze, perché, come ha scritto Amartya Sen, “la democrazia crea problemi, ma fornisce anche le soluzioni” Fabio de Nardis