Molte cose sono cambiate dall'inizio di quest'anno, e molte altre sono destinate a cambiare prima che l'anno sia finito. Pensiamo solo al mattino del 5 di dicembre, quando potremmo trovarci, ad esempio, con un'Austria che si avvia ad uscire dall'Europa, oppure con un'Italia impantanata nella millesima crisi di governo.

Ma se c'è un motivo per cui questo anno è destinato a passare alla storia, lo sarà certamente per il crollo verticale che ha avuto negli ultimi mesi il livello del nostro dibattito politico.

Quelli che una volta erano attacchi argomentati - fondati o meno che fossero - oggi sono diventati insulti diretti e volgari, che assumono sempre di più il sapore di slogan della curva sud, e sempre di meno il sapore di un dibattito politico.

L'ho già detto e lo ripeto: il discorso politico di una volta poteva essere più o meno valido dal punto di vista dialettico, ma era sempre e comunque riferito all'oggetto delle discussioni, e non ai soggetti che ne erano protagonisti.

Oggi invece non c'è più discussione politica, ma solo partigianerie, apertamente schierate da una parte oppure dall'altra, che si combattono esattamente come si combattono le tifoserie allo stadio. A urla in faccia, sputi, insulti e razzi sparati ad altezza d'uomo.

Diventa difficile a questo punto - e forse anche futile - cercare di risalire al colpevole primario, al peccatore originale che ha scagliato il primo insulto. Non è infatti stato colpa di nessuno in particolare che si sia arrivati a questo decadimento del pubblico discorso. La colpa in realtà è del "terreno," inteso come ambiente di coltura: da quando è comparso in scena il Movimento Cinque Stelle infatti, per la prima volta nella storia il sistema degli inciuci e delle connivenze ha iniziato a traballare, scatenando nella casta la paura profonda di perdere il posto e di scomparire per sempre dalla scena pubblica.

Questo, sommato ad un atteggiamento di totale chiusura al dialogo da parte dei Cinque Stelle, ha portato ad un progressivo irrigidimento dei rapporti fra le fazioni contendenti.

Ricordo ancora che mi colpì fortemente quando Renzi definì i Cinque Stelle dei "buffoni". Allora mi era sembrata una esagerazione, una pisciata fuori dal vaso, ma oggi che siamo arrivati alla definizione di "scrofa" in direzione contraria, quel "buffoni" di un anno fa sembra quasi un complimento.

È chiaro che siamo di fronte ad una svolta storica, e che in questo scontro fra i Cinque Stelle e i rappresentanti dello status quo ci si gioca una partita in grado di cambiare il destino dell'Italia. Ma c'è un problema al quale bisognerebbe prestare attenzione, da una parte come dall'altra, prima che diventi troppo tardi: alle prossime elezioni politiche (sia che esse avvengano subito, oppure a termine di legislatura) chiunque sarà il vincitore dovrà trovarsi a fare i conti con un'Italia spaccata in due, in modo forse ormai irrimediabile.

A quel punto ci si accorgerà quanto sia difficile far ripartire una nazione nella quale ciascuna delle parti preferisce affogare tutti insieme che non dover concedere qualcosa al proprio avversario.

E a quel punto ci si domanderà - forse troppo tardi - se sia valsa davvero la pena di permettere che il livello del confronto politico scendesse così in basso.

Massimo Mazzucco