Marie Collins, una donna irlandese violentata da un prete pedofilo a 13 anni, dal 2014 faceva parte della Commissione Pontificia per la Protezione dei Minori, voluta da Bergoglio per combattere il problema della pedofilia nel clero. Si è dimessa ieri, per i motivi che ha spiegato lei stessa in questa lettera, pubblicata dal National Catholic Reporter. A quanto pare l'ombra di Joseph Ratzinger, che pubblicò il Crimen Sollicitationis quando era a capo della Congregazione per la Fede, non si è ancora dissolta.

Di Marie Collins

La Commissione Pontificia per la Protezione dei Minori ha avuto diverse difficoltà da superare nei suoi tre anni di esistenza.

Ovviamente intendo rispettare la confidenzialità dei miei ex-colleghi della commissione sul lavoro che stanno facendo, ma alcuni dei problemi sono già stati resi pubblici dai membri stessi della commissione che hanno testimoniato il 23 febbraio, di fronte alla commissione australiana sugli abusi sessuali dei bambini.

Questi problemi includono: mancanza di finanziamenti, strutture inadeguate di supporto, lentezza di avanzamento, e resistenza culturale. Il problema più vistoso è stato la riluttanza da parte di alcuni membri della curia vaticana ad implementare le raccomandazioni della commissione, nonostante queste fossero state approvate dal Papa.

Nella sua testimonianza Kathleen McCormack, il membro australiano della commissione, ha riassunto le nostre fatiche e ha enfatizzato la necessità di mantenere la speranza. "Come l'acqua che batte sulla roccia - ha detto - noi dobbiamo andare avanti".

Io però sono arrivata al punto in cui la speranza non mi sorregge più. Come sopravvissuta [delle violenze sessuali] ho osservato con sconforto lo svolgersi degli eventi.

Durante il primo anno abbiamo dovuto andare avanti senza uffici e senza personale. Poi la difficoltà è stata nel trovare un metodo con cui la commissione potesse dialogare con i vari dicasteri del Vaticano.

Questo problema è stato superato le 2016, con degli intermediari che interagivano tra la commissione e i vari dipartimenti del Vaticano, ma c'è stato un lungo periodo di ritardi in questa area di comunicazioni e cooperazione.

La raccomandazione della commissione affinché venisse istituito un tribunale che giudicasse i vescovi negligenti è stata approvata e annunciata da papa Francesco nel giugno 2015. Nonostante questo, la Congregazione per la Dottrina della Fede avrebbe incontrato delle non meglio specificate "difficoltà legali", per cui il tribunale non è mai stato implementato.

Papa Francesco ha proposto di sua iniziativa un altro metodo per rispondere delle proprie responsabilità, che avrebbe riguardato non soltanto i vescovi negligenti, ma anche i loro superiori negligenti. Questo metodo avrebbe dovuto essere implementato il 5 di settembre scorso, ma ancora oggi non sappiamo nemmeno se sia entrato in funzione.

Le linee guida per la sicurezza, destinate alle conferenze episcopali di tutto il mondo, che sono state messe a punto dalla commissione, non sono ancora state messe in circolazione. Il dicastero che ha la responsabilità di far circolare i documenti all'interno della conferenza episcopale si rifiuta di cooperare con la commissione.

Nella sua testimonianza di fronte alla commissione australiana il membro neozelandese, Bill Kilgallon, ha fatto una analogia con i governi per spiegare come sia nato questo tipo di resistenza. Egli ha parlato di "quanto gelosamente i compartimenti governativi proteggano il loro territorio, e come siano sempre pronti a respingere suggerimenti che vengono dall'esterno".

La riluttanza da parte di alcuni all'interno della curia vaticana di implementare le raccomandazioni e di cooperare con la commissione, quando lo scopo è quello di migliorare la sicurezza dei bambini e degli adulti vulnerabili, è inaccettabile.

Questa riluttanza è guidata da politiche interne, dalla paura del cambiamento, da un clericalismo convinto "di sapere noi quello che dobbiamo fare", dalla mentalità chiusa che considera gli abusi un semplice "inconveniente", o da un atteggiamento che porta ad aggrapparsi a vecchie abitudini istituzionali?

Io non conosco la risposta, ma è comunque sconvolgente vedere come, nel 2017, queste persone possono comunque anteporre le proprie preoccupazioni alla sicurezza dei bambini e degli adulti vulnerabili.

La goccia che ha fatto traboccare il vaso per me, al di là del rifiuto di cooperare con le linee guida per la sicurezza, è stato il rifiuto, da parte dello stesso dicastero, di implementare una delle raccomandazioni più semplici che la commissione abbia mai proposto fino ad oggi.

L'anno scorso, su nostra richiesta, il Papa aveva richiesto a tutti i dipartimenti del Vaticano di assicurarsi che qualunque lettera o comunicazione da parte di vittime delle violenze sessuali ricevesse una risposta. Ho saputo di recente, proprio da questo dicastero, che loro si rifiutano di fare anche soltanto questo.

Mi risulta impossibile ascoltare dichiarazioni pubbliche sulla profonda preoccupazione della Chiesa per coloro le cui vite sono state rovinate dall'abuso, mentre vedo che in privato la congrega vaticana si rifiuta persino di rispondere alle loro lettere!

Questo riflette il modo in cui l'intera crisi degli abusi sessuali è stata gestita da parte della Chiesa: con belle parole in pubblico,  ma azioni del tutto contrarie a porte chiuse.

Quando accettai di entrare nella commissione, nel 2014, dissi pubblicamente che se avessi scoperto che ciò che accadeva dietro le quinte fosse stato in conflitto con ciò che veniva detto pubblicamente, non sarei rimasta. Il momento è arrivato. L'unica scelta che mi rimane è quella di dare le dimissioni, se voglio conservare la mia integrità morale.

La lettera si conclude con una serie di raccomandazioni per la curia vaticana, che la stessa Collins sembra sapere benissimo che non saranno mai implementate.

Traduzione di Massimo Mazzucco per luogocomune.net