Presentazione di Rosanna Spadini - (L'Autore ha messo il libro a disposizione gratuitamente. Trovate il link a fine articolo)

Chris Barlati è un giovane autore che sporadicamente ha trattato temi quali il ruolo della sinistra democristiana nella trattativa Stato-mafia, i servizi segreti e il multipolarismo. In questo caso, "Storie di Prima Repubblica" si presenta come un lavoro di ricerca inerente gli anni della cosiddetta 'Prima Repubblica', sul suo declino e sul passaggio verso la 'Seconda'. L'analisi è stata condotta attraverso le testimonianze di alcuni personaggi che ne furono protagonisti: Elio Veltri, Gherardo Colombo, Ugo Intini, Antonio Di Pietro, Paolo Cirino Pomicino, Massimo D'Alema, Gaspare Mutolo, Massimo Fini.

Le definizioni, i percorsi e le argomentazioni riguardanti il ruolo di apparati stranieri e dei legami massonici nel divenire della Prima verso la Seconda Repubblica è un argomento di certo interessante. E' per tali ragioni che abbiamo deciso di rivolgere alcune domande al nostro intervistato così da chiarirne gl aspetti che tutt'oggi permangono di difficile comprensione.

Qual è il tuo giudizio riguardo agli anni della "Prima Repubblica"?

«La Prima Repubblica in Italia si configura come un'esperienza irripetibile per l'intera storia politica contemporanea. Parafrasando Rino Formica, possiamo paragonare l'Italia ad una Berlino più estesa, poiché in essa lottavano, transitavano e facevano i loro affari i servizi segreti di mezzo mondo. Per definire la Prima Repubblica con un'espressione, possiamo affermare che si trattò di una coalizione di governo, successiva al patto Costituzionale, che resse le sorti dell'Italia fino a Mani Pulite. Una coalizione di Governo preparata alla guerra e da quell'eventualità condizionata fino all'implosione del sistema sovietico.»

Quali furono i principali eventi che caratterizzarono quegli anni?

«Il golpe Borghese, sicuramente, nel '70. L'attentato a Berlinguer, nel '73, ed il suo tentativo di cambiar nome al partito. Ma, quello più importante di tutti, fu l'omicidio Moro, che sancì, diciamo, la fine della Prima Repubblica e l'inizio della Seconda, nonostante storiografia ufficiale ignori tale interpretazione. Poi ci sono la scoperta della P2 ed il crollo del Muro di Berlino.»

Perché credi che l'Omicidio Moro rappresenti la fine della Prima Repubblica?

«Con l'Omicidio Moro vediamo attivarsi i canali di intelligence di mezzo mondo. Addirittura, lo stesso Generale Paolo Inzerilli, all'epoca capo della Gladio, organizzazione di Stay Behind accusata, tra le tanto cose, di aver partecipato al rapimento del segretario Dc, parlerà di una Gladio Nera, un'infiltrazione nell'originaria struttura di estremisti fascisti, che avrebbe agito nelle suddette direzioni e con fini non ben specificati. L'omicidio Moro, senza dubbio, esplicita la sottomissione della classe dirigente italiana rispettivo ai reali decisori di politica interna, che sono gli States per la Dc e i sovietici per il Pci. Entrambi i partiti di massa desideravano la realizzazione di un grande partito cattocomunista, in grado di potersi rendere autonomo nelle scelte di politica internazionale. Tuttavia, i tempi e le circostanze non lo permisero, poiché un'apertura a sinistra avrebbe non solo significato una debolezza per il Patto Atlantico, ma un tradimento dello stesso Pci dall'organismo madre sovietico. Moro avrebbe potuto salvarsi, forse, nonostante le indicibili pressioni. Ma, al di là delle infinite analisi che possiamo elaborare, una cosa è certa: morto Moro, muore ogni barlume di poter disporre di decisioni autonome anche in materia di politica nazionale. Con l'omicidio Moro chiariamo una volta e per sempre che lo Stato italiano altro non è che una mera colonia.»

Quanto influirono rispettivamente l'Urss e gli U.S.A. sull'autonomia Italiana?

«Stati Uniti e Unione Sovietica hanno garantito la democrazia in Italia. Esatto, la democrazia. L'enorme quantitativo di finanziamenti che è giunto sia da est che da ovest ha permesso la costante evoluzione della competizione elettorale democratica. Oltre al livello ufficiale è esistito un livello ufficioso, fatto di omicidi, depistaggi ed ingerenze. Tuttavia, la classe dirigente della prima Repubblica è rimasta attenta affinché la lotta avvenisse più a livello democratico che militare. Dal punto di vista della sovranità, invece, l'Italia si è configurata come una ''quasi colonia'', priva della risolutezza necessaria per far valere le proprie prerogative. La politica e le posizioni filo arabe della classe democristiana hanno in qualche modo compensato questo stato negativo di cose, ma col tempo anche l'equidistanza e la politica dell'amante araba è andata sfumando. Quindi, U.S.A. e Urss hanno influito moltissimo.»

Quali erano gli obiettivi degli alleati?

«Gli U.S.A. non nutrivano particolari interessi per l'Italia. L'unico pericolo era costituito dalla struttura comunista, la più grande del mondo Occidentale, e che dirigeva buona parte dei movimenti rivoluzionari in America Latina. Berlinguer sapeva benissimo che il suo Partito Comunista era diverso da quello russo e cinese ed è per questo che decise di staccarsi timidamente dai sovietici già agli inizi degli anno '70. I russi non volevano un partito cinese 2.0 che si opponesse agli ordini di Mosca e cercarono in tutti i modi di farlo capire a Berlinguer, anche tentando di ammazzarlo.

Mosca cercava di destabilizzare l'Europa servendosi dell'Italia, sperando un bel giorno di poter usufruire di una base di lancio per missili nucleari o di una portaerei nel bel mezzo del Mediterraneo. Gli U.S.A., in sintesi, volevano solamente evitare che tutto questo avvenisse e mai nascosero la seccatura di doversi intromettere sempre e comunque negli affari italiani.

Più che per l'amministrazione U.S.A., diciamo, fu l'intelligence statunitense, insieme a quella inglese, che a preoccuparsi della deriva rossa. Se pensiamo poi che di lì a qualche decennio sarebbe iniziata, guarda caso, la campagna Nato in Medio Oriente, con Francia ed Inghilterra punte di diamante dello schieramento colonizzatore, iniziamo a comprendere un paio di cose.»

In realtà mi sembra che la portaerei nel bel mezzo del Mediterraneo l'abbiano fatta gli U.S.A., con le loro numerose basi missilistiche... non ti sembra che l'Italia abbia sempre avuto una posizione geopolitica strategica irrinunciabile per gli States?

«Certo che sì. Un'Italia ''rossa'' sarebbe stata un serio problema per gli Stati Uniti. Essendo Berlino divisa in due, un'Italia atlantica rappresentava sinonimo di 'sicurezza' e 'stabilità' per l'Europa. Da Mani Pulite in poi, l'Italia diviene la base di partenza per i bombardamenti in Serbia e Medio Oriente. L'intelligence militare statunitense ha sempre nutrito timori per una deriva a sinistra, a differenza delle amministrazioni U.S.A., le quali avevano una visione limitata dei piani di lungo periodo. Implosa l'Urss, si pensava che l'Italia avesse cessato di rappresentare un interesse per i piani geopolitici atlantici, invece, come la campagna in Libia e Siria dimostrano, la nostra penisola continua ad essere considerata come una postazione privilegiata per interessi politici e militari intercontinentali.»

Quale fu il più grande errore politico di Dc, Pci e Psi?

«Molti furono gli errori di questi tre partiti. Per la Dc, l'errore maggiore fu quello di aver riservato troppo spazio d'azione ad Andreotti; l'aver centralizzato troppo il potere in pochi decisori più atlantici che partitici, per intenderci. Anche se, sinceramente, penso che il vero suicidio della Dc sia avvenuto nell'esatto momento in cui sia Cossiga che Andreotti decisero la morte di Aldo Moro.

Per il Psi, di cui analizzo le vicissitudini nel libro, penso sia stato quello di fidarsi troppo degli americani. Craxi era riuscito in un'impresa immane: creare una struttura partitica parallela a Dc e Pci. Ma nel farlo aveva troppo confidato nell'alleato statunitense. Sigonella è una prova dell'ambiguità statunitense, ovvero della differenza che intercorre tra intelligence ed amministrazione. L'intelligence resta e porta rancore, mentre l'amministrazione cambia. E Craxi tutto ciò lo sperimentò sulla propria pelle.

Nei riguardi del Pci, l'errore di Berlinguer, o di chi ne fosse il reale amministratore, fu di non aver saputo sfruttare la proprio componente internazionale. Il Pci amministrava i flussi di denaro diretti in America Latina, Europa e, in misura minore, in Australia. Era una vera e propria potenza che avrebbe potuto opporsi all'Urss. Tuttavia, la mancanza di un esercito e di strutture adeguate pesò notevolmente, e ciò indusse Berlinguer in direzione dell'eurocomunismo, che si trasformerà in una social democrazia sterile e liberale. Come ebbe a dirmi lo stesso D'Alema, Berlinguer fu l'anticipatore di un nuovo ordine globale più giusto. Tuttavia, si sa, tra il dire e il fare molto spesso alcuni concetti vengono travisati.»

Ti riferisci per caso alla famosa affermazione di Berlinguer dove si sentiva più protetto sotto l'ombrello della Nato?

«Non solo. Vi è dell'altro, ed anche d'attualità.»

Gli Stati Uniti d'Europa?

«Esatto. Questi nascono come un tentativo di competere con gli Stati Uniti. Gli U.S.A. avrebbero dovuto impedire questo meccanismo di aggregazione ed invece lo favorirono. Gli unici ad avere qualche remora furono gli inglesi, ed infatti la storia ha dato loro ragione (ricordiamo che con la Brexit l'Inghilterra ha continuato a crescere).

Lo stesso Craxi, grande europeista, si renderà conto che il progetto dell'Europa aveva avuto sì nobili fini, ma che era stato promosso più per un controllo centralizzato delle economie dei vari paesi che per uno sviluppo sincronico delle rispettive differenze. Cosa sono i vari trattati TTIP e simili se non un tentativo di inglobare le economie europee e di americanizzarle? Dunque, diciamo che i vecchi politici della Prima Repubblica pensarono, e continuano a pensare, che ciò fosse la strada giusta da percorrere per competere nell'era della globalizzazione, senza però fare i conti con le conseguenze del crollo del muro di Berlino e con il cambio di direzioni parallelo a questa attuazione.»

A quale cambio di direzioni ti riferisci?

«Caduto il muro di Berlino, l'economia, l'imprenditoria, la finanza, quella legata ai circoli atlantici, che generalmente viene definita come ''massonica'' per via della sua intoccabilità, decide di occupare il posto della politica. L'esponente più importante in Italia di questa corrente è Carlo De Benedetti. Qualcuno potrebbe obiettare ''ma De Benedetti è sempre stato a sinistra''. Vero, De Benedetti è sempre stato vicino alla sinistra, o meglio al probabile vincitore. Come gli Agnelli, i quali stipulavano contratti segretissimi con la Nato e spiavano gli operai rossi, De Benedetti ha sempre spalleggiato tramite giochi di favori e metaforici ''ricatti'' il Pci, il partito meglio organizzato, che negli ultimi anni stava superando addirittura la Dc. In tal senso, la creazione del Pentapartito è stato un chiaro segnale della consapevole debolezza delle forze di governo anti-comuniste. Per tali ragioni sarebbe opportuno riferirsi a De Benedetti non come esponente del mondo di sinistra, ma come un semplice affarista, sponsor in quel determinato momento storico del Pci di Berlinguer.»

E questo cosa c'entra con il Pci, l'Europa e il crollo del muro di Berlino?

«Il cambio di direzioni a cui mi riferisco è esattamente questo. Una forza di sinistra come il Pci si svaluta in una social democrazia europea, immagine e somiglianza di una finanza atlantica. Mani Pulite non è un'esclusiva italiana, ma internazionale, e lo stesso accade in altri paesi ai rispettivi partiti di sinistra e di governo, con modalità molto simili. A livello europeo, l'Europa degli stati, o delle patrie (per dirla dalla prospettiva di destra), si trasforma in un'Europa delle privatizzazioni, dei tagli alla sanità pubblica e della partecipazione dei privati nei settori un tempo riservati esclusivamente allo stato. Questo cambio di direzioni, di equilibri, venne percepito da poche persone, ma mai compreso sino in fondo nella sua pericolosità.»

E gli omicidi di Falcone e Borsellino, le stragi e gli attentati, come si spiegano in questa cornice?

«Sono sempre conseguenza del crollo del muro di Berlino. Il bisogno di ri-azzerare gli equilibri deriva dal cambio di leadership e di programmazione internazionale. La Dc si era servita di imprenditoria, massoneria, finanza e mafia. Con l'imprenditoria aveva un rapporto conflittuale, perché manteneva, nonostante tutto, un certo primato nelle decisioni del Paese. Con la massoneria aveva vinto, anche grazie al Pci, una guerra per il controllo dei servizi segreti. Con la finanza la Dc ha avuto un rapporto ambiguo, in quanto ritenuta da sempre un mondo pericoloso e di influenza statunitense, mentre con la mafia nessun problema: ha sempre goduto di una gioiosa collaborazione.

Venuta meno l'importanza della politica, ecco che tutti si vendicano, si accordano tra di loro e danno vita alla ''Falange Armata''. Un corpo così eterogeneo, composto dai ''nemici'' della politica, che ha bisogno di tempo per definirsi e per definire una strategia vincente. Naturalmente, ha bisogno anche di un contenitore per entrare in un mondo complesso quale quello della politica. Due sono i problemi in tal senso: come amalgamare il tutto e a chi rivolgersi per entrare in politica. Per rispondere alla prima domanda, il tutto venne amalgamato con l'unione dei capitali finanziari-massonici in un unico e gestibile sistema di scambi: il liberismo. Ma per avallare tale sistema di scambi c'è bisogno di cambiare leggi e di posizionare uomini fidati. Bisogna quindi eliminare i ficcanaso e mandare un chiaro messaggio al mondo della magistratura, del giornalismo, dell'investigazione in generale, per far comprendere chiaramente che i padroni sono cambiati. Per tali ragioni si è dovuto eliminare Falcone, trovare un referente in politica e, successivamente, una volta delusi dalle trattative in corso, eliminare anche Borsellino. Ricordiamoci che prima di Tangentopoli De Benedetti andrò a trovare Cirino Pomicino per proporgli di diventare suo ministro, poiché aveva intenzione di creare una sorta di nuovo partito.»

Nell'aprile scorso la Corte di Assise di Palermo ha emesso l'ultima sentenza sulla Trattativa tra Cosa nostra e pezzi dello Stato, spiegata in questi termini dal sostituto procuratore Nino Di Matteo, unico pm titolare dell’inchiesta sin dall’inizio: "Dell’Utri ha fatto da cinghia di trasmissione tra le richieste di Cosa nostra e l’allora governo Berlusconi che si era da poco insediato." Pensi che questa sentenza renda giustizia alle famiglie delle vittime?

«Assolutamente, no. A concorrere nelle trattative furono in primis i democristiani, poi sembrerebbe il Pds o esponenti ad essi vicini e, successivamente, un gruppo di persone che ronzavano intorno all'ala Berlusconi, ma solo alla fine. Il vero problema, tuttavia, attiene il concetto stesso di trattativa, fuorviato da autori giustizialisti e che limitano il proprio sguardo sull'efferatezza di Cosa Nostra. Possediamo numerose ''soffiate'' e documenti del tempo che accusano personaggi quali De Mita o gli americani di aver destabilizzato il governo e di aver infiltrato agenti. Inoltre, personaggi legati al mondo del terrorismo nero ci hanno scientemente predetto eventi futuri, dichiarando partecipazioni di massoni e di entità internazionali. Personalmente, ho individuato tre trattative, ognuna delle quali collegata a qualche omicidio o attentato eclatante. Per questo motivo penso che la sentenza sia una buffonata. Ricordo le parole dall'avvocato di Riina, che pone l'accento sulla guerra interna tra servizi segreti di destra e di sinistra. Io azzardo che queste due fazioni abbiamo fatto a gara tra di loro nell'offrire la vita dei giudici in sacrificio in cambio del permesso per governare nel nuovo stato di cose.»

E allora Berlusconi?

«Ha avuto un ruolo davvero marginale. Vero che Forza Italia è nata da Cosa Nostra, ma Berlusconi giunge quando il tutto era già compromesso. Berlusconi si rende credibile agli occhi della Falange Armata e questa ''investe'' in lui. Addirittura di Pietro da accusatore si trasforma in imputato. Chiaro segnale che il nuovo sistema falangista ha trovato, finalmente, il suo interlocutore. Sembrerà strano ma l'unico grande merito di Berlusconi è stato quello di aver saputo ingannare queste entità e temporeggiare con la politica di cessioni di sovranità e privatizzazioni, aiutato anche dalla Chiesa Cattolica e da altre forza conservatrici. Se non fosse stato con Berlusconi, magari avremmo avuto direttamente un governo di sinistra atlantica e ciò penso non sarebbe stato tanto positivo. In compenso, con la candidatura del Cavaliere e la sua elezione cessano le stragi e la situazione ritorna alla normalità. Ovvio dire che col tempo Berlusconi ha fallito nella sua missione conservatrice e che ha, ugualmente, regalato l'Italia ai mercati stranieri, rovinando la nostra economia.»

Pensi che Di Pietro sia stato aiutato da qualche ''manina'' nelle sue indagini?

«Sicuramente il sistema mediatico ha favorito moltissimo l'azione del pool di Milano e l'impossibilità di una soluzione politica. Nell'intervista fatta a Di Pietro, l'ex magistrato mi ha parlato di un ''sistema'' che si è attivato al momento giusto per delegittimare Mani Pulite. Di Pietro penso non abbia mai ipotizzato che lo stesso sistema che lo aveva delegittimato lo aveva anche cullato sugli allori al solo scopo di raggiungere ben specifici livelli di corruzione. Tangentopoli non riguarda solo le tangenti, ma arriva a livelli finanziari, d'intelligence e segreti Nato inimmaginabili. In questo senso, Di Pietro ha ricevuto inizialmente un 'aiuto' non indifferente, e riconosciuto dallo stesso. Sarebbe invece interessante focalizzarsi sui colloqui avuti da Di Pietro con alcuni esponenti dell'United States Information Office. Consiglio, da questo punto di vista, la lettura delle numerose inchieste avanzate dal direttore Andrea Cinquegrani, giornalista che stimo moltissimo e che ha scientemente colto, prima di tutti, il ''fenomeno'' Di Pietro. Nonostante la vita dell'ex leader dell'Italia dei Valori debba meritare una trattazione a parte, consiglio per iniziare la lettura di ''L'odore dei soldi'' di Elio Veltri, nonché le affascinanti inchieste del giornale ''La Voce delle Voci'', di cui Cinquegrani è direttore. In ultimo, penso che Di Pietro non sia stato una spia della Cia. E' troppo grottesco e poco riservato. Si è fatto scappare troppe informazioni di bocca, come il suo viaggio negli Stati Uniti. Al massimo, ci si dovrebbe focalizzare sul rapporto Di Pietro-sezioni di intelligence italiane, nelle cui fila, si sa, facevano parte cani e porci, criminali e ladri, magistrati e poliziotti. Ma, per il momento, Di Pietro è giusto riportare come Di Pietro sia stato vittima dello stesso sistema che lo ha eletto ad inquisitore preferito d'Italia. E questo riprova quanto, in verità, il suo ruolo sia stato poco necessario e di facile sostituzione, in qualsiasi momento. Trattamento, di per certo, non riservato ai servitori dell'intelligence statunitense. Ma a quelli italiani, certamente.»

Cosa è rimasto di quel cambio di direzioni oggigiorno in Italia?

«Sicuramente il patto tacito tra servizi, nuova criminalità organizzata e politica. I servizi segreti oggigiorno sono una chimera difficilmente definibile. La commistione tra mafia e servizi ha generato un'entità fuori dal comune. Se si pensa che Matteo Messina Denaro, capo di Cosa Nostra, è tutt'ora latitante, comprendiamo il perché della cattura di Bernardo Provenzano. Negli anni del passaggio tra prima e seconda Repubblica, abbiamo prova della volontà di creare una struttura criminale innovativa, una ''Cosa Nuova'', un'unione di 'Ndrangheta e Cosa Nostra. Se a ciò aggiungiamo la commistione dei servizi segreti con la ''mafia'' e l'infiltrazione totale e completa della 'Ndrangheta nella Massoneria, riusciamo a mettere a fuoco un quadro alquanto sconvolgente. Cosa è rimasto di allora? Gli attuali e reali decisori della nostra politica. Quella chimera che è composta da finanza, massoneria, criminalità e servizi statali, e che è in grado di poter ricattare un presidente del Consiglio e di dirigere media e mercati economici in prestabilite direzioni. Mi vengono in mente le dichiarazione del pentito Brusca, quando afferma: "Avrei motivo di uccidere no Di Pietro, ma a De Benedetti. Quello che era quindici anni, vent'anni fa, è ancora oggi. La guerra non è fra Berlusconi e questi della sinistra. La guerra è tra Berlusconi e De Benedetti con Repubblica e tutto il resto". Se oggigiorno Berlusconi è stato sconfitto, dimostrandosi sotto ricatto dei mercati e degli attacchi finanziari, chi è allora il principale decisore della politica italiana, amato da mercati, finanza nonché esponenti della massoneria? Da chi è andato Monti, oltre che da Prodi, a chiedere consiglio sulla sua candidatura a premier? Sembra strano, ma la verità è più semplice di quanto sembri.»

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