ESPLODE FAHRENHEIT, VINCENDO ADDIRITTURA FUORI CASA

28.06.04 - Al di là delle più rosee previsioni dello stesso Michael Moore, il suo film-documentario anti-Bush ha portato a casa nel week-end di apertura ben 21 milioni di dollari, battendo tutti i grossi film commerciali in programmazione (che contano su un numero di sale dieci volte superiore), e strapazzando qualunque record precedente dei documentari stessi. (Il suo Bowling for Columbine, Oscar dell’anno scorso, deteneva già il record di incassi assoluto, con 21 milioni di dollari complessivi). Ma la cosa più sorprendente – e forse l’elemento che potrà fare davvero la differenza, ora di Novembre - è che il documentario non è stato affatto ignorato dai sostenitori di Bush, come invece prevedevano tutti i “santoni” della comunicazione. Mentre alla Casa Bianca ci si consolava dicendo “in fondo, lo andranno a vedere solo quelli che tanto già votano per Kerry”, il botteghino ha registrato il tutto esaurito addrittura ... ...  in tante piccole città la cui attività ruota quasi esclusivamente sulla presenza di una base dell’esercito americano. Non certo il posto ideale per andare a distribuire volantini sul marxismo, tanto per capirci. Tra queste, spicca in particolar modo Fayetteville, la cittadina del Nord Carolina dove sorge Fort Bragg, la stessa base n.1 dei Marines di tutta America. Un pò come se a Livorno sfondasse al botteghino un film contro l’aviazione militare italiana.

Le buone notizie sono cominciate ad arrivare per Moore (e per la Miramax/ Lion’s Gate) quando i due cinema del Lincoln Center di New York, che programmavano il film, hanno fatto registrare lunghissime code fin dalla prima proiezione del venerdì pomeriggio.

A queste si aggiungevano man mano la notizia di una standing ovation a Greensboro, nel New Jersey, e poi di record di ogni tipo battuti in centri urbani di ogni dimensione, latitudine ed estrazione sociale. Finchè il trend più sorprendente di tutti si è confermato definitivamente: il film faceva regolarmente il pieno anche negli stati più rossi di tutto il MidWest  (curiosamente, in USA rosso è il colore del repubblicano, blu quello del democratico).

A quel punto Moore non ce l’ha più fatta, ed è andato ad infilarsi di nascosto in una sala del Lincoln Center, per godersi da vicino le reazioni del pubblico. Ma qualcuno lo ha subito riconosciuto, e pian piano la voce della sua presenza si è sparsa nella sala. Così tutti hanno cominciato a girarsi verso di lui, finchè qualcuno ha lanciato un timido applauso a fine scena. E a nulla sono valsi, di lì in poi, i ripetuti inviti del regista a tornare a guardare il film: dopo un pò la sala era diventata un vero e proprio stadio, che applaudiva Moore ad ogni punto segnato sullo schermo. Alla fine il regista rischia di passare alla storia come l’unico spettatore che sia dovuto uscire prima della fine del film.

Per fortuna lui l’aveva già visto, e questo - soddisfazione più bella per ogni regista degno di quel nome - molto prima ancora di realizzarlo.

Fahrenheit raddoppierà immediatamente il numero di copie per il prossimo week.-end, e gli stessi distributori hanno osato dichiarare qualcosa che nessuno di solito ad Hollywood si azzarda a dire, nemmeno nella più rosea delle situazioni: “At this point, the sky is the limit”. A questo punto, non c’è più limite. (Il limite è il cielo, sarebbe).

Ma sono sicuro che a molti di noi – ed ancor di più a tantissimi americani - basterebbe che il film riuscisse a convincere quel 3-4% di elettori ancora indecisi che, come ormai pare, determinerà alla fine il risultato di una elezione fra le più importanti di tutta la storia.

(Ma comunque vada a finire, ancora una volta, di cuore, grazie Moore!)

Massimo Mazzucco