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Lo Strano Caso di Jonathan Pollard: Santo o Traditore?


di Simone Colzani

Tradizionalmente presentati all’opinione pubblica come Stati amici, gli USA ed Israele in realtà rappresentano l’esemplificazione dell’antico adagio "l’apparenza inganna": diverse volte, infatti, i due Stati sono venuti ai ferri corti per questioni legate al torbido mondo dello spionaggio. Uno dei sintomi più evidenti di una relazione talvolta ambigua e problematica è rappresentato dal caso Pollard: per capirne appieno le implicazioni, tracciamo un breve profilo del soggetto in questione.

La vita

Jonathan Jay Pollard è nato il 7 agosto del 1954. Nonostante diversi anni spesi in varie facoltà universitarie, non ha mai conseguito alcuna laurea. Già a 23 anni, tuttavia, manifestò il suo interesse verso il mondo dell’intelligence, facendo richiesta di arruolamento alla CIA, la quale però respinse la domanda, non essendo stati superati dubbi relativi sia all’esame del poligrafo sia alla vita del candidato (problemi psicologici e di droga, tradizionalmente visti molto male nel mondo delle spie).

Nel 1979, cioè solo due anni dopo, Pollard riuscì ad entrare nei servizi segreti della Marina degli Stati Uniti (l’Office of Naval Intelligence della US Navy (1)): l’ONI non solo non era a conoscenza della precedente bocciatura del nostro, ma dopo solo due anni dal suo ingresso, lo promosse ad analista di buon livello, consentendogli l’accesso a documenti segreti. Tale accesso fu poi sospeso in seguito ad un esame poligrafico, che dette risultati dubbi: in conseguenza di ciò, i suoi diretti superiori gli fecero avere assistenza psichiatrica.

Successivamente, dopo un rimpasto ai vertici dell’ONI, Pollard venne trasferito ad un’altra divisione d’intelligence, ove i responsabili, non conoscendone i significativi precedenti, gli concessero una più alta clearance. JP, a soli 30 anni, godendo di un’autorizzazione GS-12, poteva quindi prendere e trasportare materiale top secret: grazie a questo "gentile regalo", Israele poté beneficiare di migliaia di pagine di documenti segretissimi provenienti dagli archivi USA. La "pacchia" finì a Washington, nel 1985, quando JP, trovò, al posto del solito contatto, un agente del FBI pronto ad arrestarlo. Ne conseguì una fuga verso l’Ambasciata di Israele, la quale respinse il fuggiasco, consegnandolo di fatto, nelle mani della giustizia a stelle e strisce. Nel 1987, al termine di un procedimento giudiziario definito "pilotato" da molti osservatori, venne comminata a JP la pena dell’ergastolo, senza possibilità di condoni o amnistie.

Questo il profilo ufficiale, che ognuno può trovare in Internet (2). A questo punto, bisogna approfondire il discorso, elencando sia gli argomenti a favore che contro Pollard, in modo da raggiungere una prima valutazione, visto che, come già accennato, l’operato del tribunale non fu esente da sospetti di parzialità.

Gli strani rapporti Israele-USA

Primo punto: Jonathan Pollard, di religione ebraica, era di famiglia totalmente americana, nato e cresciuto all’ombra dello Zio Sam: non era assolutamente cittadino israeliano e ne è prova il fatto che venne messo alla porta dell’Ambasciata d’Israele nel 1985.

Sicuramente JP non spiò per denaro, visto che, per il suo pluriennale e produttivo "dopolavoro", venne ricompensato con l’irrisoria somma di 50.000 dollari: le sue ragioni, quindi, sembrano essere ideologiche, come provato dal poligrafo degli inquirenti; JP era infatti a conoscenza della convenzione firmata da USA e Israele nel 1983, che importava reciprocità per le informazioni considerate "sensibili" per gli interessi dei due Stati. JP, dunque, si imbatté, nel corso del suo lavoro, in documenti ed immagini, rientranti nell’accordo, ma non inviati ai competenti enti israeliani d’intelligence. Di questa omissione, provò ad avvertire i suoi superiori, ma con scarsi risultati; allora, di fronte alle evidenze delle attività di Paesi notoriamente ostili ad Israele come Libia, Libano, Siria, Iraq e Iran, JP pensò di contattare il Mossad.

Aviem Sela, un alto ufficiale dell'aviazione israeliana in missione di studio negli Stati Uniti, convinse JP a trasmettere le informazioni "top secret" a Israele, con il nome di copertura di agente "Cactus".

A questo punto, c’è da chiedersi (forse un po’ retoricamente) perché Israele sfruttò un cittadino straniero (gli USA) per compiere un’operazione di spionaggio a detrimento dell’unico vero Paese amico a disposizione. Passi il singolo gruppo di documenti rinvenuti casualmente da Pollard, ma come giustificare le migliaia di pagine passate all’alleato "principe" in Medio Oriente? C’era forse una guida che consentiva a JP il colpo sicuro fra i milioni di dati in possesso della US Navy? E’ logico, a questo punto, dedurre l’appartenenza di JP, nonostante le smentite del suo sito ufficiale, ad una più estesa rete spionistica israeliana?

E’ un’ipotesi sensata, alla luce dei casi accaduti all’indomani dell’11 settembre 2001, quando, nel segreto più totale, decine di cittadini israeliani negli USA (per lavoro o studio) vennero fermati e presumibilmente espulsi per attività spionistiche. D’altro canto, negli stessi USA, esiste una potente lobby sionistica (l’AIPAC), legata a doppio filo ad Israele (conosciamo bene le influenze delle lobby nel sistema politico americano), e contrastata (non con molto successo, sembra) da un lobby petrolifera legata ai Paesi arabi. Gli eventi relativi all’11/09 hanno dato una poderosa spinta alle relazioni israelo - americane, relazioni comunque non viste di buon occhio da molti ebrei.

Considerazioni sulla fedeltà degli Ebrei

Le implicazioni del caso Pollard sono estremamente gravi: secondo Balfour Zapler (scrittore israeliano) "si mette a repentaglio la vera e propria esistenza delle comunità ebraiche nel mondo, dove, alla luce delle dichiarazioni delle autorità israeliane (il governo Netanyahu, nel 1998, ha dichiarato JP proprio agente bona fide, consegnandogli una carta d’identità con la Stella di Davide ndr) l'ebreo verrà visto come uno "straniero" e non potrà quindi accedere a nessun posto "sensitivo" o di responsabilità - sia civile che militare - nel Paese in cui vive e che, per sua libera scelta, considera la sua Patria". Avranno buon gioco, aggiungo io, gli antisemiti che sventoleranno l’impossibilità di una doppia lealtà, come nel caso degli ebrei iraniani processati pochi anni fa per tradimento.

D’altro canto, pure in Israele si scontrano diverse concezioni d’ebraismo che si riflettono sul giudizio umano e politico del caso Pollard. Diversi osservatori, di tendenza spiccatamente sionistica, hanno comparato questo caso a quello di Eli Cohen, la spia israeliana catturata ed impiccata a Damasco. Il paragone, a mio parere, è impresentabile, visto che Eli Cohen, israeliano di ascendenza orientale e residente in Israele con moglie e figli, fu inviato in Siria (Paese in stato di guerra con Israele) a studiarne le strategie e gli armamenti destinati a combattere Israele (con l'intenzione di eliminarlo). Eli Cohen ha quindi sacrificato la propria vita per la difesa della propria Patria.

Balfour Zapler, concludendo la sua analisi, non è d’accordo con i sostenitori di Pollard in terra d’Israele: secondo lui "chiamare "patriota" un cittadino americano che - solo per il fatto di essere di religione ebraica – rubi segreti militari del proprio Paese e li consegni ad un governo straniero di un altro Paese, solo perché questo Paese è composto dalla maggioranza di cittadini di religione ebraica, sembra un tantino eccessivo".

Perché una condanna all’ergastolo?

Perché Pollard è finito condannato ad una pena detentiva maggiore di qualsiasi altro condannato per lo stesso reato (considerando le grazie che prima o poi verranno concesse anche a Aldrich Ames e Jon Hanssen, spie per denaro)? Su proposta del FBI (il quale, tra i vari misteri del caso, non spiegò mai come fece a conoscere l’opera di spionaggio di JP, e con pieno consenso dei suoi avvocati Pollard rinunciò al sacrosanto diritto al processo, e promise, in cambio di una sentenza mite, un racconto dettagliato della sua attività,. L’accordo non specificava quanti anni sarebbero stati inflitti a JP, ovviamente, ma si sapeva che in casi ben più gravi, quando le spie avevano passato informazioni a un nemico vero, si erano prese dai cinque ai dieci anni, nei casi più sfortunati: evidentemente era passato il tempo dei coniugi Rosenberg e del maccartismo.

Ma non fu così, Jonathan Pollard si prese l’ergastolo. Da scontare in una prigione sotterranea, in North Carolina.

La ragione ufficiale fu che l’opera di spionaggio di JP aveva scoperto la rete sovietica della CIA, poiché le talpe del KGB nel Mossad avevano avuto accesso ai documenti della US Navy. Caspar Weinberger, Segretario di Stato in quegli anni, lo definì "il peggior tradimento della Storia americana" e successivamente, basandosi su queste asserzioni, ben sette Ministri della Difesa (di cui diversi ebrei) hanno respinto le richieste di grazia avanzate da JP.

Queste motivazioni, tuttavia erano menzognere: 16 anni dopo la sua condanna, le prime verità sono iniziate ad emergere.

Vladmir Karyoshkov, ex capo del KGB, ha contestato le conclusioni di Weinberger, affermando che le morti della rete CIA in URSS erano dovute alle soffiate di Aldrich Ames e non a dossier israeliani, visto anche che Pollard non poteva avere quei dati a sua disposizione. Evidentemente negli anni ’80, serviva un capro espiatorio per gli insuccessi spionistici americani.

Il vero colpo di scena, tuttavia, è arrivato ancora più recentemente, quando, grazie al Freedom Of Information Act, è emersa una nota, ricevuta la sera prima della sentenza dal giudice incaricato, firmata (guarda caso!) da Caspar Weinberger. 48 pagine, che, nella versione stralciata (cioè pesantemente censurata), dipingevano Pollard come "la peggior spia che l'America abbia mai avuto", e che probabilmente avevano convinto il magistrato a dare il massimo della pena, tradendo il "patto di clemenza", ossia quel "plea bargaining" che costituisce uno dei capisaldi del sistema giudiziario USA.

Qualche anno dopo, due personaggi di estrazione diversissima, e cioè il famoso avvocato Alan Dershowitz, ebreo liberal, e Angelo Codevilla, cristiano conservatore, si allearono nella stesura comune di un libro in cui si denunciavano apertamente l'illegalità e l’inganno dell’operato governativo, che aveva imposto una sentenza palesemente persecutoria.

Nel libro si offriva, tra l'altro, prova inconfutabile di come Pollard non abbia mai potuto nemmeno avere accesso, in realtà, alla famosa lista di agenti segreti, smontando la tesi del tradimento, e, rifacendosi alla costituzione, che designa "traditore" esclusivamente chi "favorisca un paese nemico."

La conclusione a cui giunsero i due autori, fu che la scottatura da parte di Weinberger e della CIA, e la "lezione" che essi avrebbero voluto impartire ad Israele, hanno indotto tutti i politici a negare qualsivoglia provvedimento di clemenza nei confronti di JP: nemmeno Bill Clinton, durante il suo imprevisto interregno di 8 anni, è stato in grado di accontentare Netanyahu prima, e Barak in seguito, quando ripetutamente gli chiedevano di liberare Pollard, o almeno di commutargli l'ergastolo (di cui ben sette anni in isolamento!) in un pena più mite.

C’è dell’altro, comunque: ad indispettire Weinberger, a parere di Codevilla, fu che l'impianto chimico al centro della diatriba iniziale (il casus belli che spinse JP nelle braccia del Mossad) era stato costruito dalla Bechtel, società americana molto vicina sia al Segretario della difesa, Schultz, che allo stesso Weinberger.

A detta di alcuni "privilegiati", potrebbe esserci dietro qualcosa di più (un rebus irrisolto legato alla già citata rete spionistica israeliana?), ma qui, si entrerebbe nel regno delle pure ipotesi, senza un riscontro concreto. L’unica cosa quasi certa è il sospetto che Weinberger abbia usato Pollard come provvidenziale capro espiatorio della debacle CIA a Mosca, quando ancora non si sapeva che l’inafferrabile talpa comunista era proprio Aldrich Ames, ovvero il capo stesso dell'ufficio CIA di Mosca preposto alla ricerca della medesima talpa.

Peccato che una volta scoperto il tradimento di Ames, nessuno si sia più ricordato dell’ex GS-12 Pollard. Solo Theodore B. Olson, ex-procuratore federale USA e ora impegnato nel collegio difensivo di JP, ha perorato la causa del suo assistito, ma con ben scarsi esiti (3). Nel frattempo Caspar Weinberger si è ritirato dalla scena, con pensione e perdono presidenziali (i contribuenti americani possono ringraziare il solito Clinton) e Israele (nella persona di Ralph Naveh) ha finalmente concesso a Pollard la tanto agognata cittadinanza e ha tentato tardivamente di indennizzarlo, aprendo un vero e proprio problema diplomatico ufficiale. Se Pollard venisse scarcerato, la lobby sionista avrebbe un considerevole successo, attirandosi diverse antipatie, oltre a quelle già esistenti (d'altronde, che Wolfowitz, Rumsfeld, Perle ed una dozzina di nomi al top dell'amministrazione siano o ebraici, o comunque collegati a forti gruppi di potere ebraico, non è un segreto per nessuno).

Quale fine?

Al di là delle ipotesi, ciò che oggi è certo è che Pollard, per spionaggio a favore di un Paese "amico" (attività sinceramente discutibile, ma vertente su oggetti rientranti in Protocolli bilaterali USA-Israele), abbia già scontato ben 16 anni di prigione, una pena francamente spropositata, secondo gli standard democratici americani. Pertanto, ritengo che in questo caso una decisione di grazia presidenziale non solo sia accettabile, ma persino auspicabile. D’altronde siamo noi la Democrazia, o no?

 

Note

  1. Lo US Navy ONI è finito nell’occhio del ciclone anche per il caso Mike Vreeland, tenente che ha dimostrato la sua conoscenza degli attentati del 11/09/2001, prima che questi avvenissero.
  2. Balfour Zapler, La Doppia Lealtà degli Ebrei nella Diaspora – Riflessioni sul caso Pollard
  3. http://www.shalom.it/8.00/D.htm

  4. La moglie di questi, Barbara Olsen, era fra i passeggeri del volo 77, che (presumibilmente) si schiantò sul Pentagono. Un avvertimento trasversale per il marito?