[b]OMICIDIO KENNEDY 40 anni dopo. Qualcosa nei media è cambiato[/b][img align=right]library/JFK-160.jpg[/img] di Massimo Mazzucco 22.11.03. Le pallottole che 40 anni fa uccidevano Kennedy hanno anche ucciso – recita il luogo comune – i sogni di un’intera generazione. Idealista incontaminato, o cinico calcolatore che fosse, Kennedy ha comunque rappresentato una svolta storica, per il mondo, difficile da non riconoscere. Il semplice fatto che sia stato eliminato da un concerto di mandanti e complici che vede in qualche modo coinvolti i falchi della CIA di Allen Dulles, i servizi segreti dello stesso presidente, l’FBI di Edgard Hoover, la mafia di Trafficante, gli esuli cubani in Florida, i razzisti del profondo Sud, i guerrafondai del Pentagono (Vietnam), la dice lunga sull’impatto che Kennedy deve aver avuto su un complesso sistema di potere che ha cercato di riportare sotto il proprio controllo nel breve arco del suo mandato. Kennedy si buttava a testa bassa contro tutto ciò che voleva modificare, e a chi gli consigliava più prudenza rispondeva spesso: “Tanto, da vivo non mi può toccare nessuno. E da morto, chissenefrega!” Fra le due condizioni di salute, però, ci sono state le pallottole di Dallas. Ma il vero delitto, nei rispetti dell’intera nazione e della storia, lo hanno compiuto tutti coloro che, nel mondo dei media, hanno contribuito a supportare la bugia... ...della Commissione Warren, che aveva sbrigativamente stabilito che il colpevole fosse un disperato qualunque, e che la cosa finisse lì. In questi ultimi giorni però, con l’avvicinarsi del 40° anniversario, si è notato che qualcosa di profondo debba essere cambiato nel mondo dell’informazione USA. Nella solita valanga di documentari celebrativi, infatti, si è distinta una nota comune che non poteva certo essere casuale: tutte le voci, indistintamente, dalla più acuta alla più retorica, hanno calcato pesantemente la mano sulla bugia di stato, dandola ormai per scontata, ed hanno spostato l’accento sul danno a lungo termine che viene a soffrire una nazione come l’America, quando la si offenda così brutalmente nei principi stessi su cui è stata fondata: in questo caso, mentendole. (Se mai Bush pagherà per la guerra in Iraq, non sarà per averla fatta ma per aver mentito sulle ragioni, esattamente come Clinton dovette affrontare l’impeachment non per le scappatelle in sè, ma per aver mentito su di esse sotto giuramento). L’Americano medio è paragonabile ad un adolescente che si dibatte fra i principi ideali che l’infanzia ti permette di coltivare, e il compromesso a cui il duro scontro con la realtà ti obbliga a scendere. E a giudicare dal nuovo taglio dei documentari, è parso evidente che questo adolescente abbia superato la fase di incertezza, e inizi ad essere pronto ad accettare la realtà con tutte le sue amare implicazioni. Si è visto per esempio Marina Oswald, una dignitosa sessantenne che nel frattempo ha imparato la lingua - e forse anche qualcos’altro – di questo complicato paese, parlare con distacco non delle colpe dell’assassinio del marito, ma di quelle di chi in seguito ha mentito alla nazione, per coprire la verità. Se è vista l’amante di Oswald, al tempo studentessa di biologia, rivelare con profondo rancore il complesso e subdolo gioco in cui Lee Harvey fu coinvolto dalla CIA, arrivando al punto di credere di partecipare ad un’operazione intesa a sventare un attentato al presidente, mentre il conto alla rovescia delle sue ultime ore era già partito da intere settimane.Si sono visti ex-sceriffi, investigatori, poliziotti, infermieri, agenti di scorta, testimoni oculari (i pochi sopravvissuti alla susseguente morìa da “morti casuali”) lamentare in coro il dolore e la frustrazione con cui hanno vissuto fino ad oggi, terrorizzati dall’idea di venir ammazzati se avessero rivelato ciò che sapevano. La cosa sorprendente è che così, da un giorno all’altro, delle dichiarazioni che sembrava impossibile fare in una normale conversazione, vengano fatte su reti nazionali, senza che nessuno abbia più niente da ridire. E diventa difficile pensare che a tutto ciò non abbia contribuito in qualche misura la recente esperienza dell’Undici Settembre. Anche in quel caso infatti (per chi non accetta la versione ufficiale dei fatti) il pubblico è stato ricoperto da uno strato di menzogne che solo la storia rivelerà in tutto il suo spessore. Ma l’esperienza antica deve aver lasciato il suo segno, ed in qualche modo l’americano medio deve aver sentito che il meccanismo si stava ripetendo, identico, sulla sua pelle. Mentre oggi infatti trovi pochi americani che abbiano capito con chiarezza cosa sia successo a Torri e Pentagono, ne troverai ancora meno che siano apertamente convinti che l’intera gestione Bush della faccenda sia stata limpida e genuina. Le forme oscure che danno corpo al sospetto inconscio ci metteranno forse degli anni a definirsi meglio, ma viene quasi da pensare che chi ha realizzato quei documentari – forse inconsciamente anche lui – abbia voluto dare una mano per accelerare in tutti i modi questo processo di crescita collettiva. Massimo Mazzucco