di Pyter [img align=right]library/pyt1b.jpg[/img]A seguito di una delle rarissime animate discussioni nel forum di LC sono venuto a conoscenza dell'esistenza di un libro pubblicato nel 2008 per le Edizioni Bietti. Il titolo è “Il canto delle gru”, scritto da Sante Anfiboli che, secondo alcuni esperti consulenti del ministero delle belle arti, pare sia uno pseudonimo. Ho cercato in tutti i modi di procurarmelo. Su internet sono reperibili solo alcune parti: l'introduzione, nel quale l'autore fa un lungo elenco di studiosi più o meno eccelsi o famosi, succedutisi nel corso della storia, che in alcune opere mettono in seria discussione la cronologia storica come noi la conosciamo; e poi, se si riesce a fregare il motore di ricerca di google con linguaggio astruso, anche altre piccoli stralci qua e là. Anfiboli (che si pronuncia Anfìboli), nell'introduzione fa una rapida carrellata di questa disomogenea combriccola di studiosi che sostiene queste strane tesi. Dopo averla letta, mi sono ovviamente incuriosito e ho cercato di procurarmi il libro. La ricerca fu vana. Alla fine ho seguito il consiglio di un mio amico esperto di economia, il quale mi ha spiegato la tecnica per venire in possesso di un libro introvabile, tecnica che funziona, nonostante sia antitetica a quella applicata da Dell'Utri per la sua biblioteca personale: l'acquisto. Leggendo il libro ho avuta una sorpresa. In realtà parla di arte; arte rinascimentale. [...] Botticelli, Guercino, Poussin. Non ne parla per fortuna da un punto di vista estetico, che di seghe mentali nei secoli ne sono state fatte già abbastanza. Fa una cosa molto più “semplice”: da non esperto, come lui si definisce, cerca di dare un significato a quadri che non hanno fatto dormire stormi di critici fin dalla notte dei tempi o dal periodo successivo ai tempi della notte, come dicevano i romantici tardi o tardo romantici. Strano, perché a leggerlo, sembra che i critici in questi 500 anni non abbiano fatto altro che dormire, o forse erano solo distratti dalle Veneri, che a volte, bisogna dirlo, si manifestavano un po' troppo scollacciate. I quadri in questione esaminati sono: la [i]Primavera [/i]del Botticelli; [i]Et in Arcadia Ego e Apollo che scortica Marsia [/i]del Guercino; i [i]Pastori di Arcadia I e II,[/i] di Poussin. Roba da poco, insomma. Sulle interpretazioni che sono state date nei secoli della Primavera di Botticelli è meglio non soffermarsi perché la vita è una sola. Sui quadri di Guercino e di Poussin è bene ricordare che sono diventati “famosi” grazie al Codice da Vinci di Dan Brown, che a sua volta ha attinto ad altre opere letterarie, la più famosa delle quali è “Il Santo Graal” di M. Baigent, R. Leigh e H.Lincoln. In questo libro si sosteneva che Cristo non fosse morto in croce e che fuggito dagli arresti domiciliari su una nave veloce, probabilmente fenicia con scafisti di origine libica, fosse sbarcato nel sud della Francia con la moglie Maria Maddalena, che avesse avuto due figli, uno dei quali morto subito perché non vaccinato, e lì fosse poi morto veramente e che i misteri della sua tomba ruotassero intorno agli ancora più misteriosi tesori di Rennes Le Chateau. La sorpresa di cui parlo è che l'autore del libro dà un'interpretazione plausibile di queste opere d'arte. Non so se le persone che stanno leggendo si rendano conto del fatto che dell'opera del Botticelli nessuno fino a oggi abbia data un'interpretazione [i]compiuta e coerente[/i] che rendesse conto del significato di tutte le figure e le relative implicazioni filosofiche in essa insite. Sante Anfiboli l'ha data. E qui viene un'altra domanda spontanea: possibile che in sette anni (il libro è uscito nel 2008) nessuno abbia presa in seria considerazione questa interpretazione? Alla fine sono arrivato a questa conclusione: Giorgio Vasari è morto; Carlo Giulio Argan è morto, e anche Federico Zeri. Achille Bonito Oliva parla solo di arte futuristica, post avanguardista applicata alla teoria delle stringhe. Resta solo Vittorio Sgarbi. In conclusione, allora forse è meglio che queste cose restino tra noi. Tutti i libri di Storia dell'arte in circolazione, siano essi testi scolastici che tomi per esperti, ci dicono unanimemente una cosa: la Primavera del Botticelli rimane un'opera non completamente compresa. Ancora oggi essa mette domande e fa sorgere dilemmi tra gli appassionati e tra gli studiosi. Nella versione più ricorrente, la spiegazione è questa: esso sarebbe la rappresentazione del mondo che ruota intorno a Venere, al centro del dipinto, mentre ai due lati ci stanno altre figure mitologiche. Partendo da destra verso sinistra, esse sono: Zefiro innamorato che insegue e tenta di abbracciare Chloris; quest'ultima grazie alla sua “azione” di nozze si trasforma in Flora, acquistando così il potere di far fiorire le piante, cioè la Primavera, una bionda ragazza con la veste piena di fiori. A sinistra ci sono le tre grazie e Mercurio nell'atto di sollevare il caduceo. Sulla testa di Venere, c'è cupido che scocca la classica freccia. Alla luce di questo, i critici ne concludono che in base ai motivi di poesia che andavano tanto di moda nel Rinascimento, non si può che essere davanti a una: [i]“...esaltazione di un mondo ideale nel quale la bellezza (cioè Venere) trionfa allorché la natura istintiva e sensuale (simboleggiata dall'approccio amoroso tra Zefiro e Flora) si accompagna alla Civiltà e alla Ragione, rispettivamente simboleggiate dalle Grazie e da Mercurio.” [/i][1] In parole povere Botticelli, tenendo presente le ideologie che andavano per la maggiore in quel periodo fiorentino, rappresentate da Marsilio Ficino e, nel caso del dipinto, probabilmente ispirato dai versi del Poliziano, avrebbe tradotto in [i]“immagini la teoria neoplatonica dello spirito che deve liberarsi della materia per raggiungere il Creatore. Lo spirito si libera attraverso la Bellezza, che non sarebbe che la via per raggiungere l'Amore, di cui Venere è il simbolo, il principio regolatore del Mondo”.[/i] [img]library/pyt2.jpg[/img] La scena è indiscutibilmente quella esposta dal poeta Esiodo nel libro V dei Fasti e non viene messa in discussione da nessuno. I versi vanno dal 195 al 212: [i]Ora chiamata Flora, ero in realtà Clori: la lettera greca del mio nome fu guastata dalla pronuncia latina. Ero Clori, ninfa dei campi felici dove hai udito che in passato ebbero la loro dimora uomini fortunati. Dire quale sia stata la mia bellezza, sarebbe sconveniente alla mia modestia: ma fu essa a trovare come genero per mia madre un dio. Era primavera, vagavo; Zefiro mi vide, cercai di allontanarmi; m'insegue, fuggo; ma egli fu più veloce. E Borea, che aveva osato rapire la preda dalla casa di Eretteo, aveva dato al fratello piena licenza di rapina. Tuttavia fa ammenda della violenza col darmi il nome di sposa, e nel nostro letto non ho mai dovuto lamentarmi. Godo d'un eterna primavera; è sempre splendidio l'anno, gli alveri hanno sempre le fronde e sempre ha pascoli il suolo. Possiedo un fiorente giardino nei campi dotali, l'aria lo accarezza, lo irriga una fonte di limpida acqua: il mio sposo lo ha riempito di copiose corolle, e ha detto: “Abbi tu, o dea, piena signoria dei fiori.”[/i] [img]library/pyt3b.jpg[/img] Questa descrizione di Ovidio combacia in modo perfetto con le tre figure a destra: Zefiro, il vento primaverile, Chloris, la rinascita del verde sempre in primavera, e Flora, i fiori che si schiudono e sbocciano dopo la parte verde. Anche per quanto riguarda il numero altissimo di fiori dipinti sia su Flora che intorno (circa 500, di cui ne sono state identificate solo 150 circa), sui quali i critici hanno visto quantità assai elevate di simbologie e significati vari, viene spiegata dall'autore con le due righe dei fasti successive a quelle sopra, cioè il verso 213-214. [i]Spesso io volli contare le loro specie, ma non vi riuscii: il loro numero superava il conteggio.[/i] Botticelli avrebbe inteso rappresentare tutte le specie floreali possibili, e molte di esse se le sarebbe pure inventate proprio per sottolineare il fatto che le specie di Flora vadano al di là di qualsiasi considerazione razionale. [img align=left]library/pyt4b.jpg[/img]Il problema principale dell'interpretazione del quadro è la figura centrale, identificata con Venere. Questa interpretazione fa nascere alcune perplessità, legate proprio alla sua unità formale, l'unità semantica che qualsiasi opera del periodo di riferimento doveva avere di base. Se quindi si dà per scontato che la figura al centro sia Venere, l'unità formale è difficile da trovare. Nel passo di Ovidio infatti non c'è nessun riferimento a Venere, per cui sorge spontanea la domanda: da dove arriva questa idea? L'artefice di questa interpretazione è solo uno, il Vasari: [i]“Venere che le Grazie la fioriscono, dinotando la Primavera.”[/i] Tutto si basa su di lui e sulla sua autorità. Di cose strane Vasari ne dice nel suo libro, non solo su Botticelli, a cui attribuisce quadri non suoi e addirittura in certi passi lo confonde con il fratello. La controanalisi parte da una considerazione: la figura al centro è incinta. E' vero che nel periodo rinascimentale le donne venivano dipinte con il ventre un sempre po' sopra le righe, ma in questo caso c'è da dire che la presenza della veste invece di attenuare amplifica l'effetto non lasciando nessun tipo di dubbio. Il dipinto è praticamente diviso in due parti, con l'eccezione della figura di Mercurio, l'unico che pare restare fuori posto e che impedisce che vi sia una perfetta simmetria. L'interpretazione semantica tradizionale impone questo schema divisiorio tra le figure: 1 – 3 – 2 || 3 mentre quella proposta dall'autore è 1 || 3 – 2 – 3. Partendo ora da questo, e poi dai soli dati certi, cioè l'interpretazione delle tre figure a destra, Zefiro, Chloris e Flora, qualsiasi sviluppo riferito al resto del dipinto e al legame con le altre figure nulla si sa: cioè non esiste a tutt'oggi un discorso coerente che dia un'interpretazione compiuta di tutti i personaggi legandoli tra loro con nessi interpretativi logici. Anfiboli invece sostiene che basterebbe continuare a leggere Ovidio, ai versi 219-220: [i]E subito giungono le Cariti,e intrecciano ghirlande e serti destinati a cingere le loro celesti chiome.[/i] Sono ovviamente le tre Grazie, che fanno da contrappeso a Zefiro, Chloris e Flora. La parte più interessante viene però dai versi 229 al 256: [i]Persino Marte, se lo ignori, fu generato per opera mia: ma prego che Giove non lo sappia, come non lo seppe finora. La sacra Giunone, essendo nata Minerva priva di madre, si dolse che Giove non avesse avuto bisogno di lei. E andava per lamentarsi con Oceanodell'azione dello sposo; affaticata dal cammino si fermò sotto la nostra soglia. Appena la vidi, dissi: “O Saturnia, che cosa ti ha spinta fin qui? Essa mi espone verso qual luogo si dirige, e aggiunse il motivo.Io cercavo di consolarla con parole amiche. “Il mio affanno” dice, “non si può consolare con parole. Se Giove è diventato padre senza congiungersi con la sposa, e da solo si è appropriato del nome dell'uno e dell'altra, perché io devo disperare di essere madre senza marito, e di partorire restando casta, senza virile contatto? Proverò tutte le misure esistenti sulla vasta terra, a costo di esplorare fin i mari e gli abissidel Tartaro.” Ero sul punto di parlare; ma avevo il volto di chi esita. Mi disse: “Non so cosa, o ninfa, ma mi sembra che tu possa qualcosa.” Tre volte volli prometterle aiuto, ma tre volte la lingua si arrestò: l'ira di Giove era la grande ragione del mio timore. Disse: “Aiutami, ti prego: il soccorritore rimarrà segreto, e mi sarà testimone il dio della palude stigia”. “Ciò che chiedi” risposi, “lo darà un fiore che mi giunge dai campi olenii; esso è unico nei miei giardini; chi me lo ha dato disse: 'Se tocchi con esso una giovenca sterile, diverrà madre': la toccai e senza indugio diventò madre.” Subito con il pollice colsi il fiore ben radicato; con esso tocco Giunone, ed ella nel grembo toccato concepisce.[/i] [img align=left]library/pyt5b.jpg[/img]Alla luce di questi versi, potrebbe apparire chiaro che la donna al centro possa essere Giunone, resa incinta per opera di Flora. Tutti gli indizi presenti nel dipinto conducono a lei: l'aspetto pacato e calmo, i Matronalia a lei dedicati per festeggiare il risvegliarsi della natura, che si tenevano a Marzo, alle calende; è incinta di Marte, a cui è dedicato il mese di Marzo; l'aranceto sullo sfondo, la dote al matrimonio con Giove era un'arancia; il giglio ai piedi di Chloris, nato da una goccia di latte caduto dal petto di Giunone; il mirto, unica pianta che potrebbe essere associata a Venere, lo è anche per Giunone in quanto veniva sempre portato nei matrimoni di cui lei era dea protettrice. La presenza dell'alloro è un omaggio al committente del quadro, Lorenzo di Pierfrancesco De Madici (l'alloro è presente nello stemma della casata), e poi perché esso è sinonimo di vittoria trionfale, che è quello del conncepimento di Marte. Le tre Grazie sono Auxò, Tallò e Carpò, menzionate sempre da Ovidio e evocano la crescia, il germogliare delle piante, e i frutti. E' evidente che esse ripetono nella parte sinistra lo stesso ruolo che le altre tre figure fanno a destra. Giunone concepisce rimanendo casta. In questo senso Botticelli introduce la figura di Cupido, che rivolge la freccia verso Tallò, (Veriditas) la Grazia vergine che rappresenta la castità. La parte sinistra quindi, in definitiva, non è altro che la spiegazione per così dire spirituale della parte destra. Per capire appieno è utile considerare ora la figura di Mercurio, anch'esso assente in Ovidio, ma come Cupido, introdotto da Botticelli (sempre nell'interpretazione, forse, del Poliziano) non senza ragione: in primis, egli era scorta e duce delle Grazie. La presenza della spada rafforza l'idea del concepimento di Marte da parte di Giunone. Un altro elemento importante è l'elmo, che stranamente Mercurio porta in vece del solito petaso. E' l'elmo di Ade, che rende invisibile chi lo porta. Nelle intenzioni del pittore quindi egli ci sta facendo vedere qualcosa che è invisibile. Mercurio tende il caduceo verso il cielo e sembra toccarne un nembo. Ha una tunica rossa, con fiammelle dorate: è l'allegoria del fuoco celeste o spiritus mundi (mercurio celeste o spirituale), cioè quella cosa che a quei tempi si pensava circolasse tra terra aria e cielo. Così ne dice Marsilio Ficino: [i]"Esso è un corpo sottilissimo, quasi non corpo e già anima, o quasi non anima e già corpo. La sua capacità contiene pochissima natura terrena un po' di quella acquea, ancor più di quella aerea, ma soprattutto moltissima di quella del fuoco delle stelle (…). Esso vivifica tutto e ovunque ed è il responsabile prossimo di ogni generazione o mutamento." [/i] Praticamente era questo spirito invisibile il responsabile del rinnovamento ciclico della natura. (La scritta I.N.R.I. nell'interpretazione comune di [i]Iesus Nazarenum Rex Iudaeorum [/i]veniva resa dal punto di vista della filosofia naturalistica in [i]Igne Natura Renovatur Integra). [/i] Riassumendo: il dipinto è diviso in due parti: a destra l'immanenza, le manifestazioni visibili; a sinistra, le cause invisibili, ma reali. In questo senso non è un caso che Mercurio dia le spalle al resto della composizione e che la Grazia Tallò guardi Mercurio, così come Chloris guarda Zefiro. Da una parte la causa apparente, dall'altra quella occulta. E' abbastanza significativo che la Grazia che rappresenta la castità guardi Mercurio, proprio perché riconosce in lui la causa invisibile del concepimento di Giunone. [img]library/pyt7b.jpg[/img] Per spiegare meglio Mercurio e quindi lo spiritus mundi l'autore cita un brano dal saggio [i]Les logoispermatikoi et le conceptde semence dans la mineralogie et la cosmogonie de Paracelse[/i] di Hiro Hirai: [i]In questo trattato (De vita coelitus comparanda) egli (Ficino) ha ampiamente applicato il principio seminale alla sua cosmologia. Secondo lui, il mondo è ovunque provvisto di regioni seminali, della virtù generatrice dell'anima del mondo vegetativa. In questo modo, la natura contiene in sé altrettante semenze di cose. […] Ma ciò che è soprattutto significativoper il nostro punto di vista è che Ficino avanza ovunque nei suoi scritti l'idea dell'onnipotenza delle semenze invisibili e spirituali della natura. Occorre ricordare che nel De vita coelitus comparanda Ficino spiega anche la sua celebre teoria dello spiritus mundi che otterrà un successo immenso nel sedicesimo secolo. E' a questo spirito universale del mondo che egli attribuisce una “virtù seminaria” derivata dalle ragioni seminali dell'anima del mondo attraverso i cieli e le loro costellazioni. Secondo Ficino, colui che conosce cose 'spiritose', cioè ricche di spiritus, che profumano, brillano o sono calde, può beneficiare dei doni del cielo attraverso le ragioni seminali, coordinatrici delle idee della divina Intelligenza. Così, egli avanza la possibilità di catturare e quindi manipolare, le virtù seminarie veicolate dallo spiritus che è anche racchiuso nelle cose naturali. Egli si basa notoriamente sull'idea di quintessenza, emanante dalla tradizione dell'alchimia pseudo-lulliana del basso medioevo.[/i] Per capire anche che aria strana tirava in quegli ambienti neo platonici rinascimentali l'autore cita anche una lettera di Michelangelo a Vittoria Colonna, del 1538: [i]I principi preferirebbero vedere Ercole che brucia sulla pira funebre invece di San Lorenzo che arrostisce sulla graticola, e alla vista dell'apostolo scorticato preferirebbero quella di 'Marsia senza pelle'.[/i] Conclusione dell'autore: ai tempi dell'accademia fiorentina ci fu il tentativo di fondere mitologie pagane e leggende cristiane, una tendenza che viene fatta iniziare proprio con Marsilio Ficino. Secondo opinioni espresse anche da altri studiosi, così come fu operata la cristianizzazione della magia, così in seguito si tentò la magicizzazione del cristianesimo [2]. Tutto questo, in Ficino, parte dall'idea della Prisca filosofia, in base alla quale pensava che tutto fosse partito da un'idea originaria, una rivelazione primordiale, tramandata e veicolata dalle culture umane e che per questo appariva diversa a seconda dei luoghi in cui la filosofia si sviluppava. La Primavera del Botticelli espressa attraverso la favola di Giunone non è altro che l'anticipazione del concepimento di Cristo tramite l'Annunciazione da parte della Madonna Vergine e dello Spirito Santo. Maria è Giunone, Cristo è Marte, Cupido la colomba dello spirito santo e l'annunciatore Flora. Oltretutto, ci sarebbero anche tutti i presupposti per leggere l'opera in tutti i quattro sensi stabiliti da Dante: il senso letterale, allegorico, morale e anagogico. Dopo questa piccola analisi una mente semplice come la mia non può esimersi dal fare alcune considerazioni, scaturite da altrettante domande. Intanto, così di primo acchito, mi è venuto in mente Fred Hoyle, lo scienziato inglese famoso per la sua teoria secondo la quale la vita sulla Terra sia arrivata dallo spazio, e in particolar modo dalle comete. A me appare evidente la trasposizione in chiave scientifico- moderna dell'idea ficiniana dell'inseminazione spirituale. Di questa similitudine di radice di pensiero è ormai completamente permeata la scienza contemporanea, con mesoni, bottoni e squadroni, particelle invisibili, più o meno di Dio, che sembrano oggi ricalcare paro paro la filosofia spiritual naturalistica di Ficino, con la differenza però che Ficino vicino a uno scienziato moderno ci fa la sua porca figura. Il Canto delle gru prosegue con l'analisi di altri dipinti: Et in arcadia Ego e Apollo che scortica Marsia del Guercino, I pastori di Arcadia I e II di Poussin. Analisi anch'esse condivisibili che parrebbero dare un colpo decisivo alle improponibili teorie di Maria Maddalena e Gesù che sbarcano in Provenza e le voci che vorrebbero lì presente (e illustrati nei quadri da Poussin) della tomba di Cristo. Analisi che richiderebbe però molto spazio o articoli a parte, che sicuramente verranno scritti, sulla scia dell'apprezzamento che questo mio piccolo sforzo riscuoterà tra i seppur amatoriali intenditori, di cui il territorio continentale è pieno, almeno a vedere il successo che i musei riscuotono nei periodi in cui i biglietti hanno gli sconti. Pyter [1] Carli-Dell'Acqua – Storia dell'Arte , Istituto Italiano Arti Grafiche, Bergamo, 1975, Vol.2, pag 395 [2] Paolo Aldo Rossi: Marsilio Ficino: dalla cristianizzazione della magia alla magicizzazione del cristianesimo. http://www.airesis.net/giardinomagi_marsilioficino.html