di Giuseppe Turdo

Scrivo le seguenti considerazioni da geologo e da studioso e appassionato di mission lunari, con una certa tendenza a credere al complotto a fasi alterne (v. nota a fine articolo).

Sinteticamente, per chi crede alla versione ufficiale, le rocce raccolte sulla luna costituiscono una delle prove a supporto della veridicità delle missioni Apollo. Per i sostenitori del complotto lunare, sono soltanto pietre raccolte (o fabbricate) sulla terra e spacciate per lunari. Dirimere la questione è difficile; si può tentare di fare una escursus storico dell’evoluzione delle conoscenze acquisite sulle rocce lunari, per cercare di capire da quale parte possa pendere la bilancia: complotto o versione ufficiale.

Sullo studio delle rocce lunari esiste una bibliografia sterminata, con tanto di analisi mineralogiche e chimiche. Tra l’altro, alcuni campioni sono stati studiati da laboratori di tutto il mondo e non solo dai geologi della NASA. Moltissime di queste analisi sono liberamente disponibili su siti internet e su varie pubblicazioni. Alle rocce raccolte durante le missioni Apollo (circa 380 Kg) vanno aggiunti alcune centinaia di grammi raccolti dalle sonde sovietiche e anche i campioni analizzati in situ dalle sonde Surveyor, Luna e Chang’e’.

Mi permetto subito di dire che, anche ammettendo che i campioni di roccia provengano effettivamente dalla luna, alcuni di essi non sono per niente rappresentativi della composizione originale del nostro satellite e ci dicono poco sulla sua geologia o, addirittura, sulla sua origine.

Questo perchè invece di raccogliere campioni di roccia in situ (cioè roccia inalterata originaria del luogo) gli astronauti (e le sonde automatiche) – come si puo’ riscontrare dai video delle missioni –  si sono spesso limitati a collezionare porzioni di suolo lunare (regolite) e rocce sparse un po’ ovunque, senza sapere se queste appartenessero originariamente al terreno lunare o se fossero frammenti di meteorite (o anche porzioni di roccia lunare stessa scaraventati da impatti avvenuti chissà dove). Una delle regole d’oro del rilevamento geologico è infatti quella di assicurarsi che il campione raccolto appartenga effettivamente alla formazione rocciosa del luogo, avendo cura di evitare pietre che abbiano subito un trasporto. Certo, nel caso di una missione così complessa come quella lunare, qualsiasi campione è meglio di niente, ma non sarebbe la stessa cosa che ottenere la vera roccia inalterata che si trova magari parecchi metri al di sotto della superficie.

Nel caso lunare, gli astronauti, per essere certi di ottenere dei campioni rappresentativi della geologia locale, avrebbero dunque dovuto raccoglierli martellando, ad esempio, la roccia dei rilievi o dei bordi dei crateri. Per motivi di tempo e sicurezza, questo non sempre era possibile ma in alcuni frangenti, specie nelle missioni Apollo 15, 16 e 17, la procedura è stata eseguita correttamente. In realtà, tutti gli astronauti hanno effettuato anche dei carotaggi, nel tentativo di raggiungere materiale roccioso in situ ma per lo più hanno collezionato materiale relativo al suolo lunare. Quindi, per quanto riguarda i campioni, siamo certamente di fronte a un mix di rocce in posto e di “ciottoli” vari di provenienza sconosciuta. In ogni caso, il suolo lunare raccolto viene comunque considerato rappresentativo dei terreni sottostanti.

Premesso dunque che non tutte le rocce lunari raccolte possono essere utili a una comprensione esatta della sua costituzione, vediamo dunque di capire attraverso quali tappe si è arrivati alla catalogazione e comprensione delle rocce lunari. Dato lo scopo divulgativo di questo articolo, cercherò di evitare, per quanto possibile, l’uso di tecnicismi e termini complessi.

VALUTAZIONI AL TELESCOPIO

Le prime valutazioni di un certo spessore scientifico vennero fatte a distanza con l’ausilio di telescopi da diversi scienziati, tra cui Gilbert, Baldwin e Kuiper. Shoemaker e Hackman, nel 1962, pubblicarono uno studio basato sulle strutture morfologiche del nostro satellite in cui ipotizzavano (per comparazione con morfologie simili in ambienti terrestri) che esso potesse essere composto da rocce vulcaniche. I due scienziati produssero anche una colonna stratigrafica della luna, cioè una sequenza temporale di eventi vulcanici dal più antico al più recente, basandosi sul criterio della distribuzione e sovrapposizione dei crateri.

Dall’osservazione dei due autori, si poteva ragionevolmente concludere che le rocce erano probabilmente di natura vulcanica e che alcune (le rocce degli altipiani) sembravano più antiche di altre (le rocce dei mari). In particolare, essi osservarono che i terreni più antichi presentano una maggiore densità di crateri rispetto ai terreni più recenti; questo perché i primi sono stati esposti ai bombardamenti meteorici per un tempo più lungo. Le foto teletrasmesse dalle missioni Rangers nel 1964-65 confermarono le loro ipotesi. Naturalmente, con quei dati non si poteva dire nulla sull’età assoluta delle rocce e nemmeno sulla loro composizione e se ci fosse una qualche differenza fra le rocce dei mari e quelle degli altipiani, ovvero, fra le zone scure e quelle chiare della superficie lunare.

LE PRIME SONDE AUTOMATICHE

Storicamente, le prime analisi sulle rocce lunari vennero effettuate nell’aprile 1966 dalla sonda sovietica Luna 10. Grazie ad uno spettrometro a raggi gamma, la sonda riuscì a raccogliere i primi dati geochimici della superficie lunare. L’analisi dei dati effettuata da Vinogradov et al. (1966) stabilì la presenza abbondante di potassio, torio e uranio in quantità compatibile a quella dei basalti terrestri. Al contempo, l’abbondanza di questi elementi era incompatibile con rocce tipo graniti o peridotiti, o anche meteoriti condritiche.

Dal punto di vista americano, i primi dati reali riguardanti le rocce lunari furono raccolti dalle sonde del programma Surveyor. Ne furono lanciate sette fra il 1966 e il 1968, di cui cinque riuscirono ad atterrare sulla luna con successo. Il loro scopo era quello di raccogliere il maggior numero di informazioni sulle condizioni fisico-chimiche della superficie lunare. In particolare, le sonde dovevano verificare se la polvere lunare fosse abbastanza compatta da consentire l’allunaggio di un modulo lunare e sostenere il peso degli astronauti, senza che vi fosse il rischio di sprofondamento. Questo dato era stato comunque rilevato qualche mese prima dalla sonda sovietica Luna 9, la prima a riuscire ad effettuare un atterraggio morbido sul nostro satellite. I luoghi di atterraggio furono scelti in base alla differenza di terreno – le sonde Surveyor I, III, V e VI si diressero sui mari (le zone scure che si distinguono anche a occhio nudo), mentre Surveyor VII sugli altopiani (le zone più chiare). Le sonde erano anche dotate di telecamere; queste riuscirono a trasmettere migliaia di immagini della superficie lunare con una buona definizione, per l’epoca. Le immagini servivano, tra le altre cose, a fornire dati sulla topografia e la morfologia delle zone in cui gli astronauti sarebbero dovuti atterrare.

Non vi sono motivi fondati per ritenere che queste missioni non siano avvenute o siano state falsificate – quanto meno non sono oggetto di attenzione da parte degli studiosi del complotto; esse quindi possono considerarsi un solido punto di partenza per la discussione sulla questione delle rocce lunari.

E’ proprio durante queste missioni, grazie ad un innovativo sistema di analisi denominato alpha-scattering, che gli scienziati della NASA vengono a conoscenza, fra le altre cose,  delle caratteristiche chimiche delle rocce lunari. Ad esempio, si scopre che gli elementi più abbondanti sono l’ossigeno, il silicio e l’alluminio (proprio come nella crosta terrestre). Inoltre, viene scoperto che i campioni raccolti nei maria contengono il doppio della concentrazione di elementi del gruppo del ferro (dal titanio al rame, nella tavola periodica degli elementi) comparati con quelli raccolti sugli altopiani. Questa differenza viene ritenuta responsabile del differente albedo fra mari e altopiani. L’abbondanza relativa dei principali elementi riscontrati sulla superficie lunare, in congiunzione con i rilevamenti elettromagnetici, fecero ritenere agli scienziati (Turkevich et al., 1969) che le rocce, specialmente quelle analizzate nel mare tranquillitatis, potessero essere simili ai basalti terrestri e ad una particolare categoria di meteoriti chiamate eucriti. Nel grafico sotto, comparazione fra le rocce lunari, i basalti terrestri e le eucriti.



Inoltre, venne però sottolineato che la composizione chimica delle rocce è generalmente diversa, contrariamente a quanto ci si aspettava, da quella delle altre meteoriti cadute sulla terra [1].  Fu inoltre ipotizzato che il suolo lunare possa essere prodotto a seguito della polverizzazione della roccia in posto, causata probabilmente dall’impatto di meteoriti e dal vento solare.

Tabella riassuntiva della composizione chimica (espressa come percentuale in peso) delle rocce analizzate dalle sonde Surveyor [2].
Gault et al [3] hanno cercato di fare delle comparazioni fra le analisi chimiche e la composizione delle principali rocce terrestri (basalti, graniti etc.) e delle meteoriti (condriti, howarditi, etc.) conosciute fino ad allora. La conclusione fu che le uniche rocce che avessero una composizione appena congruente con i dati rilevati sono il gabbro anortositico e il basalto tholeiitico, rocce che (a parte il diverso contenuto in ferro) si possono riscontrare nel mantello terrestre. Furono anche rilevate alcune correlazioni molto vicine alla composizione di alcuni meteoriti, come l’eucrite. La conclusione che si potè fare fu di ipotizzare una composizione mineralogica simile ad un “basalto ricco in ferro” per i campioni analizzati dalle sonde Surveyor V e VI, e ad un “basalto povero in ferro” per i campioni analizzati da Surveyor VII. Viene osservato inoltre che il tipo di roccia riscontrato da Surveyor VII è molto simile a quelle presenti nei complessi intrusivi terrestri di Stillwater, Bushveld e Skaergaard.

Con le sonde automatiche, in grado di analizzare solo pochi grammi di roccia frammentata, non si poteva ottenere molto di più, ma i dati acquisiti erano più che sufficienti per avere un’idea della composizione delle rocce lunari.

ANTARTIDE

A questo punto, nell’estate del 1967, Wernher Von Braun, lo scienziato a capo del progetto Apollo, si reca in Antartide con altri rappresentanti della NASA, ufficialmente per condurre degli studi in un ambiente paricolarmente ostile e isolato e che poteva avvicinarsi a quello che gli astronauti avrebbero potuto trovare nello spazio.

La spedizione viene riportata in un articolo del National Geographic (Ottobre 1968); qui si parla diffusamente dei vari esperimenti che la NASA sta svolgendo ma non si fa cenno al fatto se Von Braun stesse cercando meteoriti lunari o no. L’Antartide, infatti, proprio per la caratteristica di essere ricoperta dai ghiacci, ben si presta a preservare eventuali meteoriti che raggiungono la terra. Molti di questi, infatti, sono soggetti a ogni tipo di weathering e di processo erosivo in dipendenza degli agenti atmosferici dominanti nella regione della terra in cui le meteoriti impattano. Ufficialmente, le prime meteoriti riconosciute come lunari risalgono al 1979 e sono state trovate sulle montagne Yamato, in Antartide.

Naturalmente, questi riconoscimenti sono stati possibili grazie alla comparazione con i campioni lunari raccolti dalle missioni Apollo[4].

Stranamente, nessuna delle meteoriti ‘sconosciute’ trovate precedentemente alle missioni lunari è stata riclassificata come tale.

LE MISSIONI APOLLO

Fra il 1969 e il 1972, ben sei missioni Apollo portano sulla terra un totale di 380 kg di rocce lunari. Queste vengono subito studiate dai laboratori di mezzo mondo. Nella tabella sotto, un sommario delle composizioni medie del suolo lunare analizzato dalle missioni Apollo 11, 12, 14, 15, 16 e 17 e dalle missioni Luna 16, 20 e 24. Come si noterà, le percentuali non sono troppo diverse dalle prime analisi effettuate dalle sonde Luna e Surveyor.


Ricapitolando, senza entrare troppo nel dettaglio delle analisi, le rocce lunari sono rocce di origine vulcanica, molto simili a quelle terrestri. Come era prevedibile, le rocce lunari hanno però alcune caratteristiche geochimiche diverse in dipendenza del fatto che si sono formate in ambiente asciutto, senza atmosfera, sottoposto a vento solare e con bassa gravità. Sotto, una tabella riassuntiva delle maggiori differenze fra i due tipi.

Tabella riassuntiva delle differenze mineralogiche fra terra e luna:


Oltre a queste differenze, le rocce lunari presentano una peculiarità non riscontrabile in rocce terrestri: sono piene di microcrateri dovuti all’impatto con micrometeoriti (granulometria <1mm di diametro). Questi non sono visibili a occhio nudo e si possono osservare solamente al microscopio.

Quanto esposto sopra è sufficiente da costituire un quadro coerente della situazione sulle rocce lunari. Ovvero, le loro caratteristiche concordano con l’ambiente da cui, in teoria, provengono. Inoltre, l’età delle rocce lunari risulta essere molto più antica delle rocce terrestri. Lo studioso che non mette in dubbio la versione ufficiale non avrà nessun problema ad accettare i campioni lunari come veri.

Per i più scettici, o sostenitori della versione complottista, queste caratteristiche non costituiscono invece una prova certa del fatto che le rocce siano state raccolte da uomini che hanno camminato sulla luna. È infatti possibile che alcune di queste possano essere meteoriti, in particolare eucriti, spacciate per rocce lunari. Alcuni presumono che la succitata escursione in Antartide di Von Braun abbia avuto proprio lo scopo di una ricerca di meteoriti che avessero composizione compatibile con i dati raccolti dalle sonde Luna e Surveyor. Inoltre, pur essendo rare, sulla terra è possibile trovare rocce con mineralogia simile a quelle lunari nei complessi del Bushveld (Sudafrica), Skaergaard (Groenlandia) e nello scudo canadese.

Ma a parte eventuali tentativi non provati di possibile sostituzione, è possibile, basandosi sui dati raccolti dalle sonde Surveyor, creare in laboratorio delle rocce a composizione controllabile. Il seguente link mostra alcuni studi in proposito da parte della Syracuse University, con tanto di video


Anche la presenza dei microcrateri può essere spiegata col fatto che essi possono essere stati aggiunti artificialmente in laboratorio. Questi articoli mostrano che questa possibilità esisteva già negli anni settanta.



Personalmente, ritengo che la bilancia possa effettivamente pendere un po’ di più dalla parte della versione ufficiale, ma è anche vero che le ipotesi complottiste non sono da escludere a priori e fanno in modo di mantenere una mente aperta a tutte le possibilità. Voglio comunque riportare due misteri che restano ancora in attesa di una risposta esauriente da parte degli scienziati e che gettano qualche ombra sulla reale provenienza delle rocce lunari.

IL MISTERO DEL MAGNETISMO

Prima della missione Apollo 11 si riteneva che la Luna fosse sempre stato un corpo celeste magneticamente morto; il suo campo attuale è infatti molto debole, quasi nullo – ovvero, se si va in escursione sulla superficie lunare con una bussola, questa non indicherà nè il nord, nè nessun altro punto cardinale. Com’è noto, il campo magnetico terrestre è causato dal movimento circolare (correnti convettive) del materiale fuso presente nel nucleo esterno. Questo movimento agisce come una dinamo e genera di conseguenza un campo magnetico capace di avviluppare la Terra; ma per gli scienziati il nucleo lunare è effettivamente troppo piccolo per potere generare un campo magnetico di forza simile a quello terrestre. Nonostante ciò, le rocce provenienti dalla luna mostrano forti segni di magnetizzazione, fenomeno possibile solo se la lava solidifica in ambiente con un forte campo magnetico, come ad esempio quello terrestre.

La magnetizzazione esibita dalle rocce viene chiamata paleomagnetismo, in quanto verificatosi milioni di anni addietro. Molto sinteticamente, accade che i minerali contenenti ferro e che fluttuano nella lava si orientano lungo le linee di campo magnetico come gli aghi di una bussola. Questo allineamento ha contribuito a provare, fra le altre cose, la tettonica delle placche e l’inversione dei poli magnetici. La magnetizzazione delle rocce contrasta quindi con l’assenza di campo magnetico lunare. Alcuni studiosi hanno cercato di spiegare l’enigma ipotizzando la possibilità dell’esistenza, 4 miliardi di anni fa, di un sistema-dinamo capace di generare un campo magnetico di magnitudine simile a quello che abbiamo oggi sulla terra!

La domanda è dunque: in che modo un campo magnetico di potenza simile a quello terrestre, in disaccordo con quanto sostengono gli scienziati, viene generato da un corpo celeste molto più piccolo della terra? Se le rocce provenissero dalla terra non ci sarebbe bisogno di rispondere a questa domanda.

IL MISTERO DELLA STISHOVITE

Una delle curiosità più sorprendenti nell’analisi delle rocce lunari è la mancanza del minerale stishovite. Si tratta di un polimorfo del quarzo che si forma in condizioni di altissima pressione e temperatura, condizioni che sulla superficie della terra (o della luna) possono verificarsi solo grazie all’impatto (del quarzo) con un meteorite. I polimorfi sono minerali con diversa struttura atomica ma con la stessa formula; nel caso del quarzo, la formula è SiO2 ma a seconda delle condizioni di pressione e temperatura in cui si trova, i suoi atomi possono disporsi in varie configurazioni strutturali, assumendo caratteristiche fisicho-chimiche diverse. La stishovite fu scoperta nel 1962 sul bordo del famoso Meteor Crater in Arizona. Essendo la superficie della luna particolarmente esposta ad eventi meteorici, le rocce avrebbero dovuto contenere sicuramente questa fase del quarzo; le brecce lunari, in paricolare, sono rocce che si sono formate proprio a seguito dell’impatto con un meteorite e sarebbe stato lecito aspettarsi proprio la stishovite fra i tipi di quarzo presenti. Le fasi più comuni riscontrate sono invece quelle di cristobalite e tridimite.


Nel 2015, un team di scienziati giapponesi, utilizzando tecniche analitiche avanzate, è riuscito finalmente a riscontrare un micrograno di stishovite nel campione 15299 raccolto dalla missione Apollo 15.  Considerando la grande quantità di rocce analizzate e soggette a impatto meteorico, ritengo veramente misterioso il fatto che questo minerale non sia mai stato riscontrato prima del 2015. Naturalmente, il fatto che sia stato trovato solo una volta non è particolarmente significativo dal punto di vista scientifico e statistico. Dire che i campioni lunari contengono la stishovite sarebbe come trovare una goccia d’acqua nel deserto e dire che questo abbia una piovosità altissima. La domanda dunque è: come mai un minerale, che dovrebbe essere praticamente ubiquitario in un ambiente costantemente bombardato da meteoriti, non si riscontra praticamente mai in ben 380 kg di rocce provenienti da varie parti della luna?

Se le rocce provenissero dalla terra non ci sarebbe bisogno di rispondere a questa domanda.

Giuseppe Turdo [GIUSTUR]

1 - AA. VV., Surveyor Program Results, NASA, Washington DC, 1969. pp. 16-17
2 - Analisi eseguite dalla sonda Surveyor V, VI e VII e riportati in Levinson and Taylor, Moon Rocks and Minerals: Scientific Results of the Study of the Apollo 11 and Apollo 12, Pergamon, 1971.
3 - AA. VV., Surveyor Program Results, NASA, Washington DC, 1969. p. 351
4 - http://meteorites.wustl.edu/lunar/moon_meteorites_list_alpha.htm#RANGE!C310
5 - http://www.minsocam.org/msa/ammin/toc/2015/Abstracts/AM100P1308.pdf

NOTA DELL'AUTORE: Queste sono le mie considerazioni, pienamente basate sui miei studi e sulle conoscenze acquisite dalla comunità scientifica. Giusto due righe di background: ho 47 anni, una laurea in geologia e conseguito un master in risorse minerarie; sono anche webmaster del sito www.geologialunare.it, dove potete trovare tantissime informazioni, mai tradotte prima in italiano, sulla luna. Il sito ha un’impostazione “scientifica e ufficiale”, inclusa la sezione sul complottismo. Sono sempre stato affascinato dalle imprese lunari e ho patecipato ad alcune convention dove ho conosciuto anche alcuni astronauti. A questi incontri, ho avuto la possibilità di fare loro delle domande e l’impressione che ho sempre avuto è che mi stessero raccontando episodi di vita vissuta, ma naturalmente ciò non esclude che possano aver imparato la loro parte per bene. Mi è capitato però a Birmingham di vedere un fan “invitato gentilmente” ad andarsene perché aveva fatto una domanda “scomoda” a uno di loro. In realtà si trattava di una domanda riguarante la manovra di rientro e quindi niente di tipicamente complottistico – questo episodio mi ha inquietato non poco. Prima di essere accusato di schizofrenia o trollismo o gatekeeperismo o di essere il cugino segreto di Attivissimo, ribadisco quanto scritto sopra e cioè che sulla questione Luna mantengo una mente aperta e sono pronto a confrontarmi con nuove teorie o idee che siano di debunking o di complotto. Il mio sito è rimasto un po’ fermo ultimamente, proprio a causa delle argomentazioni complottistiche che ho letto e visto in vari video e che mi hanno instillato il tarlo del dubbio. Quello del finto/vero allunaggio è un argomento che, a mio avviso, non fornisce ancora conclusioni definitive e posso solo congratularmi con chi ritiene di averne. Quanto scritto non è ovviamente oro colato (ma argento 850, si!), per cui ben vengano domande, commenti e critiche: cercherò di rispondere a tutti, nel limite del possibile.