[b]IRAQ DEMOCRATICO? [img align=right]library/irdem200.jpg[/img] di Fabio de Nardis[/b] Senza nascondere un pizzico di orgoglio, i quotidiani americani danno risalto alla notizia che i membri dell’Iraqi Governing Council, sotto la supervisione dei militari americani e inglesi (quindi in totale serenità) hanno firmato la bozza costituzionale che dovrebbe aprire la via al processo di democratizzazione del paese. Lo stesso Bush rivendica la cosa come un proprio risultato che porterà entro il 30 Giugno alla formazione di un Governo sovrano deciso dagli elettori. Secondo gli accordi, il nuovo Iraq dovrebbe assumere una forma di governo repubblicana, federale, democratica e pluralistica. L’Islam, come religione ufficiale, sarà la principale fonte ispiratrice del processo legislativo anche se a tutte le religioni sarà consentito il diritto all’esistenza (almeno questo). Le lingue ufficiali saranno l’arabo e il kurdo. Insomma, a breve il mondo potrà contare... ...su un’altra pseudo-democrazia, dove la garanzia delle procedure non sarà corrisposta da alcun reale sentimento democratico. Si ripropone l’atavico dilemma che attanaglia da sempre la comuntà politologica internazionale. Cos’è in fondo la democrazia, un insieme di regole o un sistema di valori che esprime quelle regole? La maggior parte degli studiosi (compreso il compianto Norberto Bobbio) protende verso la prima delle due affermazioni. Dunque, la democrazia non sarebbe altro che un sistema in cui il massimo dell’incertezza decisionale deve essere garantito dal massimo della certezza normativa. In questo senso, un paese per essere considerato democratico è sufficiente che garantisca elezioni libere, ricorrenti e competitive. Ma allora come ci spieghiamo la Russia, formalmente democratica ma praticamente stretta sotto il polso autoritario di Putin, e a giudzio dei principali commentatori internazionali? Come ci spieghiamo la Bolivia e le tante neo-democrazie Centro e Sud Americane, dove gli oppositori continuano a scomparire senza che nessuno alzi un dito? Come ci spieghiamo le tante plutocrazie orientali, solo formalmente democratiche? Come ci spieghiamo realtà tribali come l’Afghanistan o l’Iraq stesso, dove l’Ayatollah Ali Sistani, capo spirituale della maggioranza Shiita, già annuncia battaglia contro la nuova bozza di Costituzione accusata di lasciare un margine di azione troppo ampio alla minoranza kurda? Veramente tutti questi paesi possono essere considerati democratici? È ovvio, senza procedure certe che organizzano un sistema politico non si può avere democrazia. Ma cos’è che giustifica le regole. Io cittadino irakeno devo rispettare le nuove leggi che mi vengono imposte per paura della sanzione o perché credo siano giuste? Quanto a lungo si può sperare nel rispetto delle procedure se queste vengono concepite come il prodotto della pressione esterna da parte di un sistema di potere e culturale alternativo e potenzialmente antagonista. Il vecchio Rousseau una volta scrisse che il governante non avrebbe potuto mantenere il proprio potere a lungo senza trasformare il comando in diritto e l’obbedienza in dovere. Sul primo punto ci siamo; ma per far sì che ci si riconosca nell’architettura normativa che rende lecito il comando occorre una cultura democratica, che in Iraq, come negli altri casi citati, non esiste. La democrazia, là dove si è storicamente consolidata, ha rappresentato il punto di arrivo di un processo secolare di lotte e rivoluzioni per la conquista dei diritti civili, politici e in ultimo sociali. In Italia abbiamo avuto movimenti politici e partiti che hanno materialmente costruito la nostra pur acciaccata democrazia, da un lato, attraverso la normativizzazione del comportamento politico con la Costituzione forse più avanzata di tutto l’Occidente; dall’altro, attraverso un lungo lavoro pedagogico per socializzare i cittadini alle regole e ai valori della democrazia. Dove sono, in Iraq o in Afghanistan, il Partito socialista o comunista, il Partito d’Azione, quello repubblicano; dove sta la stessa Democrazia cristiana? Dove sono Gramsci, Gobetti, i fratelli Rosselli, Rousseau, Tocqueville e Montesquieu? È facile esportare un sistema istituzionale manu militari, meno facile è farlo funzionare.