[img align=right]library/bugia150.jpg[/img] [b][size=x-small]QUANDO I GIORNALISTI DICONO LE BUGIE[/size][/b] [b]di Massimo Mazzucco [/b] 5.2.04 - “Perché le democrazie dicono bugie”, è il titolo di un articolo – pieno zeppo di bugie – di Sergio Romano, apparso ieri sul Corriere della Sera (allegato). E’ curioso osservare come il revisionismo storico, di cui Romano si è mostrato più volte ottimo alfiere, riesca a cavalcare con la più spavalda naturalezza delle menzogne che anche un ragazzino di terza media potrebbe contestare senza troppe difficoltà. L’impresa odierna di Romano trae spunto dalla triste necessità di parlare, in qualche modo, delle commissioni d’inchiesta che sia Bush che Blair sono stati costetti ad accettare, ciascuno in casa propria, riguardo alle fantomatiche “armi di distruzioni di massa” di Saddam Hussein. Romano vorrebbe convincerci che per loro è stato necessario mentire come in fondo, nella storia, lo è stato per tantissini altri capi di stato, alla ricerca di una scusa valida per giustificare, di fronte al proprio popolo, l’invasione di una nazione nemica. Scopriamo così da Romano, per esempio, ... ... che “per dichiarare guerra alla Spagna nel 1898 gli Stati Uniti si servirono dell’esplosione di un incrociatore americano nel porto dell’Avana. Accusarono gli spagnoli di averla provocata e ottennero subito il consenso della pubblica opinione. Ma non era vero. L’esplosione ebbe luogo perché la santabarbara del Maine era troppo vicina alla sala delle macchine.” Voi avete mai visto un cantiere navale che costruisca una nave da guerra in cui la santabarbara sia “troppo vicina alla sala macchine”? Tra l’altro il Maine, quando è esploso, era in attività da almeno quattro anni. Cos’è successo, quella sera? E’ stata la santabarbara che si annoiava, ed è andata a farsi un giretto dalle parti della sala macchine, o viceversa? O sarà invece che Theodore Roosevelt, l’allora ministro della marina (e futuro presidente americano), aveva addossato a Cuba decine e decine di unità navali, pronte allo sbarco, e organizzò l’esplosione del Maine al momento giusto, per poi far firmare all’ignaro presidente Harrison la dichiarazione di guerra alla Spagna? Romano ci dice poi che “per la Grande guerra, paradossalmente, le bugie non furono necessarie. Bastò un colpo di pistola (quello che uccise l’arciduca Francesco Ferdinando a Sarajevo) per scatenare una reazione a catena che nessuno riuscì a controllare.” Come si ci fosse qualcuno disposto a credere che quell’assassinio non avesse affatto l’intenzione di scatenare quello che ha scatenato, ma che fosse il solito anarchico (insurrezionalista, o modello base?) che sceglie sempre il momento meno adatto per andare a far casino giù in centro. Il Vietnam passa quasi con una mezza assoluzione, quando Romano ci rivela che l’incidente del Golfo del Tonchino (tre cannonate alla nave USA Maddox, da parte dei Nord-Vietnamiti, che permisero l’entrata in guerra ufficiale degli USA) fu “una mezza verità, se non proprio una bugia.“ Alla faccia: di verità, per quel che mi risulta, c’era al massimo che la Maddox era davvero una nave. Un altro modo che Romano usa per attribuire questa “necessità di mentire” alle democrazie moderne, è quello di restringere il campo degli esempi che fa alla sola storia più recente. Ma il vizietto è ben più antico, e non ha niente a che fare con le democrazie in sè: già Nerone, che certo “democratico" non era, accusò i “giudeo-cristiani” per l’incendio di Roma, traendone così un’ ottima scusa per mettere a ferro e fuoco i loro quartieri. Ma l’acrobazia più bella Romano ce la regala in chiusura, quando ci dice “Avrei potuto dare altri esempi, ma da quelli che ho scelto è possibile ricavare due rudimentali lezioni, utili forse per comprendere ciò che sta accadendo in questi giorni.” Così infatti, dall’alto del suo pulpito, Romano si dimentica completamente del caso più clamoroso di tutta la storia, quello di Pearl Harbour, che è diventato l’esempio di pretesto bellico per autonomasia. Chissà, visto che molti politici americani paragonano spesso l’Undici Settembre a quell’episodio – con significato volutamente ambiguo - non sarà che Sergio Romano si è dimenticato di Pearl Harbour perchè rischiava di ricordarci quel giorno troppo da vicino? Massimo Mazzucco
[b]Segue l’articolo completo di Sergio Romano, dal Corriere della Sera del 4.2.04[/b] [b]PERCHÉ LE DEMOCRAZIE DICONO BUGIE[/b] [b]di SERGIO ROMANO[/b] Non sappiamo ancora quale sarà il mandato della commissione d’indagine promessa dal presidente americano Bush sul problema delle armi di distruzione di massa che gli ispettori hanno inutilmente cercato in Iraq. E non conosciamo, per ora, il preciso mandato di quella che il premier britannico Blair si è visto costretto ad annunciare qualche ora dopo. Se l’oggetto dell’indagine sarà il funzionamento dei servizi d’intelligence, Bush e Blair sosterranno di essere stati ingannati da cattive informazioni e cercheranno di salvare la loro immagine. Ma non è certo che vi riescano. Quale che sia il mandato, i mezzi d’informazione non esiteranno a semplificare brutalmente i termini del problema e a sostenere che la questione cruciale è in realtà la sincerità dei due governi. Hanno esagerato il pericolo? Hanno giustificato la guerra con informazioni imprecise o grossolanamente esagerate? Hanno mentito alla loro pubblica opinione? In altri tempi queste domande sarebbero state incomprensibili. Fino alla seconda metà dell’Ottocento nessun sovrano avrebbe dovuto giustificare gli argomenti con cui aveva deciso di invadere i propri vicini. Durante la guerra contro le colonie americane, negli anni Settanta del Settecento, alcuni intellettuali inglesi sostennero le ragioni dei ribelli, ma a nessuno venne in mente di trascinare i ministri di Giorgio III di fronte a una commissione d’indagine per giustificare la loro stupida politica fiscale degli anni precedenti. Durante la guerra di Crimea una parte della stampa britannica criticò duramente la condotta delle operazioni militari e l’arroganza di Lord Cardigan nella disastrosa vicenda della Brigata leggera, ma nessuno contestò le ragioni del conflitto. La situazione comincia a cambiare nella seconda metà dell’Ottocento. Anziché regnare esclusivamente «per grazia di Dio» i sovrani regnano ormai «in nome del popolo» e debbono rendergli conto occasionalmente delle loro azioni o permettere che i ministri rispondano dei loro atti al Parlamento. Per fare una guerra, quindi, occorre fornire qualche giustificazione alla pubblica opinione. E poiché non tutte le ragioni possono essere confessate, occorre mentire. La prima clamorosa menzogna della storia moderna è probabilmente il telegramma che Bismarck diffuse alla stampa il 13 luglio 1870. Le cose andarono così. Quando il trono di Spagna divenne vacante, il «cancelliere di ferro» autorizzò un principe della dinastia prussiana ad avanzare la propria candidatura. La Francia di Napoleone III si oppose e chiese che la candidatura venisse ritirata. La Prussia acconsentì, ma il ministro degli Esteri francese pretese che il governo di Berlino s’impegnasse a non più presentarla. Vi fu un incontro nella cittadina termale di Ems tra l’ambasciatore francese e Guglielmo I re di Prussia che quest’ultimo riassunse in un telegramma indirizzato a Bismarck. Il telegramma era scritto con molto equilibrio, ma il cancelliere capì che esso avrebbe giustificato, con qualche correzione, una dichiarazione di guerra. Diffuse una versione addomesticata da cui risultava che il re aveva trattato bruscamente l’ambasciatore francese. Napoleone III si indispettì e la guerra scoppiò. Comincia da allora la lunga serie delle grandi menzogne e delle colpevoli negligenze. Per dichiarare guerra alla Spagna nel 1898 gli Stati Uniti si servirono dell’esplosione di un incrociatore americano nel porto dell’Avana. Accusarono gli spagnoli di averla provocata e ottennero subito il consenso della pubblica opinione. Ma non era vero. L’esplosione ebbe luogo perché la santabarbara del Maine era troppo vicina alla sala delle macchine. Per la Grande guerra, paradossalmente, le bugie non furono necessarie. Bastò un colpo di pistola (quello che uccise l’arciduca Francesco Ferdinando a Sarajevo) per scatenare una reazione a catena che nessuno riuscì a controllare. Qualche bugia, invece, fu utile, se non indispensabile, quando l’Italia si servì di un oscuro incidente di frontiera a Ual Ual nel dicembre 1934 per aprire una crisi che si sarebbe conclusa nell’ottobre del 1935 con una dichiarazione di guerra all’Etiopia. Molto meno oscuro, invece, fu lo sfacciato incidente messo in scena dalla Germania nazista nella notte fra il 31 agosto e il 1° settembre 1939. Per giustificare la guerra contro la Polonia le SS prelevarono 150 prigionieri da un campo di concentramento, li vestirono con uniformi polacche e li lanciarono all’assalto della stazione radiofonica tedesca di Gleiwitz, nei pressi della frontiera. Più tardi, per evitare spiacevoli indiscrezioni, eliminarono tutte le comparse del dramma. Le democrazie hanno opinioni pubbliche più esigenti di quelle dei regimi dittatoriali e le loro menzogne, quindi, devono essere più convincenti. Quando il presidente egiziano Nasser, nel luglio 1956, nazionalizzò il canale di Suez, la Gran Bretagna e la Francia decisero che glielo avrebbero ripreso con la forza. Ma non potevano fare guerra all’Egitto senza una buona giustificazione. Per averla si accordarono con gli israeliani e montarono un complotto tripartito. Gli israeliani avrebbero lanciato una operazione militare nel Sinai. Gli inglesi e i francesi avrebbero chiesto ai due contendenti di ritirarsi e, dopo il rifiuto di Nasser (che Londra e Parigi davano per scontato), avrebbero occupato il Canale. Le cose andarono effettivamente così, fino al momento in cui gli americani si arrabbiarono e fecero sapere a Londra che avrebbero affossato la sterlina alla Borsa di New York. Il primo ministro britannico si dimise e le truppe vennero ritirate. Una mezza verità, se non proprio una bugia, fu quella che permise a Lyndon Johnson, successore di Kennedy alla Casa Bianca, di ottenere carta bianca dal Congresso per la guerra contro il Vietnam del Nord. Nel Golfo del Tonchino, agli inizi di agosto del 1964, un cacciatorpediniere americano, il Maddox, fu attaccato in acque internazionali da tre cannoniere nordvietnamite e si salvò grazie all’intervento di aerei americani. Johnson sostenne che si trattava di una provocazione ingiustificata, ma non disse che il Maddox era in realtà una nave spia, attrezzata per sorvegliare con le sue apparecchiatore elettroniche le coste vietnamite. Avrei potuto dare altri esempi, ma da quelli che ho scelto è possibile ricavare due rudimentali lezioni, utili forse per comprendere ciò che sta accadendo in questi giorni. Prima lezione. Le bugie sono tanto più numerose quanto più i governi dipendono dal consenso della pubblica opinione. I re dell’Antico Regime non avevano bisogno di mentire; i sovrani costituzionali dell’Ottocento cominciarono a mentire; i dittatori del Novecento hanno mentito senza troppo preoccuparsi della verosimiglianza dei loro argomenti; i governi democratici dei nostri giorni mentono con particolare raffinatezza e perizia. Seconda lezione. Una guerra vinta cancella tutte le bugie precedenti. Se Bush e Blair avessero, dopo la fine delle operazioni militari, pacificato l’Iraq, nessuno a Washington e a Londra sarebbe costretto a convocare commissioni d’inchiesta. Sergio Romano