Nel mondo dei buoni e dei cattivi

Data 16/2/2008 8:30:00 | Categoria: news internazionali

di Andrea Franzoni

Uno dei leader di Hezbollah salta in aria, a Damasco, nella sua auto imbottita di esplosivo. Un oligarca georgiano nemico della nuova classe politica filo occidentale muore a Londra improvvisamente, a 52 anni, di “morte naturale” in circostanze poco chiare.

Chi ha ucciso Imad Mughnieh, il comandante militare di Hezbollah, protagonista della guerra nel sud del Libano invaso nel 2006 da Israele e dell’opposizione politica al fragile governo incostituzionale del filo-occidentale Fuhad Siniora? E chi ha ucciso Badri Patarkatsishvili, l’uomo più ricco della Georgia ed oppositore più volte minacciato dal governo di Mikhail Saakashvili, il “nuovo che avanza” che grazie alla “Rivoluzione delle Rose” ha aperto la repubblica georgiana alla civiltà, all’occidente, ai diritti, alla NATO, alle privatizzazioni?

La mente non può che tornare a due eventi recenti e assolutamente simili che tanto avevano coinvolto gli italiani, forgiandone la visione della politica internazionale. Da una parte l’omicido di Rafiq Hariri, il tycoon libanese nemico di Iran e Siria morto tre anni fa in un attentato a Beirut, che tanto sdegno nei confronti dei mandanti designati, e cioè l’alleanza Hezbollah-Siria-Iran, suscitò nel mondo ed anche in Libano (tra l’altro compromettendo in parte il successo politico di Hezbollah). Dall’altra la lenta morte di Livtinenko, sconosciuto dissidente russo nemico di Putin e coinvolto in reti e trame oscure, intossicato dal polonio e spentosi a Londra in maniera drammatica per colpa, nell’immaginario, della lunga mano sovietica dell’ex capo del KGB Vladimir Putin.

All’epoca l’attenzione dei media dell’opinione pubblica era stata forte, e caratterizzata da un forte coinvolgimento anche emotivo. Un’ostilità viscerale si era infatti diffusa portando pensionati, studenti, casalinghe, ad indignarsi ed a associare a Hezbollah e a Putin barbarie, vigliaccheria, autoritarismo, ...
... rifiuto della civiltà e delle forme più basilari di etica. Le vittime di questi attentati e tutte le forze che si opponevano ai sopraccitati “cattivi” erano, al contrario, diventati paladini della civiltà e dei diritti ottenendo un sostegno politico ampiamente giustificato dal comune sentire.

Per coerenza, eventi apparentemente speculari come le recenti morti di Mughnieh e di Patarkatsishvili dovrebbero suscitare almeno un sussulto. Forse la superiorità morale e culturale sulla quale Israele e la nuova Georgia hanno costruito simpatia e sostegno internazionale, togliendo nello stesso tempo ogni voce in capitolo a Hezbollah o alla classe politica più vicina a Putin, potrebbe non essere tale? Ed in quel caso, eliminate le barriere etiche legate alla fantasiosa opposizione tra barbari sadici e verginelle, sarebbe il caso di affrontare le questioni internazionali con meno certezze, meno senso di militanza e meno sostegno incondizionato a certi personaggi? Sarebbe il caso di valutare i contenuti, le richieste, le possibilità di dialogo, invece che fermarsi dietro ad un’infantile visione del bene e del male?

Il caso Mughnieh

In realtà, per evitare ogni forma di possibile interruzione del flusso di opinioni e suggestioni che quotidianamente giustificano la visione popolare della situazione internazionale, le due notizie sono state distorte o per nulla evidenziate. La morte del comandante di Hezbollah non sarà mai trattata come il possibile omicidio di un personaggio scomodo da parte di agenti israeliani o da parte di settori della politica libanese più conciliante con gli interessi geopolitica, economici e simbolici dell’occidente.

«Non sappiamo chi sia stato, ma di certo il mondo senza Mughnieh è un posto migliore – ha spiegato Sean Mc Cormack, portavoce del Ministero degli Esteri americano – In un modo o nell’altro giustizia è stata fatta» (1). Mughnieh era certo un comandante paramilitare, tra l’altro numero uno tra i ricercato dagli Stati Uniti, prima dell’esplosione del fenomeno Bin Laden, per diversi attentati (anche all’estero) legati ai conflitti che hanno insanguinato il Libano negli ultimi decenni. Ma la possibilità che Israele o qualche zelante alleato sia il colpevole non può nemmeno essere pronunciata: come metterne in discussione l’evidente superiorità morale? E’ così che la notizia principale, riportata dalla stampa e richiesta dall’opinione pubblica, non è stata la possibilità che qualcuno vicino all’occidente (sostenuto pubblicamente perché minacciato dell’irragionevolezza di selvaggi radicali) si sia sbarazzato di un avversario politico con un’autobomba, ma è stata la dichiarazione di Nasrallah, capo del partito Hezbollah. «Il capo di Hezbollah minaccia Israele» ha titolato l’Associated Press. Nasrallah, per la cronaca, ha detto di considerare questo atto un atto di guerra aperta da parte di Israele ribadendo che, di fronte a provocazioni simili, Hezbollah non si tirerà certo indietro. Cioè quello che dice abitualmente e ragionevolmente (se non altro per non alienarsi il consenso interno) il governo israeliano, o qualsiasi vittima di un atto terroristico.

Il caso Patarkatsishvili

Destino simile ha avuto la notizia della improvvisa morte di Badri Patarkatsishvili, 52 anni, attribuita a circostanze naturali e contestata dagli amici viste anche le numerose minacce ricevute dal magnate georgiano. Badri Patarkatsishvili era l’uomo più ricco di Georgia. Amico di Eltsin, “Badri” era divenuto ricchissimo negli anni delle privatizzazioni. Si vantava di avere aiutato Putin nella sua carriera politica, prima che lui si rivelasse ostile nei suoi confronti, ed era il miglior amico di Boris Berezovsky.

Tornato in Georgia, era diventato un oppositore dell’allora presidente filo-russo Sheveradze. Proprietario e direttore della televisione IMEDI, uno dei principali canali dell’opposizione, "Badri" aveva condotto campagne volte a screditare Sheveradze ed era stato tra gli ispiratori della Rivoluzione delle Rose che aveva portato al potere il filo-occidentale Saakashvili sostenuto politicamente ed economicamente dagli Stati Uniti, dalla fondazione Soros, dalla Albright. Una volta al potere Saakashvili (che aveva vinto le seconde elezioni con il 96% delle preferenze, dopo aver perso la prima volta ed avere condotto le proteste di piazza denunciando brogli e autoritarismo) aveva effettivamente adottato una politica liberale in campo economico e si era avvicinato all’occidente pur nelle difficoltà dovute alla dipendenza dal petrolio Russo.

Nell’inverno 2007, tuttavia, le politiche corrotte e giudicate insoddisfacenti del governo avevano portato “Badri”, evidentemente insoddisfatto del suo ruolo nella gestione della “nuova” Georgia, a capeggiare nuove manifestazioni di piazza per contestare Saakashvili. A queste manifestazioni, che avevano unito i “liberali” e filo-occidentali insoddisfatti ai filo-russi, il presidente sostenuto dall’Unione Europea e dagli Stati Uniti Saakashvili aveva risposto chiudendo IMEDI TV (nel frattempo venduta da “Badri” a Murdoch) e i media dell’opposizione, caricando i manifestanti, dichiarando lo stato di emergenza e sospendendo i diritti nel sostanziale silenzio dell’occidente (3). Saakashvili aveva quindi indetto elezioni anticipate, alle quali si era candidato anche “Badri”. Le elezioni, caratterizzate da una campagna elettorale svoltasi in clima da stato di emergenza, e monopolizzata dai mezzi di informazione degli oligarchi vicini al governo, avevano visto Badri Patarkatsishvili accontentarsi però solo di un misero 6%. Fu in quel periodo che il ministro della Difesa del governo Saakashvili riferì a IMEDI TV addirittura di un piano del governo per uccidere Badri Patarkatsishvili (e fu poi convinto a ritrattare). Continuamente minacciato, “Badri” era stato anche accusato dal governo di aver organizzato un colpo di stato ed era definitivamente scappato a Londra dove sarebbe morto, appunto, in circostanze misteriose al vaglio di Scotland Yard.

Secondo il suo portavoce Rati Scartava, “Badri” «non é sopravvissuto alle false accuse recentemente avanzate contro di lui (evasione fiscale e tentato colpo di stato, ndr). La macchina dello stato lo ha combattuto e il suo cuore non ha retto». Secondo altri il coinvolgimento della Georgia potrebbe anche essere diretto. “Badri” aveva più volte denunciato minacce, ed aveva denunciato secondo il quotidiano londinese Evening Standard le prove di un progetto di attentato da parte del governo georgiano nei suoi confronti. Indipendentemente dalle circostanze della morte, la vicenda è interessante perchè mostra i retroscenda della scintillante leadership filo-occidentale che tanto ha entusiasmato i commentatori nostrani ubriacati dagli slogan della pacifica "Rivoluzione Colorata".

Secondo La Stampa, tuttavia, il colpevole potrebbe essere un altro. «Muore il nemico di Putin» è il titolo. “Badri”, infatti, sarebbe un personaggio scomodo per Putin perché, essendo stato un sostenitore della prima ora di Putin, sarebbe in possesso di retroscena potenzialmente destabilizzanti, a due settimane dalle elezioni russe(nelle quali Putin, tra l’altro, non si è candidato), e quindi per questo potrebbe essere stato eliminato. Un modo per distogliere l'attenzione, che molti hanno evitato semplicemente non dando attenzione alla notizia, focalizzandola sul cattivo per antonomasia?

°°°

Se davvero volessimo onorare quei valori e quell’etica del quale dalle nostre parti ci si fregia continuamente, dovremmo sottoporre per primi noi stessi, i nostri rappresentanti, i nostri alleati, a controlli ed a indagini severe. La coalizione di stati che pretende di rappresentare nel mondo ciò che è civile, morale, evoluto, dovrebbe come prima cosa operare una pulizia interna per potersi definire come tale, e magari risultare minimamente convincente per chi vive dall’altra parte della barricata.

In realtà, la supposta superiorità culturale è sempre più spesso un’arma figlia della propaganda di chi non stenta a violare i più basilari diritti, o che copre i suoi alleati che lo fanno. Uno strumento nelle mani di un pragmatismo che dovremmo avere il coraggio di riconoscere come tale.

Ogni forma di dubbio viene però annegato in una visione romanzata, militante, ingenua eppure diffusamente accettata.

Proprio questo atteggiamento, evidente in casi come quelli sopraccitati, ci dovrebbe far pensare che forse non abbiamo poi tanta civiltà, tanta vera democraticità e tanta superiorità morale da esportare. O che almeno, per cercare di risultare convincenti, sarebbe prima meglio fare pulizia in noi stessi.

Andrea Franzoni

(1) http://news.bbc.co.uk/1/hi/world/middle_east/7244072.stm
(2) http://ap.google.com/article/ALeqM5io5o7HAtI7mmO0Cz0gCQA9-xZCoAD8UQ4KJ80
(3) http://www.luogocomune.net/site/modules/news/article.php?storyid=2196
(4) http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/esteri/200802articoli/30127girata.asp




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