di Lorenzo Piazza

Il 26 aprile è l'anniversario del disastro di Chernobyl.

Che senso ha parlarne a distanza di 33 anni dall'accaduto?

Come tutti gli eventi epocali che colpiscono l'immaginario collettivo e che creano una cesura tra un prima e un dopo, gli effetti possono essere letti in molte chiavi.

Dal punto di vista politico ed economico è innegabile che abbia contribuito fortemente a portare al collasso dell'Unione Sovietica e alla fine della guerra fredda, iniziata paradossalmente con un altro evento atomico, ossia le bombe lanciate sul Giappone.

Le spese mastodontiche necessarie per liquidare il disastro, 18 miliardi di rubli (ossia dollari dato il cambio 1:1) secondo Michail Gorbachev, hanno scavato una voragine nelle già fragili finanze dell'URSS.

Contemporaneamente le immagini strazianti dell'edificio del reattore esploso e le critiche feroci nei confronti della tecnica e della sicurezza sovietiche hanno gettato un alone fortemente negativo sull'intero sistema sociopolitico: Chernobyl è diventato il simbolo più concreto del fallimento del sistema comunista, tematica che è stata cavalcata con facilità dalla propaganda occidentale per demonizzare il nemico.

E allo stesso tempo la catastrofe ha dato linfa ad una certa intolleranza all'uso civile dell'energia nucleare e questo, mi si consenta sottolinearlo, è un bene. Basta fermarsi un momento a riflettere per capire che si tratta di una tecnologia spaventosamente nociva, come possono testimoniare le vittime delle innumerevoli catastrofi ambientali e sanitarie verificatisi in circa 65 anni.

Ogni paese ha le sue brutture legate all'atomo. Cito a braccio: le 2 bombe sganciate su Hiroshima e Nagasaki; i successivi test (oltre 2000) impossibili da citare tutti, di cui ricordiamo gli americani Crossroads e Castle Bravo che hanno devastato atolli incontaminati, quelli in Nevada che hanno lasciato crateri ancora visibili e contaminato grandi aree, quelli francesi in Algeria e a Mururoa, quelli britannici a Kiribati, quelli russi a Semipalatinsk; e ancora l'incidente del 1957 a Majak; quello del 1979 Three Mile Island; i due complessi industriali nucleari di Sellafield e La Hague: l'incidente del 1987 a Goiania; i danni alla salute provocati dalla centrale del Garigliano nei pochi anni d'esercizio; i sottomarini abbandonati a Murmansk; l'attacco aereo del 1981 alla centrale Osiraq; l'impianto di Dimona e il (mai ammesso ufficialmente) programma nucleare israeliano; i danni alla salute provocati in Germania da centrali che funzionano a regime, come i casi di leucemia nella zona di Elbmarsch; il disastro del 2011 a Fukushima; il problema insoluto dei depositi delle scorie nucleari.

Sarebbe interessante affrontare tutte queste storie, che sono accomunate dall'estrema importanza data alla scienza, alla tecnica e al profitto e dal miserrimo interesse riservato alla vita e alla salute umana, ma dobbiamo concentrarci sull'argomento della trattazione e rispondere alla domanda che ci siamo posti all'inizio. Ha senso parlare di Chernobyl perché è ancora un mistero, anche se viene presentato come una certezza. E' infatti un argomento estremamente presente nei media: di libri, film, siti internet se ne trovano a bizzeffe, che però nella stragrande maggioranza dei casi danno informazioni a senso unico, senza una vera volontà di cercare la verità. E' dunque soprattutto una storia di bugie, come scritto chiaramente dalla politica e scrittrice Alla Yaroshinskaya: "ogni volta che leggo questi documenti segreti, mi viene da pensare che l'isotopo più importante e terrificante, soffiato fuori dalla gola del reattore, manchi nella tavola periodica degli elementi: la Bugia-86. La truffa è globale tanto quanto la catastrofe stessa".

Nei media si intravede molta schizofrenia nella presentazione dell'argomento: da una parte ci ammoniscono che la situazione è ancora gravissima, al punto di dover investire somme faraoniche per costruire un nuovo sarcofago; dall'altra ci informano che sono ricomparsi lupi e orsi e la natura si è ripresa il suo spazio; da una parte l'ex Presidente dell'IAEA (Agenzia internazionale per l'energia atomica) preme appunto per la costruzione di un secondo sarcofago che protegga l'Europa da una nova catastrofe nucleare; dall'altra lo stesso Hans Blix, quand'era ancora Presidente della benemerita IAEA dichiarò che l'industria dell'energia nucleare poteva tollerare un disastro come Chernobyl ogni anno; da una parte ci vengono mostrati danni gravissimi per la salute; dall'altra la IAEA (ancora...) in un comunicato stampa dichiara che "povertà e malattie legate allo stile di vita che ora dilagano nell'ex Unione Sovietica nonché i problemi psichici, costituiscono per le comunità locali una minaccia ben maggiore della radiazione".

Come può lo sprovveduto fruitore di tali media farsi un'idea precisa e fondata su un qualunque argomento? Ebbene non può. Sommerso da un'onda di dati e opinioni egli avrà l'illusione di essere stato informato, ma difetterà certamente della visione d'insieme necessaria a comprendere un fenomeno. La percezione della realtà sarà effettivamente dipendente da come verrà presentata.

In tal senso, basandomi su anni di studio, ho notato il cambiamento nel tono e nelle argomentazioni dedicati dai media alla tragedia di Chernobyl. Se fino ad una dozzina di anni fa dominava incontrastata la versione ufficiale, negli ultimi anni hanno iniziato a circolare, soprattutto nel web, ma non solo, una serie di teorie complottiste, di cui mi occuperò in un altro articolo, in quanto necessitano il giusto approfondimento e il giusto spirito critico.

Per ora mi limiterò a dimostrare che la tesi ufficiale non è coerente con la natura del disastro, né dal punto di vista tecnico, né da quello riguardante la quantità dei radionuclidi fuoriusciti dal reattore, da cui inevitabilmente conseguono gli effetti per la salute.

Il destino comune a tutti coloro che affrontano lo studio di grandi accadimenti storici è rappresentato dall'oggettiva impossibilità di scoprire la verità nella sua interezza. Ma ciò non impedisce, almeno, di identificare le bugie.

E ora due comunicazioni di servizio: primo, per una precisa scelta metodologica, ho optato per una traduzione in italiano di tutte le citazioni, al fine di permettere la comprensione anche a coloro che non padroneggiano lingue straniere; secondo, ho cercato di inserire più note possibili per documentare quanto scritto e se non sempre ho specificato il minuto esatto in cui in un video o un audio compare una certa affermazione, è stato solo per ovvie ragioni di tempo. Non nutro comunque il minimo dubbio che il lettore più attento riesca a trovare facilmente gli stralci citati. Ma prima di entrare nella zona, vorrei dedicare questo lavoro alle tante, tantissime vittime del disastro: ai pompieri e ai liquidatori che hanno perso la vita nello svolgere i loro compiti; ai residenti della zona di reclusione che, completamente ignari, sono stati strappati della loro case, perdendo i loro averi, smarrendo le loro radici, e ricevendo in dote, patologie di ogni genere; al resto degli abitanti dell'emisfero boreale, che hanno ricevuto tutti la loro porzione di radionuclidi; e infine ai bambini mai nati, sia a causa delle gravidanze interrotte, sia a causa della "radiofobia", la paura indotta nei potenziali genitori che i nascituri sarebbero venuti al mondo con gravi malformazioni.

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