di Luigi Copertino

Il “Digital Wallet” – ossia il “portafoglio digitale – è lo strumento prossimo venturo mediante il quale interagiremo con il sistema di realtà virtuale che ha ormai sostituito la realtà fisica. Esso ci consentirà, come in una unica banca dati, di disporre sul nostro cellulare tutti i dati personali, anagrafici, curriculari, professionali, bancari, fiscali e via dicendo. Non avremmo più bisogno di documenti cartacei e neanche di quelli informatici più vetusti. Tramite il passaporto digitale, in un giorno non lontano, ci sarà consentito l’accesso facilitato ai servizi pubblici e privati che saranno offerti esclusivamente in rete. Anzi solo tramite detto passaporto potremo accedere ai servizi.

Massimo Mazzucco, in un video recente, lo ha definito un “trappolone gigante” paventandone, non a torto, il potenziale di strumento di manipolazione a fini di controllo e di speculazione. L’aspetto più ambiguo di questa imminente rivoluzione digitale è quello monetario. Il portafoglio digitale, infatti, sarà lo strumento attraverso il quale verrà implementato il “Central Banking Digital Currency” (CBDC), in sostanza il sistema operativo della moneta digitale creata dalle Banche Centrali per combattere quella, come i bitcoin, di matrice non bancaria (che, a giudizio dello scrivente, è altrettanto ambigua e pericolosa). Digital Wallet e Central Banking Digital Currency sono un primo passo verso l’“internet delle cose”, ovvero l’interazione cibernetica continua tra uomo e macchina attraverso l’automatismo digitale, esaltato da Klaus Schwab nel suo “La Quarta Rivoluzione Industriale”.

 

Naturalmente, per convincerci ad accettare la svolta tecnologica digitale, di essa sono presentati i vantaggi, senza però evidenziare i pericoli. La supposta è indorata prospettandoci la comodità di disporre una unica banca dati attraverso un unico strumento operativo con il quale essere costantemente connessi e interattivi. Anzi, viene esaltata la possibilità attraverso l’uso della moneta digitale central-bancaria – che non è in gestazione solo in Occidente, perché la Cina sta già sperimentando lo yuan digitale – di aggirare i tradizionali intermediari finanziari, ossia le banche, nelle transazioni finanziarie tra un capo e l’altro del mondo. Per non spaventare troppo l’opinione pubblica ed evitare un collasso repentino del sistema bancario attuale, la moneta digitale banco-centrale resterà, almeno agli inizi, ancorata al valore delle divise nazionali, e come esse soggetta ad inflazione o deflazione, in modo da impedire, insieme al fatto che non sarà inizialmente fruttifera di interessi, che possa diventare troppo attraente per gli investitori o come veicolo di risparmio in luogo dei tradizionali depositi bancari.

Mentre dunque, come dicevamo, vengono prospettati i lati accattivanti della rivoluzione tecnologica imminente, sono, tuttavia, tacitati i risvolti poco gradevoli di questa totale digitalizzazione e virtualizzazione delle nostre vite. Infatti, quel che non si dice, quel che si tende a nascondere, è che il prezzo da pagare per la comodità digitale sarà la nostra subordinazione, attraverso la devoluzione sebbene volontaria dei nostri dati, al continuo controllo e al costante monitoraggio di tutto quanto facciamo, dei nostri gusti, delle nostre opzioni, delle nostre azioni. Forse, un domani, anche dei nostri pensieri, in un inveramento dell’orwelliana psico-polizia. È il “capitalismo della sorveglianza” di cui all’omonimo libro di Shoshana Zuboff.

Massimo Mazzucco, nel video citato, ha osservato che basta semplicemente togliere la Sim card ai refrattari al portafoglio digitale per impedire loro non solo di telefonare ma anche di accedere al proprio conto bancario. Pare che una cosa del genere sia già prescritta legalmente in Nigeria contro i resistenti all’innovazione.

La cosa dovrebbe sortire in tutti noi preoccupazione, perché, benché le autorità monetarie occidentali promettono che il contante resterà comunque una opzione di pagamento valida, in realtà, facendo leva sulla comodità del pagamento elettronico, l’uso della moneta digitale si diffonderà sempre più e diventerà quasi globale. Il contante, con il suo retaggio di libertà, sparirà da solo, come un tempo accadde alle monete auree. Una cosa del genere è, del resto, già avvenuta con l’introduzione delle carte di credito (che poi sono carte di indebitamento) ormai di uso quasi generale, in luogo del residuo contante.

Attraverso il Central Banking Digital Currency la Banca Centrale contabilizzerà sui nostri conti correnti moneta digitale. Direte: ma che bello! Avremo a disposizione non solo una facilitazione nelle transazioni finanziarie ma anche moneta creata dal nulla in abbondanza, sui nostri conti correnti! Il problema è che la moneta digitale creata dalla Banca Centrale nei nostri conti correnti, o in essi contabilizzati attraverso qualche transazione commerciale, sarà, a quanto sembra, anche “prescrittibile” ossia a scadenza. Pertanto essa sarà cancellata dal conto corrente di chi non la spende entro un certo lasso di tempo.

Ciò dimostra che, come diceva Giacinto Auriti, non siamo noi i proprietari dei soldi che abbiamo sul conto corrente ma che proprietaria, legalmente ma illegittimamente, ne è la Banca Centrale di emissione, un soggetto che non è neanche pubblico ma privato ed è organismo esponenziale, incuneato nella struttura statale, della consorteria finanziario-bancaria mondiale.

Secondo Mazzucco attraverso la moneta digitale prescrittibile, quindi a scadenza, ci impediranno persino di risparmiare. Ma qui, ci sia consentito, è necessario fare alcune puntualizzazioni. Il risparmio non sempre è una virtù, soprattutto in un sistema monetario “endogeno” nel quale le banche non raccolgono moneta, come facevano nei secoli passati, per poi investirla prestandola, ma la creano esse stesse ex nihilo in dipendenza della domanda di moneta da parte del mercato. Ogni apertura di credito, ossia ogni concessione di fido, che avviene, ormai da quasi un secolo e mezzo, senza alcuna copertura, quantomeno integrale, in moneta legale, equivale a creazione di moneta bancaria in forma, per l’appunto, di prestiti “allo scoperto”.

Questo è anche il motivo per cui le ricette monetariste, come quella che sta riproponendo in Argentina il neo-presidente anarco-liberista Javier Milei, per le quali l’inflazione si combatte abolendo le banche centrali, o perlomeno fissando target quantitativi alla moneta a corso legale emessa dalla Banca Centrale, non funzionano ed hanno come unico effetto la contrazione del welfare e della spesa pubblica, a tutto vantaggio del sistema bancario e delle attività finanziarie speculative. Senza neanche riuscire, oltretutto, a contenere l’inflazione che non dipende sempre e comunque dall’eccessiva quantità di moneta legale in circolazione ma da altri fattori, in genere un crollo dell’offerta o un eccesso di domanda o aumenti dei costi delle materie prime o dell’energia, non esclusa l’incontrollata creazione di moneta creditizia da parte delle banche.

Che il risparmio non sia sempre una virtù è poi dovuto al fatto che esso comporta l’immobilizzazione del denaro creando ristagno dell’economia. Come affermava Keynes chi tesaurizza, chi non spende, toglie al prossimo la possibilità di lavorare e portare il pane a casa.

Nella imminente rivoluzione tecnico-finanziaria del Central Banking Digital Currency dobbiamo registrare – e questo un aspetto ancora poco meditato – il recupero, ma in modalità fraudolenta, da parte del sistema capitalistico finanziario di una antica idea che un tempo lo stesso sistema ha combattuto.

La “moneta prescrittibile” non è, infatti, una novità assoluta. L’auspicava, negli anni venti del secolo scorso, quale strumento per evitare la tesaurizzazione che uccide l’economia, Silvio Gesell, un economista pratico, che fu anche ministro nell’immediato primo dopoguerra della effimera Repubblica socialista bavarese. Gesell è stato uno degli economisti cui faceva riferimento Ezra Pound.

In sostanza, attraverso la moneta prescrittibile, Gesell intendeva indurre la gente a spendere per sostenere la domanda e per impedire la deflazione con le conseguenti depressioni economiche. John Maynard Keynes, nella sua “Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta” (1936), ha fatto esplicita citazione di Silvio Gesell riferendosi a lui come ad un geniale economista dilettante che aveva intuito il vero fondamento della scienza economica, ossia il primato della domanda sull’offerta, pur senza essere riuscito a definirlo in termini scientifici. Per Keynes, tuttavia, non si trattava di introdurre la “moneta prescrittibile”, con il suo complicato meccanismo come ipotizzato da Gesell, in quanto per sostenere la domanda egli preferiva il ricorso alla spesa pubblica di investimento (non a quella corrente). Keynes, dunque, apprezzava di Gesell non tanto l’idea della moneta prescrittibile quanto l’aver intuito, contro il paradigma liberista anche nella sua versione neoclassica, che l’economia è mossa dalla domanda e non dall’offerta.

Senza dubbio, nell’economia capitalista, un ruolo molto importante lo giocano il marketing e la pubblicità. Ma non bisogna ingannarsi. Un prodotto può essere messo sul mercato con il più ampio corredo di marketing e con la più ampia campagna pubblicitaria ma quando non ci sono soldi, ossia non c’è reddito sufficiente, l’offerta resta al palo. Salvo – attenzione perché qui sta un aspetto molto oscuro del capitalismo! – indebitare i consumatori. Ed è ciò che avviene nell’economia finanziarizzata con il sistema bancario organizzato – negli Stati Uniti in modo “scientifico” ma anche in Europa – per sostenere la domanda a debito ovvero per prestare denaro persino agli insolventi potenziali in modo da supportarne, ripetiamo a debito, la propensione al consumo. Poi però accade, come nel caso dei mutui sub prime americani o in quello della Grecia di qualche anno fa in piena crisi dell’euro, che, alla lunga, l’insolvenza dei debitori fa scoppiare la bolla finanziaria del credito bancario facile, le banche vanno in default e l’economia entra in depressione. È la storia del 1929 e del 2008.

Quando questo accade le prefiche del liberismo, le stesse che negli anni della gallina dalle uova d’ora predicano le virtù del mercato in nome dello Stato minimo, iniziano ad invocare, attraverso la stampa, il salvataggio di Stato per le banche decotte a causa della speculazione creditizia. E gli Stati, o meglio le classi politiche dirigenti ignare dei meccanismi finanziari e quindi beote, salvano le banche private con i soldi pubblici. Il Meccanismo Europeo di Stabilità, il Mes, che tanto piace alla sinistra europea, tra 2014 e 2020 ha salvato, con fondi pubblici, le banche tedesche e francesi in crisi per l’insolvenza dei greci. Poi la Troika ha pensato a spellare viva la Grecia per ripianare i prestiti ottenuti dal Mes. Il capitalismo finanziario è un sistema marcio ed usuraico.

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